Il 2024 si è rivelato un grande anno per il Cinema mondiale, caratterizzato da produzioni che hanno saputo unire qualità artistica e successo commerciale, con una rinnovata attenzione a temi globali, diversità culturale e innovazione tecnologica.
Dai festival internazionali ai risultati del box office il panorama cinematografico del 2024 ha mostrato una varietà e una vitalità che testimoniano che nonostante le cassandre disseminate un po' ovunque il Cinema è duro a morire e resta forse l'unica forma d’arte in grado di evolversi e di rispondere alle domande della società, nonché a porne di nuove.
Lo sciopero di SAG-AFTRA del 2023 ha fatto slittare parecchi titoli, con il risultato di riempire le sale del 2024 con molti film la cui uscita era prevista nei mesi precedenti.
Tra i film che hanno segnato l'anno spiccano titoli come La zona d’interessedi Jonathan Glazer, opera che ha continuato a raccogliere consensi dopo la presentazione al Festival di Cannes - dove ha vinto il Grand Prix Speciale della Giuria - e i due Premi Oscar ottenuti come Miglior Film Internazionale e Miglior Sonoro.
Parlando di Premi Oscar viene naturale citare un altro dei titoli che prima dell'estate ha fatto parlare praticamente tutto il mondo: Povere creature! di Yorgos Lanthimos, opera visionaria che mescola la critica al patriarcato con la fantasia e il grottesco, si è aggiudicata 4 statuette dorate su 11 nomination e viene il sospetto che se non fosse stata la stagione di Oppenheimer (uscito però nel 2023) il film del regista ellenico avrebbe anche potuto vincere di più.
Sempre stando vicini agli Academy Awards nel 2024 è uscito da noi Past Lives, il debutto semiautobiografico di Celine Song che ha emozionato il pubblico mondiale grazie all'esplorazione intima delle relazioni umane e del destino, in un delicato mix che fonde il Cinema indipendente nordamericano con quello asiatico, esattamente come la vita della protagonista... e della sceneggiatrice e regista del film.
Sul fronte animazioneIl ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki ha rappresentato un ritorno trionfale per il Maestro giapponese di Studio Ghibli: la sua poetica e il suo inconfondibile stile hanno affascinato spettatori di ogni età, rendendo il film uno dei più acclamati dell’anno.
Il circuito dei festival ha visto una forte competizione - anche se si fa finta che non esista - tra il Festival di Cannes e la Mostra del Cinema di Venezia, due gigantesche vetrine ormai non solo per il Cinema d’autore ma anche per titoli decisamente più pop.
Furiosa: A Mad Max Saga, Megalopolis, The Apprentice, Joker: Folie à Deux, Beetlejuice Beetlejuice, WolfseThe Substance sono tutti film presentati a Venezia e Cannes, a dimostrazione del fatto che le due kermesse europee più importanti per il Cinema mondiale stanno ormai da tempo cercando di unire Arte e Spettacolo, con lo strano caso del doppio Horizon di Kevin Costner che ha visto la prima parte presentata sulla Croisette a maggio e la seconda sulla Laguna a settembre.
Avendoli citati mi prendo il lusso di una parentesi sui film di Francis Ford Coppola e Coralie Fargeat: che Megalopolis non sarebbe stato accolto solo da applausi era chiaro fin dall'anteprima mondiale a cui sono stato presente, ma che The Substance avrebbe conquistato una fetta di pubblico così larga non me lo sarei aspettato; come vedrete sono due dei film che ho più amato nel 2024, per motivi incredibilmente diversi, e a loro modo sono entrambi stati protagonisti dell'annata cinematografica, anche se in maniera diametralmente opposta.
Dal punto di vista commerciale il 2024 ha visto un lieve ribasso degli incassi globali, arrivando a circa 20 miliardi di dollari sul botteghino mondiale, rispetto al 2023 che aveva chiuso a 26.
Siamo ancora lontani dai 39 miliardi raggiunti nel 2019 pre-pandemia, ma dal 2021 a oggi il box office è salito - tranne quest'anno rimasto "orfano" di grandi titoli di richiamo - sintomo questo che nonostante le piattaforme streaming in aumento e in costante concorrenza spietata il pubblico continua a vedere la sala come il luogo preposto per godere del Cinema.
Soltanto Wicked, che però parte comunque dalla più che solida base di un musical amato da più di vent'anni, resiste all'interno di una pletora di film che avevano un capitolo pre-esistente.
La Top 10 mondiale tra l'altro non dice neanche tutta la verità, perché se proseguiamo fino al 20° posto nella classifica degli incassi troviamo Il gladiatore II, Bad Boys: Ride or Die, Il regno del pianeta delle scimmie, Twisters, It Ends With Us - Siamo noi a dire basta, Alien: Romulus, Il robot selvaggio, A Quiet Place: Day One, Garfield, Joker: Folie à Deux.
Altri 7 sequel (o prequel) su 10 titoli dove restano fuori solo due film di animazione e un film lanciato da un romanzo molto amato dai giovanissimi e che ha potuto godere di un clamoroso passaparola grazie a TikTok.
Gli incassi risalgono, dunque, ma sembrano farlo in un'unica direzione, quella dei comfort movie dove lo spettatore ritrova personaggi e situazioni già note, dove le sorprese sono poche e il rischio di delusione è azzerato (o quasi, data l'accoglienza del pubblico globale al secondo capitolo di Joker): le major proseguono la strada segnata dagli spettatori, quella che a loro conviene di più e resta la meno pericolosa.
