Halloween è una festa arrivata da noi principalmente grazie al Cinema hollywoodiano, nonostante le sue origini siano da ricercare nelle celebrazioni pagane della cultura celtica, la cui lingua, il gaelico, è ancora oggi molto presente in Irlanda, dove è insegnata e utilizzata persino nel quotidiano (strade, documenti, luminarie di Natale sono in doppia lingua e addirittura il Cinema è talvolta recitato in gaelico).
Per questa ragione Halloween è spesso accolta con ostilità dalla sempre aperta e inclusiva cultura dei Paesi di forte impronta cristiana, come il nostro; anche l’Irlanda è stata cristianizzata, ma la forte appartenenza culturale verso certe radici è rimasta con forza nel tessuto sociale.
Capita quindi quasi ogni anno di assistere a reazioni viscerali alla vista di Jack-o’-lantern e dei simboli che anticipano l’arrivo delle celebrazioni atte a scoperchiare tutte quelle cose che risiedono nel profondo e che non si vorrebbe guardare, mettendosi al riparo dagli esoterismi grazie alla luce rassicurante della religione, per scacciare il buio e le sue ataviche e cavernicole paure.
Il fenomeno va a braccetto con il Cinema horror, re indiscusso della Festa delle Streghe, spesso oggetto di censure e aspre critiche proprio per la sua capacità di profanare tutti i santuari del nostro animo, esponendo agli elementi di una realtà crudele, violenta, incerta e ricca di tetri e ignoti misteri, le nostre carni.
[Buon Halloween?]
Il denigrato genere horror, indipendente dal mezzo, si è sempre reso affascinante grazie alla sua capacità di prestarsi magnificamente a molteplici autori come strumento utile per elaborare i loro dubbi riguardo l’animo umano.
I mostri sono un pretesto utilizzato dall’artista per scavare dentro se stesso e nella società che lo circonda, portando i sudori freddi al pubblico o, in alcuni casi, sfilacciando i tendini delle sue più recondite incertezze.
Contestualmente esistono moltissimi orrori privi di una stratificazione morale e sociale alta, che trovano origine nel buio dal quale proveniamo insieme ai miti e alle leggende del nostro folklore o della modernità, prendendosi comunque maledettamente sul serio nella costruzione di una poesia dell’orrore che faccia ansimare d’ansia il fruitore.
Cercando tra le molte pieghe del genere, l’umorismo, declinato secondo precisi umori, è una delle tante sfumature che si è resa utile per creare nuove forme di orrore.
La serie antologica Ai confini della realtà, ovvero The Twilight Zone, creata da Rod Serling nel 1959, è fondata su l'assurda ironia della sorte che sa avere una certa poesia del terrore, portando a scuola a una marea di autori di opere contemporanee, rappresentando una delle tante vie al racconto horror offerte dal genere.
[Ai confini della realtà è perfetto per Halloween]
L’uomo cambia, evolve insieme al suo tessuto sociale e genera storie e temi più complessi e talvolta, in questo processo, la nuova carne si scolla dalle origini di certe credenze, forzando la mano dell’artista a ri-scrivere certi archetipi, rendendoli più aderenti al suo presente.
Guardando alle origini di Halloween e ai racconti del terrore, possiamo ritrovare questo mutamento.
Halloween è arrivata da noi con il “dolcetto o scherzetto” detto all'unisono dai bambini vestiti da spettro quando bussano alle porte delle case durante la notte delle streghe, tendendo un riferimento a una certa ironia insita nel genere che accompagna l’avvento di spiriti e demoni nel nostro piano, per allontanarsi da credenze alle quali l’uomo ha smesso di dare rilevanza con lo stesso fervore di epoche passate, diventando più una piacevole suggestione e un gioco.
Quando Bela Lugosi veste i panni di Dracula nel film del 1931, non troppo distante dal romanzo scritto dall’irlandese Bram Stoker nel 1897, diventa una figura iconica per il filone.
Tuttavia, a distanza di poco tempo, nel 1948 riprende il mantello e il cerone bianco di quel personaggio ne Il cervello di Frankenstein, diventando parte di una pellicola annoverata come la prima ad avere legittimato, grazie a un ampio successo, la formula horror comedy.
