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Le 8 migliori serie TV del 2024 secondo la redazione di CineFacts.it

Stare sul divano a guardare serie TV sta diventando ogni anno più gratificante: ecco le nostre preferite del 2024

Siamo circondati da serie TV e la cosa ormai è un dato di fatto: la Streaming War che imperversa ormai da qualche anno ha fatto sì che la produzione di prodotti televisivi moltiplicasse l'offerta in maniera quasi bulimica, costringendo spesso gli spettatori a compiere delle scelte dato che letteralmente una persona non riesce a vedere tutto ciò che le interessa durante l'anno.  

 

Netflix, Prime Video, Disney+, AppleTV+, Infinity, TIMVision, Paramount+ stanno investendo centinaia di milioni di dollari in serie TV per riuscire a conquistare nuovi abbonati e tenersi stretti quelli che hanno già; chi ci guadagna di più in tutto ciò è lo spettatore che, nonostante appunto non riesca a star dietro a tutte le uscite, non ha mai avuto come adesso una possibilità così ampia di scelta, pensando anche all'arrivo di MAx, piattaforma in mano a Warner Bros. Discovery, che dovrebbe arrivare anche da noi nei prossimi mesi. 

 

Per la nostra Top 8 dell'anno come sempre abbiamo scelto di focalizzarci sulle serie TV che hanno esordito nel 2024 e non sulle stagioni 3, 5 o 10 di una serie già uscita negli anni precedenti: dopo le votazioni della redazione siamo arrivati a questi 8 titoli di cui vogliamo assolutamente parlarvi. 

 

 

 

Partiamo prima però menzionando quelle che non sono riuscite a entrare in Top 8, come ad esempio l'ottima Baby Reindeer, che tanto ha fatto chiacchierare la scorsa primavera per via della commistione tra autobiografia, dramma e grottesco che l'ha caratterizzata. 

 

Hanno preso voti anche Presunto innocente e Sugar per Apple TV+, Batman Caped Crusader e Mr. & Mrs. Smith su Prime Video, The Sympathizer e The Day of the Jackal per quelle uscite su Sky e NOW.

 

Non sappiamo quali siano state le vostre serie TV preferite del 2024 e attendiamo i vostri commenti per scoprirlo, intanto qui sotto potete scoprire quali sono state le nostre 8 ordinate in rigoroso ordine cronologico di uscita, dalla più lontana alla più recente! 

___ 

 

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Posizione 8

Shōgun 

dal 27 febbraio su Disney+ 

 

Ispirata al celebre romanzo omonimo di James Clavell, già base per la miniserie del 1975, la serie FX cattura lo spirito di un'epoca e di una cultura, immergendoci in un Giappone feudale ricco di fascino e complessità e messo in scena come una straordinaria celebrazione della bellezza visiva e narrativa. 

 

 

Ambientata nel XVII secolo, Shōgun racconta la storia di John Blackthorne (Cosmo Jarvis), navigatore britannico che si ritrova naufrago in un mondo misterioso e affascinante: attraverso i suoi occhi veniamo introdotti a una cultura incredibilmente differente da ciò a cui siamo abituati, guidata da codici d'onore e da tradizioni millenarie, a volte incomprensibili per chi è nato e cresciuto in Occidente.

 

Shōgun è in grado di affrontare gli enormi e complicati temi del confronto tra civiltà, del raggiungimento e della gestione del potere, della lealtà e dell'adattamento mentre al contempo dimostra una quasi maniacale e clamorosa attenzione ai dettagli: ogni quadro è costruito in maniera certosina da ogni reparto tecnico, fotografia, costumi e scenografie contribuiscono a creare un'atmosfera immersiva che risulta essere minimalista ed elegante.

 

Cosmo Jarvis con il suo accento esagerato e la sua irruenza viene controbilanciato dalla grande misura dell'interpretazione in sottrazione di Anna Sawai, mentre è impossibile non applaudire il lavoro di Hiroyuki Sanada, finalmente qui in un ruolo di primo piano in un prodotto di ampio target e ovvio vincitore dell'Emmy, nonché candidato al Golden Globe. 

 

In un periodo storico dove i contenuti sono schiavi dell'incapacità di restare concentrati per più di pochi secondi, con un panorama televisivo dominato dai ritmi imposti dai social media, Shōgun si distingue per il suo approccio contemplativo dove episodio è un'esperienza sensoriale, un viaggio nello spazio e nel tempo che tra le altre cose ci invita a riflettere sulla bellezza della diversità culturale. 