Hollywood sta rischiando pochissimo ultimamente, ma per fortuna abbiamo ancora tante speranze riposte nelle cinematografie di altri paesi e anche in quella statunitense, dove case di produzione e distribuzione come A24 e NEON stanno dimostrando che a volte il fiuto e il rischio sono due elementi in grado di riaccendere la passione per il Cinema sopita nel pubblico generalista.
Il 2024 è stato anche un anno importante per la crescita e lo sdoganamento dell'intelligenza artificiale, che senza dubbio rivoluzionerà come mai prima l'industria cinematografica e quella dell'intrattenimento in generale:The Beastdi Bertrand Bonello ne accenna ma è The Last Screenwriter, film svizzero dove accreditato alla sceneggiatura c'è letteralmente ChatGPT 4.0, il film che più rappresenta le paure e i timori dell'industria nei confronti del futuro.
Quanto manca al primo vero film realizzato con le IA distribuito in sala?
Come reagirà l'industria e come si potrà gestire in qualche modo questo tipo di tecnologia? Al momento non lo sappiamo, possiamo solo osservare come ogni settimana le IA migliorino rispetto alla settimana precedente, a un ritmo che un essere umano non potrà mai raggiungere.
Il Cinema sembra essere di fronte all'ennesima rivoluzione, all'ennesimo "nemico" che assicura di annientarlo come in passato si è detto della televisione, delle videocassette, dei videonoleggi, dei DVD, dello streaming...
Per adesso mi pare che il Cinema sia ancora lì e che ancora oggi sia in grado di rappresentare ciò che siamo e anticipare ciò che saremo, accompagnando il progresso dell'umanità e al tempo stesso riuscendo a intrattenerla e farla discutere, nonostante le mille concorrenze e le diecimila avversità.
Quando arriverà il momento del Cinema creato dalle Intelligenze Artificiali capiremo cosa avremo di fronte, ma sono piuttosto convinto che la Settima Arte più che defungere definitivamente troverà il modo di sopravvivere ancora e resistere stoica e fiera.
Esattamente come ha fatto finora dal 1895.
[Introduzione a cura di Teo Youssoufian]
Prima di iniziare con la classifica, che in quanto tale sappiamo perfettamente sia passibile di critica e di disaccordo, ecco come ci si è arrivati: ogni membr* della redazione che ha voluto partecipare alla stesura ha scelto i propri 10 titoli dell'anno e li ha classificati.
Le discriminanti erano queste:
- Il film doveva essere stato distribuito in Italia tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024
- Non faceva fede solo l’uscita in sala, quindi abbiamo tenuto conto di tutti film distribuiti in sala e su piattaforma (Netflix, Prime Video, Disney+, Infinity, TIMVision, AppleTV+, MUBI, Rakuten, RaiPlay, Paramount Plus, ecc) lasciando però fuori eventuali festival, anteprime stampa e anteprime online.
Ne è uscito un totale di 43 film e si è scelto di assegnare un punteggio da 10 a 1, dalla prima posizione all'ultima, per poi giungere agli 8 di questa classifica.
Per correttezza e trasparenza, nonché per la vostra eventuale curiosità, ecco le classifiche dei singoli redattori.
CineFacts non ha editori, nessuno ci dice cosa dobbiamo scrivere né come dobbiamo scrivere: siamo indipendenti e vogliamo continuare ad esserlo, ma per farlo abbiamo bisogno anche di te!
"Puoi fingere di avere paura di qualcosa che non è lì?"
È la domanda che viene posta a Gabrielle (Léa Seydoux) da una voce fuori campo nella scena iniziale di The Beast.
La giovane donna è costretta a fingersi terrorizzata davanti a un green screen: Gabrielle segue le istruzioni, prende un coltello e, circospetta, aspetta l'arrivo di un orrore senza nome. L'urlo che segue fa collassare l'immagine in un glitch che introduce l'ultimo film, forse il più ambizioso, di Bertrand Bonello.
L'incombere di un'apocalisse innominabile e multiforme è ormai da tempo una delle ossessioni del cineasta francese e in The Beast, sua ultima fatica, trova terreno fertile e struttura narrativa nella novella La bestia nella giungla, pubblicata nel 1903 da Henry James.
Sia The Beast che il racconto di James hanno a che fare con un'angoscia tanto tremenda quanto indefinibile, un'attesa segnata dal terrore del compiersi di una catastrofe. Se James vi riconosceva la prospettiva di non riuscire a vivere la vita a pieno, Bonello veste la sua personale Bestia di una serie di preoccupazioni che ci riguardano tutti da vicino: l'isolamento, la malattia, l'essere costantemente online, la misoginia, la pervasività degli algoritmi e delle intelligenze artificiali.
Gabrielle vive nella Parigi del 2044, dove le intelligenze artificiali hanno ormai preso il controllo delle città offrendo agli umani un'operazione di purificazione dalle emozioni finalizzata all'eliminazione dei traumi e all'adesione alla razionalità della macchina. Questo processo, pensato per rendere l'individuo più efficiente, prevede una purificazione che parte dalle vite precedenti: Gabrielle si ritrova così pianista e nobildonna nella Parigi del 1910 e attrice e modella nella Los Angeles del 2014.
Queste vite hanno in comune l'incontro con Louis (George MacKay) e l'incombere inevitabile di una tragedia.
Sarebbe facile ma ingenuo incanalare il film nel genere fantascientifico, in quanto Bonello crea una Opera Mondo fatta su misura per la contemporaneità, in cui la narrazione di una struggente vicenda di amour fou (che si dispiega sulle note evocative di Evergreen di Roy Orbison) si lega a un commentario preciso e preoccupato sullo stato del mondo. Più che immaginare scenari futuri, Bonello scava tra le pieghe del presente, raccontando di un'umanità che, nel timore di essere soppiantata dalle macchine, non si rende conto di aver già sacrificato la propria empatia alla collettiva ipnosi tecnologica.