[Mostri e indagini: è Halloween!]
Nota a margine: i protagonisti del film erano Abbott e Costello (titolo originale: Abbott and Costello Meet Frankenstein), da noi conosciuti come GianniePinotto, quindi tirate voi le conclusioni riguardo il tono del film e la sua ricezione da parte del pubblico.
In tal senso anche musica e televisione hanno passato la rielaborazione culturale di Halloween come una festa goliardica che può permetterci di giocare con le suggestioni orrorifiche, indossare costumi e divertirci a impersonare: il principe della notte, gli eterni fantasmi o le maledizioni da uomo lupo.
Ricordo benissimo quando da bambino vidi l’episodio L’occhio del male di Happy Days, nel quale il gruppo di Richie, Ralph e Potsie si esibiva in una cover di Monster Mash di Bobby Pickett.
Una canzone che si diverte con i mostri e ci fa ballare.
Piccolo CineFact: quella stagione di Happy Days è ambientata nel 1960 (prodotta nel 1978), ma Monster Mash è uscita nel 1962, quindi in sceneggiatura Garry Marshall e Allen Goldstein hanno fatto un piccolo pastrocchio.
L’orrore di Halloween si presta quindi alla dissacrazione, alla commedia, alla voglia consapevole di voler prendere quei mostri per trasportarli in situazioni sopra le righe pur mantenendo, volendo, la voglia di criticare la società: lo fa Lucio Fulci nel 1975 dirigendo Lando Buzzanca e Sylva Koscina ne Il cav. Costante Nicosia demoniaco ovvero: Dracula in Brianza, come Edgar Wright in La notte dei morti dementi (aka Shaun of the Dead).
Non si tratta soltanto di creare parodie, ma della voglia di divertirsi con l’orrore, il sangue, la tensione, i fantasmi e le loro morali, tenendo intatte le componenti essenziali del genere.
Nelle migliori horror comedy, siano esse per tutta la famiglia come per i soli adulti, gli elementi di costruzioni horrorifica devono rimanere presenti e non sparire in favore di una totale inversione di marcia in favore della risata.
Alla base la struttura di una buona battuta non differisce di molto da quella di un buono spavento e quello che si rende necessario è cambiare il tono e rispettare i dettami della commedia, sia questa più nera o più leggera, ma in un contesto orrorifico.
[Con Scooby-Doo è sempre Halloween...]
Scooby-Doo, un cartone animato da sabato mattina, alla base è un thriller horror che ricalca tutti i trope del genere, declinati per ospitare il cagnolone più fifone di sempre e la banda di improbabili investigatori sessantottini.
Analogamente quando John R. Dilworth crea Leone il cane fifone, porta al pubblico tutte le componenti di inquietudine che caratterizzano i racconti del paranormale e soprannaturale, giocando anche con l’impatto visivo dello stile d’animazione per destabilizzare chi guarda; per quanto colorato, Leone vive in una fattoria al centro del nulla, lo scenario perfetto per un racconto lovecraftiano come per una storia di alieni.
Giocare con orrore e commedia è tuttavia un compito incredibilmente complesso, perché i due generi di appartenenza, presi singolarmente, non sono affatto di facile approccio.
La loro fusione rende ancora più spinosa la gestione del ritmo e degli elementi che funzionino allo scopo di offrire allo spettatore un horror che sia credibile in quanto tale, ma che sia anche così folle da divertire lo spettatore senza scadere nel becero eccesso parodistico, nel quale scadono alcune produzioni.
Per questa ragione entriamo in gioco noi della redazione che, con questa Top 8, abbiamo deciso di proporvi una selezione di horror comedy che possano soddisfare il vostro palato e farvi passare una notte di Halloween goliardica.
Magari un po’ raccapricciante, ma senza troppi incubi.
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John Carpenter è entrato nella Storia del Cinema con pellicole horror indimenticabili e preziose per il genere come Halloween, La cosa e Il seme della follia.