 

 

Per chi cerca una narrazione epica e visivamente sontuosa, per chi vuole appassionarsi e viaggiare restando sul divano, Shōgun è senza dubbio imperdibile. 

 

[a cura di Teo Youssoufian]  

 

Posizione 7

Ripley

dal 4 aprile su Netflix

 

Un giallo classico, una fotografia curatissima, un protagonista camaleontico: Ripley è forse la produzione Netflix più elegante del 2024.

 

La miniserie ideata e diretta da Steven Zaillian - sceneggiatore Premio Oscar per Schindler’s List - consta di 8 episodi della durata media di un’ora, segno di una narrazione che si riprende i suoi tempi, con maggiore attenzione ai dettagli, inquadrature prolungate e una lentezza pregna di significato.

 

Il personaggio di Tom Ripley, nato dalla penna di Patricia Highsmith e già interpretato negli anni da Alain Delon, Dennis Hopper, Matt Damon, John Malkovich (presente nella miniserie con un cameo) e Barry Pepper, torna sul piccolo schermo grazie all’incarnazione sottile e glaciale di Andrew Scott, che dopo un Jim Moriarty da brividi in Sherlock ci regala un altro cattivo da manuale.

 

Tom Ripley è il classico truffatore di piccolo calibro che per afferrare l’impossibile sogno di una vita agiata mai avuta si troverà invischiato in sotterfugi, inganni e reati sempre più gravi e dal macabro risvolto.

Accanto a Andrew Scott, Johnny Flynn e Dakota Fanning sono rispettivamente Dickie Greenleaf e Marge Sherwood, la coppia di statunitensi trapiantati in Italia che darà a Tom l’idea per il suo piano malefico di sottrazione dell’identità.

Dai sobborghi di New York ad Atrani, Tom avrà sempre meno scrupoli a presentarsi come ciò che non è e a truffare costantemente il prossimo pur di non svelare la propria bugia, accresciutasi nel tempo come una valanga di neve.

 

Girata tra Napoli, Atrani, Roma, Palermo e Venezia, Ripley annovera anche grandi prove attoriali di interpreti italiani, tra cui Maurizio Lombardi nei panni dell’ispettore Ravini e Margherita Buy in quelli della signora Buffi.

 

I richiami alla cultura dell’Italia degli anni '50 sono molti e molto ben fatti, a partire dall’interpretazione di Scott, che recita gran parte degli episodi in italiano.

 

Il bianco e nero scelto per richiamare i noir classici ha secondo me il pregio ulteriore di alleggerire le rappresentazioni stereotipate dell’Italia della "Dolce Vita", che il colore avrebbe sovraccaricato di una folklorizzazione troppo spesso evidente nelle produzioni internazionali che hanno come ambientazione il nostro Paese.

 

[a cura di Elena Bonaccorso

 

 

Posizione 6

Bad Monkey

dal 14 agosto su Apple TV+   

 

Apple TV+ continua a sfornare serie che valgono il prezzo del biglietto e Bad Monkey, adattamento del romanzo del 2013 di Carl Hiaasen, non fa eccezione.

 

 

In un panorama televisivo che si prende sempre maledettamente sul serio, sulla piattaforma streaming della Mela trovate una discreta quantità di commedie imperdibili (non c’è solo Ted Lasso) mescolate con altri generi. 

 

Bad Monkey è prodotta da Bill Lawrence (il creatore di Scrubs) ed è una commedia nera investigativa che mette al centro di una bizzarra indagine Andrew Yancy (Vince Vaughn) tra il sud della Florida e una piccola isola delle Bahamas, con un Vaughn in forma strepitosa nei panni di un detective della polizia chiacchierone e con il complesso del boy scout.

 

L'intreccio crime che parte da un braccio mozzato che fa il dito medio, le suggestioni vudù che condiscono la cosa a piacere e una voce narrante che canzona i protagonisti e lo spettatore sono solo alcuni degli elementi di una serie stupenda. 

 

 

Se non siete convinti c'è anche Michelle Monaghan che è un po' dark lady e una sorta di Fujiko Mine.

 

Bad Monkey ha tutto e se avete paura che vi lasci appesi a una seconda stagione, vi rassereno: non solo il caso si conclude in questa prima stagione, ma Apple ha confermato il ritorno della serie.