Il racconto della storia d'amore dannata ed eterna tra Gabrielle e Louis diventa quindi un invito ad abbandonarsi alle passioni anche nella tragedia, a creare legami persino negli scenari più cupi. Questo tema emerge con forza nell'episodio della Los Angeles del 2014, dove Bonello si ispira alla vera storia del massacro di Isla Vista, perpetrato da un incel (involuntary celibate), termine con cui alcuni uomini misogini si definiscono, attribuendo al genere femminile la colpa della loro incapacità di stabilire relazioni intime.
Bonello non ha paura di affrontare ed esplorare temi scomodi con una prospettiva unica, come già dimostrato nel suo capolavoro Nocturama.
Anche lì si dichiarava l'inevitabilità di una fine del mondo come lo conosciamo ("Doveva accadere prima o poi no?", commentava Adèle Haenel riguardo gli attentati terroristici organizzati dai giovani protagonisti), un'idea che avvicina Bonello a grandi cantori della fine dei tempi come Bruno Dumont, Radu Jude e Harmony Korine, quest'ultimo citato esplicitamente in The Beast attraverso l'utilizzo di frammenti tratti da Trash Humpers.
Un film non di facile realizzazione e per questo ancora più prezioso: Bonello ha infatti dovuto posporre il progetto diverse volte a causa della pandemia di COVID-19, perdendo nel frattempo il suo protagonista eletto, Gaspard Ulliel, morto tragicamente in un incidente di sci. Il regista ha però colto l'opportunità per realizzare Coma, progetto solo apparentemente più contenuto ma altrettanto ricco di idee e suggestioni, e sorta di laboratorio creativo per The Beast.
Oltre a Seydoux e MacKay, completano il cast Guslagie Malanda, già apprezzata in Saint Omer, e Xavier Dolan che si cimenta in un inedito doppio ruolo: quello della voce dell'intelligenza artificiale e di produttore esecutivo del film.
Caratterizzato da una libertà senza compromessi e da un'acuta capacità di analisi dell'alienazione contemporanea, Bertrand Bonello conferma con The Beast di essere uno degli autori più importanti e rappresentativi del XXI secolo.
[a cura di Marco Lovisato]
Posizione 7
Racconto di due stagioni
di Nuri Bilge Ceylan
L'Anatolia conosce solo due stagioni: l'inverno e l'estate.
Due stagioni in cui le erbe seccano, come suggerisce il titolo internazionale (About Dry Grasses) dell'ultima, monumentale, opera del maestro turco Nuri Bilge Ceylan, che porta in scena il racconto di tre esseri umani la cui moralità è esposta ai rigori e all'arsura del piccolo villaggio a ridosso del Kurdistan in cui si trovano confinati.
Mentre i rumori della guerra riecheggiano nelle gelide notti di quel minuscolo centro scorrono le vite di Samet, Kenan e Nuray: i primi due lavorano nella stessa scuola e sono coinquilini, la terza è stata vittima di un attacco terroristico e ha perso una gamba.
Samet e Kenan si ritrovano presto invischiati in un'indagine su presunti comportamenti inappropriati verso delle studentesse, Nuray è, invece, in continua lotta per autodeterminarsi, non piegandosi al ruolo in cui la sua condizione fisica e sociale vorrebbe confinarla.
Come sempre ha fatto lungo la sua splendida filmografia in Racconto di due stagioni Nuri Bilge Ceylan sceglie una figura chiave della società - l'insegnante - per analizzare le contraddizioni, le frustrazioni e le infinte possibilità manipolatorie che si annidano laddove lo Stato guarda altrove e la cultura supera il proprio ruolo educativo, diventando un'arma di offesa e autodifesa.
Per farlo, ovviamente, Ceylan tiene fede alla sua poetica, diluendo i tempi della narrazione e lasciando che i conflitti sottesi montino lungo le 3 ore e 20 minuti di durata dell'opera: l'uso della camera fissa, le potenzialità espressive dell'ambientazione e il mondo interiore dei protagonisti diventano lo scenario su cui si dipana una pellicola che deve tanto alla lezione dei grandi autori letterari russi, prima ancora che ai chiari modelli cinematografici del regista, Abbas Kiarostami e Andrej Tarkovskijsu tutti.
Oltre alla coerenza con la storia artistica del proprio autore, però, Racconto di due stagioni mostra alcuni inserti del tutto nuovi nella filmografia di Ceylan: l'inserimento della sua personale esperienza di fotografo - portando in scena direttamente alcuni degli scatti catturati dai protagonisti durante la loro permanenza nel villaggio - e uno sconvolgente momento di rottura della quarta parete, che porta inequivocabilmente lo spettatore a interrogarsi su cosa voglia effettivamente dire interpretare "il copione della vita".
Racconto di due stagioni è un'opera dalle implicazioni etiche, politiche e sentimentali gigantesche, che si pianta nelle coscienze degli spettatori al termine dei suoi 200 minuti di durata, gemmando di volta in volta in sensazioni, considerazioni e immagini indimenticabili.
Un'esperienza cinematografica che impedisce alle coscienze di seccare.
Mentre sfiora nuove vette, il che è già tutto dire, non va rintanandosi nell'algida spelonca del piccolo chimico, pronto ad armeggiare algebricamente (potrei anche dire linguisticamente) coi suoi alambicchi; al contrario fa invece di quella ricerca una pratica vivente che si tuffa con eccezionale vigore critico tra le immagini del nostro tempo.