Dan O’Bannon è invece quel meraviglioso genio che ci ha regalato Alien.
Non tutti sanno che i due hanno cominciato la loro carriera con Dark Star, progetto nato come film studentesco così ben strutturato da aver ottenuto i fondi per diventare un lungometraggio.
Nonostante il budget di soli 60 mila dollari, grazie alla regia di John Carpenter e alle congiunte capacità di sceneggiatura dei due, Dark Star conquista lo status di cult assoluto.
Il film è in molti suoi elementi una parodia surreale di 2001: Odissea nello spazio e racconta la caduta dell’equipaggio di un’astronave il cui compito è quello di esplorare lo spazio per distruggere i pianeti instabili, favorendo la colonizzazione dell’ultima frontiera da parte dell’uomo.
Ovviamente ogni membro della Dark Star, questo il nome dell’astronave, è stato toccato dalla mano della deficienza tipica delle parodie e la situazione diventa ancora più scottante quando, mostrando i germogli di quello che sarebbe stato Alien, un alieno inizia a girovagare per la nave.
La regia di John Carpenter, intelligente e per nulla banale nel riprendere una commedia, e le trovate comiche di Dan O’Bannon in una sceneggiatura che non lesina nel costruire una propria epica sci-fi, si fondono e tra gag assurde e un alieno ricavato palesemente da un pallone da spiaggia, Dark Star è un debutto folgorante, una parodia sci-fi come poche ne esistono nella storia del cinema e un film che, ancora oggi, batte in originalità e estro produzioni dai budget inesauribili.
Se gli xenomorfi vi hanno annoiato o vi fanno troppa paura e i viaggi tra le stelle alla ricerca di una risposta alle origini della razza umana vi addormentano l’animo, forse è il caso che viaggiate a bordo della Dark Star.
Definire la grandezza di un’opera come The Rocky Horror Picture Show non è affatto facile: si parla di un film che a distanza di così tanti anni dalla sua uscita sta vivendo ancora un continuo processo di assimilazione da parte del pubblico.
TRHPS non è più infatti solamente un lungometraggio musicale, bensì un’esperienza collettiva che si nutre dell'entusiasmo del suo spettatore.
Considerando lo spirito eversivo e provocatorio della trama, tale longevità deve certamente aver stupito tanto il regista Jim Sharman quanto l'autore della brillante opera originale Richard O’Brien.
La storia, ispirata al mito di Frankenstein, è in realtà essenziale: una coppia di fidanzati prossimi alle nozze cade accidentalmente nelle grinfie del folle Dr. Frank-N-Furter e dei suoi bizzarri ospiti.
Nella critica al conservatorismo del tempo - rappresentato dai docili fidanzatini - TRHPS fa crollare le ipocrisie di una società impegnata ad intercettare le differenze come anomalie e devianze; e in questo conserva un’attualità sorprendente.
Allo stesso tempo, isola il mondo freak nella dimensione extraterrestre mettendone in risalto la genuina imperfezione.
Attinge poi al grottesco dei B-movie del Cinema horror fantascientifico e si diverte a inserire numerosi riferimenti alla cultura americana e europea: dal salvagente del Titanic all’antenna RKO di King Kong fino all’arte rinascimentale di Michelangelo.
Ma le continue citazioni al genere non bastano a rendere The Rocky Horror Picture Show un film in grado di affondare le proprie radici nella memoria collettiva perché è nel suo emblematico scienziato pazzo che si realizza il culto di una libera manifestazione di pensiero.
Al suo esordio sul grande schermo, sfacciatamente sensuale nelle calze a rete, con lo stretto corsetto e la collana di pelle, Tim Curry si fà icona di questa sfrontatezza e la sua Sweet Transvestite si trasforma in un travolgente inno al piacere sessuale.
The Rocky Horror Picture Show è dunque - e sarà per sempre - uno dei più sensazionali casi della Storia del Cinema, un cult senza tempo perfetto per festeggiare Halloween.
“There's no crime in giving yourself over to pleasure”
Era il 1985 quando Stuart Gordon esordì nel mondo del Cinema con Re-Animator, cult assoluto del sottogenere horror comedy.