 

 

Insomma, se al cinema abbiamo Benoit Blanc, in TV ci pensa Andrew Yancy a portarci in un crime appassionante e sopra le righe. 

 

[a cura di Alessandro Dioguardi] 

 

Posizione 5

The Penguin 

dal 19 settembre su Sky Atlantic e NOW 

 

Sarà forse per la stazza o per l'accento del New Jersey, ma una parte significativa del pubblico ha guardato The Penguin come fosse I Soprano.

"Che confusione, sarà perché è HBO?" 

 

Forse, ma il mistero tormenta i miei incubi e le mie sinapsi che continuano a chiedersi perché uno spin-off tratto da The Batman, la cui Gotham non ricorda proprio il serafico mondo di Animal Crossing, non possa essere letto nella sua sfera di appartenenza senza confronti a mio avviso un po' noiosi. 

 

The Penguin fa un piccolo miracolo e nello stesso anno in cui Colin Farrell interpreta l'affascinante, misterioso e amabile John Sugar, trasforma l'attore irlandese in un mostro affabulatore.

Tutti cadono vittima del suo torrenziale e ipnotico flusso di parole: Oz Cobblepot muove ogni protagonista della malavita gotamita come un burattino, compreso lo spettatore.

In Oz vediamo il bambino, l'uomo della strada frutto del degrado di Gotham, e il criminale che vuole il Potere: non quello dato dalla politica, dalla fama o dal denaro, ma dalla legge del più disumano.

 

Eppure nello show viene quasi oscurato dalla Sofia Falcone di Cristin Milioti che, con un'interpretazione magnetica, ci porta un boss del crimine che brama vendetta ma non è soggetta al fascino del potere.

Un personaggio che amiamo, ammiriamo e temiamo.

 

Non è Oz e il finale della serie ci ricorda che siamo nel mondo di Batman e che quello non è Tony Soprano ma Oz "Penguin" Cobblepot, un uomo spregevole che con il suo tono di voce ruvido ha mesmerizzato tutti, perché in realtà non conosce l'amore, l'onore o il rispetto. 

Il Dottor Loomis di Halloween lo catalogherebbe nello scaffale "male puro."

 

The Penguin è vile, Sofia è una donna rotta che cerca la pace ma prima deve esercitare la sua vendetta. 

Oz è un villain, un criminale, un personaggio ignobile e non ha intenzione di nascondersi.

 

Peccato per lui che esista The Batman. 

 

[a cura di Alessandro Dioguardi] 

 

Posizione 4

Hanno ucciso l'Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883

dall'11 ottobre su Sky Atlantic e NOW 

 

Due ragazzi di provincia, il sogno di far musica e una dose indefinibile di nostalgia: sono questi gli elementi alla base di Hanno ucciso l'Uomo Ragno - La leggendaria storia degli 883, serie che ha assolutamente monopolizzato l'attenzione autunnale degli spettatori italiani. 

La storia di Max Pezzali e Mauro Repetto e della loro ascesa dalla placida Pavia alla vetta di tutte le hit list tocca tutte le corde giuste, tanto nello spettatore più appassionato quanto in quello più casual: Sydney Sibilia debutta alla direzione di una serie TV portando sul piccolo schermo tutte le caratteristiche distintive dei suoi film, storicamente incentrati su dei perdenti alla scalata di un mondo più o meno ampio.

Non è un caso che gli 883, così come raccontati da Sibilia, siano al contempo giovani e già sommersi da un mare di quella stessa nostalgia che non può che estendersi a chi si posiziona davanti allo schermo per seguire le loro avventure, tanto che spesso altri personaggi del racconto sono costretti a farglielo notare. 

La verve dei protagonisti Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli, autoironici e sempre prossimi all'esperienza umana dello spettatore, rende la serie una delle visioni più sorprendenti dell'anno. Se è Pezzali il vero protagonista della storia, non sfuggirà ai più attenti l'amore provato dal regista nei confronti di Mauro Repetto, con il quale condivide l'esperienza da animatore nei villaggi turistici: un affetto che lo aiuta a descrivere al meglio la reale importanza, creativa ed estetica di quello che per anni, nella percezione generale, è stato semplicemente "il ballerino degli 883". 

 

La regia in perenne movimento, la creazione di alcuni tormentoni interni e il corretto inserimento degli status symbol di inizio anni '90 nel racconto hanno contribuito a un mix di enorme successo e leggerezza, in grado di creare nei fruitori l'immediato desiderio di assistere a un finale. 