Do Not Expect Too Much from the End of the World, Premio Speciale della Giuria al Locarno Film Festival, si aggira tra le macerie del tardo-capitalismo più spinto: ma se nel 1948 Roberto Rossellini poteva ancora confrontarsi con uno scenario post-apocalittico di facile individuazione, poi da trasfigurare (in direzione, potremmo dire con Gilles Deleuze, ottico-sonora) per coglierne il tragico, oggi Jude non ha a disposizione né dei resti inequivocabili, né lo spazio concettuale per trasfigurare, né l'accesso a un senso del tragico infine sacro.
La trasfigurazione informa preventivamente il cosiddetto reale, ne costituisce il manifestarsi e insieme il punto cieco.
In questa giostra di segni iper-contemporanea, novello paese dei balocchi, il potere pervade gli interstizi e, nel caso specifico, orienta verso la massima auto-perpetuazione del modello capitalista, che essenzialmente non ha che da alimentarsi a mo' di vampiro.
Lo svuotamento di senso che questa marcia determina, marcia in cui - per paradosso - i sensi sembrano straordinariamente proliferare (nella giostra), conduce all'assurdo, ossia nel luogo in cui Jude si colloca precisamente, individuando l'intima scomparsa del tragico proprio nel vortice delle trasfigurazioni che celano ogni vestigia.
La sua prima mossa, nel primo dei due segmenti dell'ultima fatica, consiste quindi nel posizionarsi tra le immagini del nostro tempo.
Nell'operazione più smaccatamente contemporanea, egli riprende - nel parossismo del parossismo - il linguaggio di TikTok e il machismo di personaggi come Andrew Tate, marcandone lo stacco tragicomico rispetto alla grigia esistenza della protagonista Angela.
Insieme, si rivolge nondimeno a immagini del passato rumeno, utilizzando direttamente delle scene di una pellicola del 1981.
Entro questo lavoro d'archivio, saggistico se non videoartistico, esibisce le faglie di una società in frantumi.
Soprattutto, però, al montaggio parallelo, paratattico, imprime - coup de théâtre - una svolta ipotattica, incrociando le linee (di forza): il film del 1981 non incarna soltanto una funzione di commento, ma finisce per ricongiungersi col presente, scoperchiando il vaso di Pandora della trasfigurazione.
L'Angela vista sino ad allora (interpretata da Ilinica Manolache) incontra la protagonista del flusso audiovisivo che scorreva accanto al suo; incontra un'altra Angela, un personaggio di finzione, e non la sua attrice, Dorina Lazar.
Ecco che tra le immagini del nostro tempo, dopotutto, non si sta così sicuri.
La seconda mossa si sostanzia poi, nel segmento conclusivo, in una lucidissima prova di ispessimento: nel piano sequenza fisso, privato delle fluttuazioni ottico-sonore, le linee di forza (politiche) appaiono nel progressivo allestimento dell'immagine, in questo caso pubblicitaria.
Questo sublime momento di teoria, quasi vertiginoso nel suo inesorabile snodarsi, riesce pure a far toccare costruzione (dell'immagine e drammaturgica) e de-costruzione entro un trama che pochi hanno saputo intessere con una simile destrezza.
Non mi resta dunque che ripetere e rinforzare quanto detto nel 2021: come minimo, ancora una volta, siamo in presenza di una delle opere più stimolanti dell'ultimo anno.
Riassumere Il ragazzo e l'airone in poche righe è riduttivo; più che un film è un'esperienza.
In un certo senso, per lo spettatore che conosce il Maestro di Tokyo, è come salire una torre: a ogni piano corrisponde un film, un pezzo della carriera del regista, ma anche del suo cuore.
In cima, crepuscolare e cripticamente intimo, svetta Il ragazzo e l'airone: un film che è un addio, ma che non chiude alcun ciclo, piuttosto apre a nuove domande.
Con linee dure e imprecise l'incipit del film è un'immersione nella guerra: una citazione a Isao Takahata, compianto collega e cofondatore di Studio Ghibli.
Le linee tremanti e deformi si arrotondano di nuovo, siamo di nuovo in territorio miyazakiano, ma l'inquietudine resta, vibrante e gracchiante.
Come un misterioso airone dal volto minaccioso, custode demoniaco e persecutore di una dimensione a cavallo tra realtà e fantasia, tra le mura - non a caso - di una misteriosa torre.
Mahito, a cavallo tra l'adolescenza e l'età adulta, perde la madre durante un bombardamento, subisce un trasloco a cui non riesce ad abituarsi e ben presto dovrà adattarsi a un nuovo assetto familiare.
Qui inizia il viaggio in una dimensione in cui passato, presente e futuro si sovrappongono: Hayao Miyazaki gioca con la sovrabbondanza, tramortisce lo spettatore che, in un primo momento, cerca di tracciare un seminato ma che è destinato a lasciarsi investire dall'insensatezza della (ir)realtà e dalla potenza apocalittica dell'arte.
Del resto, come direbbe un altro custode dell'onirismo, David Lynch: perdersi è meraviglioso.
Il ragazzo e l'airone trasborda di autocitazioni, di riferimenti all'arte astratta e all'inferno dantesco, di citazioni agli oni e in generale alla mitologia giapponese, c'è 8 1/2 di Federico Fellini ma anche Giorgio De Chirico, Jean Epstein e René Magritte; il trauma muta in simbolismo, lo spettro del fascismo assume la forma di parrocchetti, il dolore per la morte della madre si tinge della Sindrome di Edipo.
Il film è lungo, arzigogolato, a volte respingente eppure di rara bellezza: Mahito alla fine non esce dalla torre libero dal senso di colpa, ma con il coraggio proprio solo di chi ha coscienza della Storia.
