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Black Mirror è la serie TV distopica antologica più famosa di sempre tornata su Netflix con una stagione 7 che, con non troppa sorpresa, fa un passo indietro rispetto alle ultime stagioni, che si stavano distaccando estremamente dal concept del progetto iniziale.
Charlie Brooker, la mente dietro Black Mirror, decide dunque di prendere ispirazione dal suo lavoro passato, nel bene e nel male.
La stagione 7 di Black Mirror è composta da sei episodi, di cui due direttamente legati a episodi precedenti: uno in modo più informale (Plaything fa riferimento a Bandersnatch, il “film interattivo” di Black Mirror) e uno in modo più formale (USS Callister: Into Infinity è a tutti gli effetti il sequel di USS Callister, l'episodio 1 della stagione 4).
Nonostante questa stagione veda un miglioramento rispetto a quanto già fatto, oscilla costantemente tra alti e bassi e, proprio per questo, è necessaria l’analisi di ogni episodio per evidenziare a mio avviso cosa funziona e cosa no, evitando una disamina veloce e aleatoria.
[Il trailer della stagione 7 di Black Mirror]
Common People racconta la storia di una coppia con una vita modesta, un lavoro comune, una casa poco sfarzosa, una tranquilla vita sociale.
Proprio come anticipa il titolo Amanda e Mike (Rashida Jones e Chris O'Dowd) sono persone comuni, che si accontentano di piccole cose come, ad esempio, celebrare l'anniversario di matrimonio nel loro posto del cuore, nonostante non sia particolarmente meritevole.
Quando si scopre che Amanda ha un tumore al cervello, l’unico modo che Mike ha per salvarla è accettare l’offerta di Rivermind, una start-up capace di rimuovere il pezzo di cervello danneggiato per sostituirlo con una parte sintetica, in grado di ripristinare le funzioni vitali.
Common People è secondo me una delle storie più riuscite di questa settima stagione di Black Mirror.
Seguendo gli stilemi delle prime stagioni, la narrazione risulta accattivante con la sua amara ironia e, anche se l’episodio pecca un po’ di prevedibilità, ha tutti gli elementi per essere in regola nel mondo di Black Mirror.
“Se non stai pagando per un prodotto, allora il prodotto sei tu” - dice Tristan Harris, ex Design Ethicist di Google nel documentario The Social Dilemma: nella prospettiva di questa tesi Common People fa ancora più paura, avvicinandosi spaventosamente a un’attualità informatica alla quale si dà poco peso.
Il prezzo da pagare non è solo monetario: in una società capitalista, la dipendenza da un prodotto è la perdita della libertà; se perdiamo anche quella fino a divenire il prodotto cosa resta di noi?
Cosa resta dell’umanità?
Il primo episodio di questa stagione di Black Mirror ha i suoi punti di forza nel concentrarsi sui dilemmi del presente, dunque guardando a un momento contemporaneo, una distopia che in realtà è più vicina di quanto pensiamo.
[Black Mirror stagione 7: i poster di Common People e Bête Noire]
Non allo stesso modo si fa notare Bête Noire, a mio avviso debole per quasi tutta la sua durata nonostante prenda sotto esame un’altra tematica interessante, quella del gaslighting.
Maria (Sienna Kelly) è una ricercatrice culinaria per una ditta di dolciumi: un giorno si presenta Verity (Rose McEwen), una sua vecchia compagna del liceo odiata da tutti per il suo essere stramba, che dopo un test trova lavoro nella stessa azienda di Maria.
Verity si mostra sempre gentile nei confronti di Maria ma quest’ultima, a seguito di una serie di spiacevoli episodi, si convince che Verity sta architettando qualcosa contro di lei.
Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica che induce le persone a dubitare che dati avvenimenti siano realmente accaduti; al giorno d’oggi si parla spesso di questa manipolazione, a volte con cognizione di causa e a volte anche in modo totalmente arbitrario ed errato: per quanto sia apprezzato lo sforzo di analizzarlo sullo schermo, il conflitto tra le due protagoniste, che si dovrebbe consumare in una guerra psicologica, risulta piatto e non colpisce particolarmente, generando confusione.
Un peccato, perché la curiosità di questo episodio, ovvero il fatto che potenzialmente ne esistano differenti versioni, poteva essere sfruttata in un contesto metanarrativo migliore, invece di decidere per un teenage drama per niente avvincente.