Se un appunto si vuol muovere all'ottimo lavoro svolto dal regista e da Grøenlandia Film in fase produttiva, questo può essere relativo alla contestualizzazione storica.

Perché va bene che "Estate 1992: l'estate degli 883", ma purtroppo quell'estate non ha rappresentato solo quello per il nostro paese.

Raccontarlo anche all'interno di una storia carica di divertimento e buoni sentimenti non avrebbe di certo intaccato i punti di forza di un prodotto che, al contrario, si sarebbe solo mostrato più profondo e sfaccettato. 

Dopo averci raccontato la parabola di una strampalata banda di ricercatori alle prese con il precariato e lo spaccio di smart drug, una rilettura alleggerita di ogni implicazione storico-politica della storia di Giorgio Rosa e il fenomeno della pirateria musicale dalla prospettiva di tre ragazzi napoletani, con Hanno ucciso l'Uomo Ragno Sibilia sembra aver trovato la sua dimensione anche sul piccolo schermo.

 

Non a caso è già stato annunciata la stagione 2 intitolata Nord Sud Ovest Est, le cui riprese sono ormai vicine a vedere la luce: sarà un successo anche questa? 

 

[a cura di Jacopo Gramegna]

 

Posizione 3

Disclaimer - La vita perfetta 

dall'11 ottobre su Apple TV+ 

 

Ti chiami Alfonso Cuarón, hai vinto 4 Oscar e 300 altri premi, ti coinvolgono per una serie TV ma tu non ne hai mai fatte: cosa fai? 

 

Compri i diritti di un romanzo, chiami una delle migliori attrici viventi, un grandissimo attore quasi dimenticato dal Cinema, un attore comico noto per i suoi personaggi fuori dalle righe e un giovane talentuosissimo senza aver mai lavorato con nessuno dei quattro e poi per la fotografia non scegli solo Emmanuel Lubezki - amico e collaboratore da più di trent'anni - ma anche Bruno Delbonnel, uno che non avrà i 3 Oscar del Chivo ma che con 6 nomination non è proprio il primo che passa.

 

Il risultato non è una serie TV, ma un film noir di 7 ore diviso in parti, un avvincente e fastidioso viaggio nei meandri della verità e della percezione, del senso di colpa e della memoria. 

 

Disclaimer racconta la storia di Catherine Ravenscroft (Cate Blanchett), giornalista investigativa di successo nota per il suo rigore e la sua integrità, la cui vita viene sconvolta da un libro misterioso che svela segreti del suo passato che lei pensava sepolti per sempre: chi lo ha scritto? 

 

Come sa quelle cose?

Perché lo ha pubblicato? 

Come fare per nasconderlo al marito (Sacha Baron Cohen) e al figlio (Kodi Smit-McPhee)?

Chi è il vecchio (Kevin Kline) che si aggira intorno alla vita di Catherine e cosa vuole da lei? 

 

 

Inutile che mi soffermi troppo sulla confezione: la fotografia spesso in luca naturale è una delle protagoniste della serie tra crepuscoli e tramonti, enormi vetrate di case e uffici che incorniciano i personaggi e riescono a esporli così come a nasconderli quando richiesto. 

 

Il plot scorre a meraviglia giocando con lo slow burn e soprattutto con le convinzioni e i valori di chi guarda, che sicuramente si troverà a doversi confrontare con i propri pensieri una volta giunto alla fine del racconto. 

 

Disclaimer mette a dura prova ciò che eravamo convinti di conoscere in merito alle storie, al punto di vista e al beneficio del dubbio, in un modo che personalmente non avevo davvero mai visto sul piccolo schermo.  

 

[a cura di Teo Youssoufian] 

 

Posizione 2

Qui non è Hollywood

dal 30 ottobre su Disney+  

 

Il delitto di Avetrana è stata una delle pagine più oscure del nostro Paese su diversi piani, da quello sociale fino a quello politico e giuridico.

La spettacolarizzazione del delitto, la sovraesposizione dei familiari, il protagonismo dei passanti e dei falsi testimoni ha tristemente reso la tragedia un’avvicente storia di cui parlare a cena, tra una portata e l’altra. Su questo i giornali e la televisione hanno marciato e continuano purtroppo a marciare ancora. 