Prodotto dall’amico e futuro regista Brian Yuzna (Society), Re-Animator è tratto da un racconto del 1922 di H.P. Lovecraft che vede al centro della storia un folle scienziato e la sua ossessione per il cervello umano, un organo in grado di riportare in vita i morti se stimolato con un siero speciale creato dallo stesso dottore.
Una vicenda che si ispira chiaramente a Frankenstein, declinata però in una chiave orrorifica che guarda da vicino al body-horror cronenberghiano - Stuart Gordon successivamente con From Beyond esalterà al massimo questo aspetto - ma con un registro cartoonesco in netta contrapposizione a quello asettico del cineasta canadese.
Il feticismo per il corpo come luogo di solo piacere in Re-Animator trova spazio nello sguardo morboso e maschilista che tutti i personaggi hanno nei confronti della povera Megan Halsey, interpretata da Barbara Crampton nel suo primo ruolo da protagonista, attrice che grazie a questo film diventerà una delle scream-queen più apprezzate degli anni ‘80.
Zombi nudi, teste mozzate e scienziati pazzi trovano nella commistione tra la commedia e l’horror il terreno fertile per un teatro dell’assurdo squisitamente figlio dell’amore per questo genere, dove il passare dei minuti coincide con l’aumento delle idee folli messe in scena da Stuart Gordon.
Pellicola fotografia del periodo anarchico del Cinema orrorifico statunitense, Re-Animator è una critica contro l’ambizione spropositata dell’uomo, le sue ossessioni e timori nascosti, un film capace di dare vita all’impossibile, mostrando ancora una volta che solo attraverso la macchina da presa tutto “Si può fare”.
Tra le commedie horror più singolari e weird bisogna ritagliare uno spazio per La piccola bottega degli orrori, basato sia sull’omonimo film di Roger Corman sia sul musical del 1982.
La pellicola introduce nella New York degli anni ’60 in uno scenario dove regna la povertà e il desiderio di una vita migliore.
Anche Seymour Krelborn (Rick Moranis), un giovane orfano, cerca di riscattarsi assieme alla giovane Audrey (Ellen Greene) nel negozio di fiori del signor Mushnick (Vincent Gardenia), l’uomo che lo salvò da bambino.
Mushnick, stanco di non avere alcun guadagno, decide di chiudere la bottega quando improvvisamente Seymour gli mostra una particolarissima pianta – rinominata Audrey II - acquistata in un negozio durante un’eclissi.
Appena la pianta viene esposta in vetrina, tanti curiosi cominciano ad avvicinarsi e la vendita dei fiori sale alle stelle; mentre tutto procede nel migliore dei modi, Audrey II comincia ad appassire e Seymour scopre un’orribile verità: la pianta si mantiene in vita nutrendosi di sangue.
Seymour decide inizialmente di sfamarla col proprio sangue ma Audrey II cresce e ne pretende sempre di più, pronta a rivelare la sua vera temibile natura.
Nonostante a una prima occhiata la trama - o anche solo il titolo del film - potrebbero dare una sensazione di inquietudine, in realtà il musical che ne risulta è più votato alla commedia che all’orrore in sé.
Alle canzoni già esistenti di Alan Menken e Howard Ashman - tratte dal musical del 1982 sopracitato -, si aggiunge la colonna sonora di Miles Goodman e la canzone“Mean Green Mother From Outer Space”, scritta appositamente per il film e candidata comeMiglior Canzone ai Premi Oscar 1987.
Interessante è anche la creazione di Audrey II, un animatronic realizzato nelle sue varie versioni in collaborazione con la Jim Henson Company: la pianta era animata principalmente da Brian Henson - figlio di Jim stesso - e attraverso l’uso di pochissimi momenti in CGI rende tutt’ora il suo aspetto memorabile, tanto da essere citata spesso in altri media, dai videogiochi ai fumetti.
Altra curiosità sono i due finali: nel primo - l’originale proiettato al cinema - vi è una conclusione all’apparenza lieta mentre nel secondo - attualmente disponibile come alternativo in home video - la tragicità e gli eventi riprendono la versione teatrale in modo struggente, e più affine alla visione di Frank Oz.