Con una domanda, tuttavia: e se l'uomo anziano in cima alla torre morirà, chi erediterà il regno della fantasia?
Quando Miyazaki morirà chi erediterà lo Studio Ghibli?
Non c'è neanche un minuto di questo film lisergico e introspettivo in cui non si respiri la paura di morire.
In concorso alla 77ª edizione del Festival di Cannes, l’ultimo lungometraggio di Paolo Sorrentino è entrato nella schiera dei film più divisivi del 2024, anno ricco di uscite cinematografiche che hanno polarizzato i giudizi di pubblico e critica, confermandosi però un successo al botteghino italiano.
Una sirena, una città, una donna indomita.
Tra la nostalgia di È stata la mano di Dio e il ritratto dolceamaro de La grande bellezza, Sorrentino sublima l’amore per la sua città incarnandolo in una splendida ragazza dallo sguardo vivo e dalla mente acuta, interpretata dall’esordiente Celeste Dalla Porta, corpo, voce e anima di un’ideale duplice che è Napoli, che è la vita dalla giovinezza fulgente alla vecchiaia ricca di ricordi, che è la libertà di una donna che si autodetermina anche attraverso il potere più pericoloso di tutti perché caduco e breve: la bellezza.
Nella lunga storia dalla nascita della piccola Parthenope nel 1950 al suo ritorno a Napoli da docente universitaria in pensione nel 2023 - Stefania Sandrelli interpreta Parthenope matura - la bellezza mostrata non è solo quella esteriore, esaltata dalla fotografia magniloquente tipica del regista napoletano, ma anche quella interiore, fatta di intelligenza, coraggio, empatia.
Solo chi pensa può provare dolore e Parthenope ne vivrà molto lungo la propria esistenza, senza che però esso oscuri la sua bellezza.
Un po’ come accade alla città di cui porta il nome, archetipo di un luogo meraviglioso e sofferente, dalla dualità inscindibile.
Accompagnato da una fedelissima squadra di attori Sorrentino crea a mio parere uno dei suoi film migliori, carico di una commistione di sentimenti che permette allo spettatore di ammirare la protagonista in tutte le sue sfaccettature e di immedesimarsi in lei almeno una volta, nelle diverse fasi della sua vita.
Silvio Orlando, Luisa Ranieri, Peppe Lanzetta e Isabella Ferrari danno vita a personaggi memorabili, mentre l’intenso cameo di Gary Oldman nei panni del vero scrittore statunitense John Cheever afferma nuovamente la dimensione internazionale del Cinema di Sorrentino.
Menzione speciale per Valerio Piccolo, compositore della bellissima E si’ arrivata pure tu, uno dei temi principali del film e colonna sonora di una sequenza commovente.
"Un'altra volta è un'altra volta. Adesso è adesso."
Con Perfect Days Wim Wenderscorona la sua lunga riflessione sul tema del viaggio inserendola in una dimensione ancora più universale.
Il protagonista Hirayama, interpretato dallo straordinario Kōji Yakusho, è uno strumento per raccontare la vita nel suo difficile rapporto con il tempo.
Sarebbe dunque riduttivo definire Perfect Days un film sul "qui e ora" perché in realtà esso vive di alcune interessanti suggestioni - la colonna sonora in primis, ma anche la chiara ispirazione a Yasujirō Ozu - che lo allontanano da una definizione univoca.
Girato in formato 1.37:1 (non servono formati più panoramici e moderni nel mondo di Hirayama!), Perfect Days è un film che, un po' come il suo protagonista, dà peso a ogni attimo attraverso un montaggio schematico. Le immagini si susseguono secondo un ordine logico e nel tempo qualcosa viene inevitabilmente sacrificato.
Hirayama infatti, ogni giorno, pulisce gli stravaganti bagni pubblici di Tokyo.
Le sue giornate sono scandite da una rigorosa routine, in equilibrio perfetto tra lavoro, cura personale e stimoli intellettuali.
Tra una giornata e l'altra si alternano le visioni della notte: pezzi di memoria uniti alle sue immagini, quelle che ogni giorno minuziosamente cattura con la sua fotocamera analogica.
Sono perlopiù riprese dal basso di alberi che immortalano quel fenomeno ottico che in Giappone ha assunto nella tradizione un significato simbolico: il "komorebi".
La luce filtra dagli alberi disperdendone le ombre, a ricordarci che nei momenti più bui è sempre possibile trovare conforto, specialmente se ci sforziamo di vedere la straordinaria e sorprendente eterogeneità della vita. Hirayama cataloga minuziosamente i suoi "komorebi", stampando le fotografie e archiviandole nel suo armadio: esse compongono infatti le fondamenta del suo equilibrio, sono le prove del suo sforzo quotidiano a scovare la bellezza al di là dell'apparenza.
Quella del protagonista di Perfect Days è una stabilità che presuppone l'alienazione dal mondo contemporaneo: nella vita di Hirayama non c'è spazio (o bisogno?) della tecnologia, non esistono etichette sociali né tantomeno fatidiche scale di valore in cui incasellare la realtà. Gli oggetti di lavoro si costruiscono, la vita sociale si sviluppa tramite l'ascolto e la crescita umana si nutre attraverso l'osservazione.
Persino una parola in più diviene superflua. Su questo, prima di tutto, sembra voler riflettere Wenders.
Quando l'equilibrio si rompe Hirayama cerca di adattarsi, ma è ormai completamente in grado di vedere la bellezza.
In quelle rotture, tacite e dolcissime, egli si sottovaluta e sottovaluta il cambiamento.
Il film chiude, a mio avviso, con una delle scene più belle dell'ultimo decennio cinematografico: sul volto di Kōji Yakusho esplode un caleidoscopio di emozioni, tra luci e ombre dell'esistenza umana, mentre la vita scorre come sempre lenta, caotica e inaspettata.