Pippo Mezzapesa e il suo gruppo di sceneggiatori sembrano aver riflettuto proprio su questo, seguendo le orme tracciate da Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni (il saggio Sarah. La ragazza di Avetrana) nella costruzione di Qui non è Hollywood, una miniserie di quattro episodi, ciascuno della durata di circa un’ora. 

Naturalmente intorno all’uscita di Qui non è Hollywood (così chiamata dopo la decisione del Tribunale di Taranto di eliminare il nome del comune pugliese dal titolo) è esplosa al tempo un’accesa e lecita polemica, tra chi accusava la produzione di voler lucrare su una tragedia avvenuta poco fa, l’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, e chi denunciava l’ulteriore mitizzazione dei drammatici protagonisti della vicenda, già ampiamente idealizzati dai servizi televisivi dell’epoca.

 

La miniserie di Mezzapesa, prodotta da Matteo Rovere con Grøenlandia, dimostra invece di saper trattare la vicenda con coscienza e sensibilità, prendendosi cura dei lati più fragili della tragedia (l’orribile morte di una bambina) e impostando il racconto in modo rispettoso.

La volontà sembra essere infatti anche quella di denunciare la narrazione-tipo della televisione generalista e le tremende conseguenze che essa ha avuto sul pubblico: la fame di notizie, la violenza verbale nei confronti di innocenti fino a prova contraria, l’accalcarsi sui luoghi del delitto con telefoni e telecamere, per immortalare i monumenti della tragedia come veri e propri turisti della morte. 

La scioccante somiglianza del cast (soprattutto Giulia Perulli, Vanessa Scalera e Paolo De Vita) alle persone reali, grazie allo straordinario make-up e all’utilizzo del trucco prostetico, è stato un elemento decisamente apprezzato dal pubblico, e tuttavia quello che personalmente ho trovato più inutilmente disturbante.

Perché in quella somiglianza non ritrovo l’orrore della tragedia, bensì quello della sua spettacolarizzazione. 

 

La miniserie è in ogni caso decisamente un unicum nel panorama produttivo italiano, anche perché in modo particolare essa è segnata da uno stile estremamente riconoscibile, di stampo internazionale, arricchita da alcuni elementi interessanti tra la rappresentazione della psicologia dei personaggi e la colonna sonora esportata direttamente dal lettore MP3 di un’adolescente di quindici anni fa.   

 

[a cura di Matilde Biagioni] 

 

Posizione 1

Dostoevskij 

dal 27 novembre su Sky Atlantic e NOW

 

Sondare il marcio dell'animo umano è, da sempre, prerogativa dei lavori di Fabio e Damiano D'Innocenzo, cantori del disfacimento della mascolinità, della repulsione nei legami familiari, dell'imbarbarimento dei rapporti personali e dell'emersione della violenza nella banalità del quotidiano.

 

 

Anche Dostoevskij, prima fatica seriale dei gemelli romani - che loro comunque definiscono "il loro quarto lungometraggio" - parla di tutto questo e lo fa attraverso delle scelte formali che lasciano senza fiato già dai primissimi istanti, anche grazie all'uso di un granulosissima pellicola Super 16mm che spiazza lo spettatore. 

 

Protagonista dell'opera è Enzo Vitello, ispettore di polizia alle prese con lo sconvolgente caso di un serial killer "poeta", che dedica lunghe e lugubri lettere ai poliziotti dopo ogni assassinio: di qui il maldestro ma efficace soprannome Dostoevskij affibbiatogli dalla squadra investigativa sulle sue tracce. 

 

 

Su Filippo Timi - alla seconda interpretazione indimenticabile regalataci negli ultimi 12 mesi, dopo quella sensazionale in Rapito - poggia dunque la responsabilità di essere il nostro deviato Virgilio in un racconto oscuro quanto la selva di dantesca memoria.

 

 

Attraverso le lenti deformanti del genere ancora una volta i fratelli D'Innocenzo si spingono nelle zone d'ombra e raccontano un'Italia rurale e di provincia, vicina a essere un non luogo: le ossessioni del protagonista si intersecano con le idiosincrasie di un mondo che attraverso la propria estrema crudezza rifugge paradossalmente il realismo.

 


Il pessimismo sostanziale incontra, dunque, un integralismo formale sempre più marcato nei lavori degli autori, giungendo a un risultato imperdibile: una delle migliori serie TV - se così è possibile definirla - mai prodotte in Italia.

 

[a cura di Jacopo Gramegna

 



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