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Esistono opere che per molte ragioni scivolano fuori dal tempo, magari perché mancano il gusto e le ossessioni del pubblico al momento della loro concezione.
Di esempi ne esistono moltissimi e con destini differenti: alcune produzioni finiscono con il ritornare in auge, intercettando giusto in tempo e in qualche forma un pubblico che ne ribalta le sorti, mentre altre si perdono come lacrime nella pioggia.
Una di questa è The Voices, horror comedy dai toni grotteschi diretta da Marjane Satrapi, regista e sceneggiatrice di Persepolis e più recentemente dietro la macchina da presa per Radioactive.
Protagonista è uno schizofrenico Ryan Reynolds che si spoglia della sua parlantina e del suo charme per giocare in sottrazione e vestire i panni di Jerry: un ragazzo mite, un po’ da brividi, che rispondere all’identikit del soggetto perfetto per una stagione di Mindhunter.
Se fosse uscito oggi, The Voices sarebbe un caso cinematografico.
Il protagonista è un po’ Norman Bates e un po’ David Berkowitz, Figlio di Sam. La differenza è che Jerry parla anche con un gatto di nome Mr. Whiskers.
Il cane, Bosco, è quello magnanimo.
Dimenticate il raccapricciante Jeffrey Dahmer e abbracciate la visione del mondo di un adorabile e goffo schizofrenico, la cui vicenda è raccontata con un divertito disgusto e un raggelante, strambo, orrore.
In The Voices gli elementi di commedia non vogliono parodiare la figura del serial killer come mostro della modernità, prendendo seriamente la costruzione dei traumi di Jerry e il suo decadimento psicologico, come anche lo snodarsi della vicenda e la sua soluzione.
Caratterizza il film la rappresentazione della schizofrenia, che interviene per dare un taglio assurdo a come Jerry si protegge psicologicamente (e quale parte di lui suo lo fa), costruendo una poetica da commedia nera fatta di colori sgargianti, canzoni che risuonano nella testa come nelle favole, teste parlanti e allucinazioni a sostituire la realtà putrida e decadente.
Reynolds è straordinario e The Voices ha anche il merito di dimostrare quello che pensiamo tutti e nessuno vuole ammettere: i gatti sono animali malvagi.
Con un costo di produzione di appena 25.000 dollari e un incasso totale di 27.590.180 dollari, Zombie contro Zombie si rivelò nel 2017 il fenomeno anomalo del box office mondiale.
Diretto dall’esordiente Shin’ichirô Ueda, Zombie contro Zombie è perciò un film a basso budget che trae la propria forza anche da questo aspetto.
Come spesso accade quando la produzione non permette grandi spazi di manovra in termini registici, l’inventiva e il genio riescono a proporre soluzioni narrative e visive interessanti e in alcuni casi innovative (vedasi Sam Raimi e La casa).
Guardando perciò il film di Ueda non c’è da stupirsi come l’estetica sia figlia del mondo del Cinema low-budget, anche se il piano sequenza iniziale di una durata che va oltre i trenta minuti lascia presagire che l’intento del regista vada al di là del classico horror sugli zombie.
Cosa si nasconde dietro questa operazione?
Tramite una sceneggiatura costruita come un insieme di scatole cinesi, Zombie contro Zombie sfrutta diversi piani narrativi per teorizzare sul Cinema come finestra della realtà e al tempo stesso come sua cornice, in un’operazione pregna d’amore per la Settima arte e le maestranze che la rendono viva.
Film nel film, horror puro e commedia grottesca, Zombie contro Zombie è un concentrato di intrattenimento che non svilisce però questo concetto, andando oltre il semplice omaggio ai grandi del Cinema - giusto per citarne un paio: George Romero e Sion Sono - per seguire un’idea vincente, originale, senza tagli, one cut.
Michael Hazanavicius ne ha realizzato un remake dal titolo Cut! Zombi contro Zombi, presentato a Cannes 2022
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Trigger warning: bastoni dalla forma fallica che conducono a donzelle illibate, umori fantasmatici rigettati in barattoli, rockstar fallite riconvertitesi al satanismo.