[a cura di Matilde Biagioni]
Posizione 2
La zona d'interesse
di Jonathan Glazer
È il 1943 e Rudolf Höß, membro delle SS che comanda il campo di concentramento di Auschwitz, vive tranquillo con la moglie Hedwig e i numerosi figli nella "zona di interesse", ovvero quell’area che circonda il campo di concentramento.
La trama si può riassumere in poche righe, nel racconto di una famiglia polacca borghese che si accinge a godersi la propria quotidianità mentre, a solo un muro di distanza, avviene un genocidio.
Fin dalla prima scena (il buio accompagnato da suoni sinistri) Jonathan Glazer già ci avverte che non si assisterà alla visione diretta dell’orrore dell’Olocausto, come proposto in precedenza da tanti altri importanti e famosi titoli, ma si avrà un particolare approccio osservatore e, per certi versi, particolarmente frustrante.
I personaggi restano neutri e asettici per tutta la durata della pellicola: a loro non importa quanto sia agghiacciante ciò che sta accadendo alle loro spalle e, anche se la tranquillità della casa è in conflitto con ciò che loro stessi vedono (fumo grigio, acqua nera, ossa umane) e sentono (il rumore dei forni, le urla di dolore, gli spari), la quotidianità è un bisogno che viene prima di ogni morale.
Mentre Rudolf (Christian Friedel) lavora duramente ai suoi obiettivi Hedwig (Sandra Hüller) crea la sua casa dei sogni e i ragazzi si approcciano serenamente alla gioventù, avviene lo sterminio, un costante sfondo delle loro esistenze.
Per loro è uno sterminio silenzioso, ma per chi assiste alla pellicola è assordante.
Il dialogo con lo spettatore è guidato egregiamente dall’incredibile lavoro di Johnnie Burn e Tarn Willers sul sonoro e dalla colonna sonora di Mica Levi e si rivela difatti brutale: ci si può sentire solo angosciati e insofferenti da quegli esseri umani per cui uno staziante grido di sofferenza è solo l’indifferente colonna sonora di un bagno al fiume o di un pranzo di famiglia.
Solo una ragazza - ripresa con una telecamera termica, forse a sottolinearne la vitalità in una valle di morte - sembra accorgersi di ciò che accade, rischiando ogni notte di essere scoperta mentre prova ad aiutare quelle povere anime agonizzanti, in quello che si rivela l'unico contatto interno innocente e apprensivo con l’umanità.
Il finale de La zona d'interesse non dà risposte o soluzioni sul perché ci sia stato un capitolo tanto desolante quanto deumanizzante della Storia, al contrario lascia solo più incertezze e domande sul passato e sull’avvenire che, inequivocabilmente, si ritrovano a coesistere nella memoria umana in una riflessione sul dolore collettivo.
Con Povere creature! Yorgos Lanthimos si è definitivamente fatto conoscere da tutta quella parte di mondo che ancora non aveva idea che esistesse un autore come lui.
Un regista che ama esplorare i confini dell’immaginazione con una voracità visiva straordinaria e che nei propri film ha spesso messo in scena il contrasto tra l'ambiente e i personaggi, laddove il primo si presente impeccabili e i secondi vivono nel caos delle loro umane emozioni: dall’asettica e alienata casetta di Dogtooth alla clinica di The Lobster, fino all'opulenza sfarzosa de La favorita.
La cosa trova la sua espressione forse più estrema e affascinante proprio nel film che ha conquistato il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia e che si è presentato ai Premi Oscar 2024 con 11 nomination, dietro soltanto al dominatore Oppenheimer e facendo meglio di quella macchina da marketing intitolata Barbie.
Povere creature! è un'opera visivamente travolgente, dove ogni inquadratura è deformata, dilatata e amplificata attraverso lenti grandangolari e fish-eye, con il direttore della fotografia Robbie Ryan che ha usato anche una lente 4mm pensata per le cineprese in 16mm con una macchina da presa 35mm, con il risultato di avere un fotogramma uguale al buco di uno spioncino, con una vignettatura che nel Cinema mainstream non si vedeva da parecchio.
L'estetica volutamente innaturale rispecchia lo sguardo della protagonista Bella Baxter, interpretata da una straordinaria Emma Stone ormai vera e propria musa del regista ellenico: Bella è un personaggio unico e complesso, una creatura gotica e mostruosa nel senso più affascinante del termine, una donna con il corpo di un'adulta e il cervello di un neonato.
Il suo neonato, che al contrario di lei non è sopravvissuto al tentativo di suicidio di Bella.
Bella è un personaggio affamato di esperienze e inizia la sua seconda vita inciampando nel mondo, desiderosa di apprendere e di scoprire: l'entusiasmo del piacere provato grazie al sesso e alla masturbazione la fanno crescere, ma è con la letteratura che fa il vero passo verso l'emancipazione; il linguaggio, il movimento, la conoscenza e la curiosità sono gli elementi che crescono in Bella mentre cresce lei, neonata/bambina/donna che se dapprima cerca con leggerezza e determinazione il piacere in tutte le sue forme, in seguito capisce che deve essere lei stessa a gestirlo, così come deve essere lei a gestire tutto ciò che la riguarda.
Gli uomini di Povere creature! non sono all'altezza di un'entità così pura: il suo "padre" creatore Godwin (Willem Dafoe), il mite e molliccio Max McCandles (Ramy Youssef) e l'arrogante e tossico Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) cercano ognuno in modo diverso di possederla, plasmarla, indirizzarla e manipolarla, ma Bella percorre la sua strada dall'infantilismo caotico alla matura emancipazione in una maniera così vitale e libera che sfugge, ogni volta.
La sua ribellione passa da quella capricciosa dei bambini a quella consapevole dell'età matura e forse l'unico appunto che mi sento di muovere all'opera è proprio quel chilo di vendetta su cui Bella, a quel punto ormai perfettamente formata, probabilmente avrebbe anche potuto soprassedere.
Ciò non toglie comunque una virgola al valore di quest'opera che si mostra come fosse Cinema delle attrazioni, con tanti rimandi all'epoca del Muto, e mescola generi e suggestioni dal romanzo di formazione a quello gotico, dall’horror all’apologia libertina passando per la fantascienza vittoriana dal sapore steam punk alle immagini filtrate dei social network: così come fa il suo personaggio Godwin, Yorgos Lanthimos sembra divertirsi a frequentare gli obitori dell’immaginario cinematografico, per poi riportare in vita elementi di opere passate, arricchendoli con la sua sensibilità visionaria e contemporanea.
La regia si fonde con la straordinaria fotografia di Robbie Ryan che accompagna Bella dalla grana in bianco e nero della fase infantile ai vividi e lussureggianti colori della sua fase matura. Le scenografie e i costumi si adagiano perfettamente in questo mondo ricurvo e arabeggiante, fatto di fiaba e pastelli, di liberty e di prostituzione, di leggerezza dell'umorismo e profondità della condizione femminile in ogni secolo, ogni era, ogni pertugio della Storia dell'umanità.
Povere creature!è a mio avviso una celebrazione della libertà, un’indagine sui desideri umani e sulla capacità (e la volontà) di crescere, di cambiare e di rischiare.
Le povere creature del titolo forse è il pubblico che guarda il film, intrappolato in vite dove spesso mancano il coraggio e la curiosità che Bella dimostra possedere nel suo viaggio, libera da sovrastrutture sociali e curiosa di tutto proprio perché consapevole di essere ignorante in tutto, comportamento che si muove agli antipodi da quello edonista e vittima dell'effetto Dunning-Kruger che ci circonda attualmente e che troppe volte ha il sopravvento.
Povere creature! è un’esperienza divertente e riflessiva che sfida i pregiudizi e i tabù, un film che possiamo dire già oggi abbia lasciato un segno indelebile nel panorama cinematografico contemporaneo.
Andrea Piovanelli
4 ore fa
2) Perfect days
3) Estranei
Rispondi
Segnala
Valeria Boffi
5 ore fa
2. Perfect Days
3. Il ragazzo e l'airone
Rispondi
Segnala
Rafael Rodriguez
6 ore fa
2) La zona di interesse
3) L'innocenza
Rispondi
Segnala
Alfredo Manfredi
7 ore fa
2) Il ragazzo e l'airone
3) Un oggi alla volta
Rispondi
Segnala
Francesco Zagnoni
11 ore fa
2) Megalopolis
3) Dune parte 2
Rispondi
Segnala
Lorenzo Cadoni
11 ore fa
2) Megalopolis
3) Parthenope
Rispondi
Segnala
Giulia Sicle
23 ore fa
2) Wicked
3) Giurato numero 2
Rispondi
Segnala
Giuseppe D'Antuono
1 giorno fa
2) Blink twice
3) Beettlejuice beettlejuice
Rispondi
Segnala
Leonardo Centomo
1 giorno fa
2) Perfect Days
3) Past Lives
Rispondi
Segnala
Camilla Segala
1 giorno fa
2. Perfect days
3. L'innocenza
Rispondi
Segnala
Pierfilippo Cangini
1 giorno fa
2) Giurato numero 2
3) Civil War
Rispondi
Segnala
Marco Cremonesi
1 giorno fa
2 - The Substance
3 - The Holdovers - Lezioni di vita
Rispondi
Segnala
Claudia Tancredi
1 giorno fa
2) The substance
3) Perfect Days
Rispondi
Segnala
Alessandro Canonici
1 giorno fa
2) Perfect days
3) Povere creature!
Rispondi
Segnala
Jacopo Gusmeroli
1 giorno fa
2)Parthenope
3)Conclave
Rispondi
Segnala
Francesco Avagliano
1 giorno fa
2) Kinds of kindness
3) Gloria!
Rispondi
Segnala
Pietro
1 giorno fa
2) Povere creature!
3) The holdovers - lezioni di vita
Rispondi
Segnala
Martina Barbierato
1 giorno fa
2) Il robot selvaggio
3) Estranei
Rispondi
Segnala
Lucas Sanchez
1 giorno fa
2) Furiosa: a Mad Max saga
3) Transformers One
Rispondi
Segnala
Paolo Amadio
1 giorno fa
2)Il ragazzo e l'airone
3)Longlegs
Rispondi
Segnala
Oliver Jovanoski
1 giorno fa
2) perfect days
3) furiosa a mad max saga
Rispondi
Segnala
Alessio Bottoni
1 giorno fa
2) Povere Creature
3) Il robot selvaggio
Rispondi
Segnala
Richi97
1 giorno fa
2. Un oggi alla volta
3. Inside out 2
Rispondi
Segnala
Lorenzo Rinaldi
1 giorno fa
2) Povere creature
3) The holdovers
Rispondi
Segnala
Fabio Colombo
1 giorno fa
2) Anora
3) Flow
Rispondi
Segnala
Salvatore Russo
1 giorno fa
2. Furiosa: A Mad Max Saga
3. Smile 2
Rispondi
Segnala
Katia92
1 giorno fa
2) Parthenope
3) Dune Parte II
Rispondi
Segnala
Denis Anta
1 giorno fa
2) Povere creature
3) Hit Man - Killer per caso
Rispondi
Segnala
Alessandro Zaza
1 giorno fa
2. Povere Creature!
3. The Substance
Rispondi
Segnala
Daniele Murru
1 giorno fa
2) La zona di interesse
3) Povere creature!