Extra Ordinary è unahorror comedy irlandese, ambientata nelle verdi e cupe campagne dell'isola di smeraldo, un'irresistibile parodia del genere paranormale, dei racconti di spiriti, riti sacrificali e possessioni, in grado di omaggiare con devozione le ispirazioni di partenza e trasmutarle senza ridicolizzarle in spassosa, ma quasi commovente rivisitazione umoristica.
Seguiamo le vicende di Rose Dooley, istruttrice di guida dotata di poteri paranormali (nello specifico, la capacità di guidare nell'aldilà le anime "bloccate" nel nostro mondo), di cui è a conoscenza la sua piccola comunità, che richiede con insistenza i suoi servigi.
Ma è da tempo immemore, ormai, che Rose rifiuta questa sua "straordinarietà": da quando un incidente ha provocato la morte del padre, esperto dell'occulto e depositario degli stessi talenti della figlia.
L'incontro con Martin Martin (!), uomo tormentato dallo spirito della moglie morta che si ostina a non voler lasciare in pace lui e la figlia, che si intreccia ai discutibili piani di un cantante in rovina, farà sì che Rose riabbracci i poteri lungamente ripudiati, per uno scopo più alto.
Extra Ordinary si muove sul sottile confine che divide il comico dal buffonesco, riuscendo a rimanere in equilibrio con maestria, dando vita a un sobrio (assurdo ma vero, date le premesse) racconto dove il paranormale è legato a doppio filo al trauma personale, in quanto causa e risoluzione dello stesso.
Un calore di fondo permea le interpretazioni, impreziosite dal dolce e lamentoso accento irlandese: su tutte, quelle degli adorabili protagonisti, Maeve Higgins e Barry Ward.
Da segnalare, nei panni di Christian Winter, il cattivo della situazione, Will Forte, il MacGruber del Saturday Night Live.
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Se questa battuta vi riporta mentalmente a piccole cittadine statunitensi, notti di grida di terrore, coltelli, mattanze bagnate nel sangue e, soprattutto, a serial killer implacabili… beh: avete ragione.
È proprio a quell’immaginario che si rifà Christopher Landon per scrivere e dirigere il suo Freaky, divertente commedia (degli equivoci assurdi) che si mischia al genere horror e allo slasher.
Siamo nella periferia a stelle strisce delle casette a schiera, dei balli scolastici e dei giovani campioni di football che ammaliano le cheerleader: la nostra protagonista è Millie (Kathryn Newton), una giovane insicura, i suoi amici e i suoi compagni di High School.
Le loro vite vengono sconvolte da un mostro omicida - chiamato “il macellaio” (Vince Vaughn) - che nell’atto di uccidere Millie finisce per scambiare il suo corpo con quello dell’adolescente.
Riuscirà la ragazzina a riprendere possesso della propria identità prima di rimanere incastrata per sempre all’interno di un energumeno tritacarne di 2 metri?
Landon, sulla scia di quanto realizzato in precedenza conManuale scout per l'apocalisse zombie e Auguri per la tua morte, gioca col genere mischiando fra loro toni e stilemi con grande leggerezza, omaggiando e perculando allegramente meccaniche e topoi dello slasher.
Nel sesto lungometraggio del regista americano non c’è innovazione né la presunzione di volerne proporre, ma semplicemente il desiderio di divertire lo spettatore, intrattenendolo con body-swap à la Face/Off, una narrazione già vista ma ben costruita, qualche gag gustosa e la giusta spruzzata di sangue.
Freaky, prodotto dall'altalenante Blumhouse, è dunque un film brillante, pop, divertente e ben congeniato; capace di intrattenere con scelte semplici ma anche efficaci per il messaggio finale, rimanendo al contempo all’interno del substrato culturale orrorifico di noi tutti.
Senza considerare uno splendido Vince Vaughn che riesce ad essere credibile, spaventoso ed esilarante come mostro omicida prima e come ragazzina iperattiva e spaventata poi.