Rispondi
Segnala
Bruno Santini
1 giorno fa
2) La Zona d'Interesse
3) Dune: Parte 2
Rispondi
Segnala
Lorenzo Rovej
1 giorno fa
2- Dune - Parte II
3- Megalopolis
Rispondi
Segnala
Laura Lanzini
1 giorno fa
2. Wicked
3. The apprentice
Rispondi
Segnala
Mart
1 giorno fa
2-Perfect days
3-Dune Parte 2
Rispondi
Segnala
Arturo Gallone
1 giorno fa
2- Parthenope
3- L’innocenza
Rispondi
Segnala
Michele Monaco
1 giorno fa
Rispondi
Segnala
the hitchhikers guide to Bruno
1 giorno fa
2) L'innocenza
3) Gasoline Rainbow
Rispondi
Segnala
Mario Sancamillo
1 giorno fa
2) Dune Parte II
3) The Substance
Rispondi
Segnala
Brunilde Maria De Stefano
1 giorno fa
2. Civil War (cinema)
3. Il giurato numero 2 (cinema)
Rispondi
Segnala
Donatella Italia
1 giorno fa
2) Fly me to the Moon
3) Deadpool & Wolverine
Rispondi
Segnala
Francesco Gentilini
1 giorno fa
2) The Iron Claw
3)The Holdovers
Rispondi
Segnala
Valerio Dp
1 giorno fa
2) DEADPOOL & WOLVERINE (di Shawn Levy)
3) THE HOLDOVERS (di Alexander Payne)
Rispondi
Segnala
Davide Cavalieri
1 giorno fa
2 La zona d'interesse
3 Vermiglio
Rispondi
Segnala
Gabriele Busoni
1 giorno fa
2. Il ragazzo e l'airone
3. Povere Creature!
Rispondi
Segnala
Stefania Carlet
1 giorno fa
2- THE SUBSTANCE
3- LA ZONA D’INTERESSE
Rispondi
Segnala
Giordano Lucenti
1 giorno fa
2) Flow
3) Giurato Numero 2
Rispondi
Segnala
Francesco Bennati
1 giorno fa
2 perfect days
3 the substance
Rispondi
Segnala
mariagrazia palladino
1 giorno fa
2)povere creature
3)civil War
Rispondi
Segnala
Davide Zarrilli
1 giorno fa
2. L'innocenza
3. La zona d'interesse
Rispondi
Segnala
Danilo Nocera
1 giorno fa
2. Povere creature
3. Parthenope
Rispondi
Segnala
Alex Fanelli
1 giorno fa
2. Past Lives
3. Parthenope
Rispondi
Segnala
Riccardo Galeotti
1 giorno fa
2. La zona d'interesse
3. Povere Creature
Rispondi
Segnala
Luigi Molinari
1 giorno fa
2-past lives
3-giurato numero 2
Rispondi
Segnala
Marcello Lombardi
1 giorno fa
2° Furiosa - A Mad Max Saga
3° Civil War
Rispondi
Segnala
Martina Genovese
1 giorno fa
2) La zona di interesse
3) Challengers
Rispondi
Segnala
Lorenzo Flaminio
1 giorno fa
2° Past Lives
3° Giurato numero 2
Rispondi
Segnala
Luca Plebiscito
1 giorno fa
2) Dune 2
3) Longlegs
Rispondi
Segnala
Mattia Castelli
1 giorno fa
2. Dune - Parte 2
3. Furiosa: A Mad Max Saga
Rispondi
Segnala
mattobrasil
1 giorno fa
1) Dune pt 2
2) Civil War
3) Wicked
Rispondi
Segnala
Marco Di Giambattista
1 giorno fa
Dune parte II
Challengers
Rispondi
Segnala
Niccolo' Gandelli
1 giorno fa
1) L'innocenza
2) Wicked
3) Anora
Rispondi
Segnala
Ludovica Napoli
1 giorno fa
2. Il ragazzo e l'airone
3. Perfect days
Rispondi
Segnala
Andrea Girardelli
1 giorno fa
2. Civil War
3. Longlegs
Rispondi
Segnala
Edoardo Nasi
1 giorno fa
The Holdovers
Perfect Days
Rispondi
Segnala
Nicolò Pizzin
1 giorno fa
2) Povere Creature!
3) Civil War
Rispondi
Segnala
Giuseppe Razzano
1 giorno fa
2) Joker: Folie à Deux
3) Civil War
Rispondi
Segnala
Salvatore De Rosa
1 giorno fa
1 Povere creature!
2 Berlinguer la grande ambizione
3 Anora
Rispondi
Segnala
Costantino Ziccardi
1 giorno fa
2) Povere creature!
3) Past lives
Rispondi
Segnala
Fabrizio Pucci
1 giorno fa
2) Perfect Days
3) Anora
Rispondi
Segnala
Perno
1 giorno fa
1) Anora
2) Civil War
3) The Substance
Vado giù di cuore ma il finale di Anora l'ho trovato di un catartico.. ❤️
Rispondi
Segnala
Rocket
1 giorno fa
2) Anora
3) The Holdovers
Rispondi
Segnala
Mattia Vecchiato
1 giorno fa
2. Estranei
3. When evil lurks
Rispondi
Segnala
Alessandro Autieri
1 giorno fa
Kinds of Kindness
La Zona d'Interesse
Rispondi
Segnala
Mostra altri commenti