[Emma Corrin è Clara/Dorothy in Hotel Reverie, stagione 7 di Black Mirror]
L'episodio 3 della stagione 7 di Black Mirror si intitola Hotel Reverie, ed è intrigante per lo scenario che presenta: un possibile modo di fare Cinema nel futuro attraverso l’uso delle intelligenze artificiali.
La star Brandy Friday (Issa Rae) viene scelta per interpretare il dottor Alex Palmer nel remake di Hotel Reverie, un film anni ’40 ora ridiretto da Kimmy (Awkwafina) con un metodo del tutto originale: Brandy entra in una simulazione del film chiamata ReDream dove tutto, dagli scenari agli attori, sono riproduzioni AI del film originale.
Brandy dovrà dunque recitare con il cast originale e conoscerà Clara (Emma Corrin), il cui personaggio era interpretato dall’ormai defunta attrice Dorothy Chambers; con quest’ultima nascerà un profondissimo legame.
Anche in questo caso Black Mirror porta sullo schermo alcune idee che secondo me purtroppo non vengono totalmente valorizzate.
L’episodio si regge su trovate molto belle e piacevoli, come il finale, e trovate veramente sconnesse o a volte banali (senza fare spoiler, un avvenimento clou accade in una maniera che in un film contemporaneo funziona a fatica).
Per la recitazione vale lo stesso: l’incantevole performance di Emma Corrin si contrappone a quella solo buona di Awkwafina, che a volte risulta addirittura fastidiosa con le sue esagerazioni.
Purtroppo, Hotel Reverie con i suoi alti e bassi e un pacing fin troppo sbilanciato, non ci porta davvero a rivisitare il Cinema del passato attraverso il futuro e la forma prende il sopravvento sulla sostanza.
[Black Mirror stagione 7: i poster di Hotel Reverie e Plaything]
Plaything, invece, prova un po’ a fare il furbo nonostante una base di partenza discreta.
L’anziano Cameron Walker (Peter Capaldi) viene arrestato per aver tentato un furto in un minimarket, per poi essere trattenuto dalla polizia in quanto principale sospettato di un omicidio compiuto negli anni ’90.
Durante un faccia a faccia con la polizia Cameron narra la storia della sua vita e di come vi sia correlato un videogioco simulatore di vita anni ’90, in cui teneri esserini continuano a evolversi sviluppandosi in forme di vita sempre più intelligenti: i Thronglets.
Questo episodio di Black Mirror non mi ha convinta del tutto: Peter Capaldi regge da solo tutto il film in una maniera così invasiva che la narrazione viene totalmente oscurata dalla sua performance. C’è un gap tra quello che viene mostrato e il livello di recitazione di Capaldi che non può essere ignorato.
Questa discrepanza rende Plaything (momentaneamente) memorabile per alcune sue piccole furbate: come già detto, la scelta di un ottimo attore ma, in aggiunta, anche la creazione del gioco dei Thronglets sulla piattaforma di Netflix Games.
[Paul Giamatti è Phillip in Eulogy, stagione 7 di Black Mirror]
Questo sbilanciamento tra attore e opera non è invece presente in Eulogy con Paul Giamatti che, nonostante sia un grandissimo attore, è perfettamente inserito nel contesto narrativo, creando quello che ritengo essere l’episodio più bello di questa stagione di Black Mirror.
L’anziano Phillip (Paul Giamatti) riceve la notizia della scomparsa di una sua ex avuta in gioventù, di cui ormai non ricorda il volto.
Gli viene chiesto di partecipare all'elogio funebre della vittima utilizzando i suoi ricordi, che possono essere visualizzati e resi, in un certo senso, tangibili attraverso un particolare dispositivo.
Giamatti non ha granché da dimostrare data la sua incredibile carriera, eppure stupisce ancora con un’interpretazione degna di nota, in sintonia completa con una storia semplice ma toccante, realizzata meticolosamente.
Qui si ritorna nuovamente alle origini, come aveva già fatto Common People, in cui si visualizza il cuore della serie: l’obiettivo non è parlare di tecnologia fine a se stessa, ma di come l’uomo può creare con essa una relazione non artefatta ma realistica o addirittura reale.
Dei ricordi di questo sconosciuto lo spettatore conosce tanto quanto il protagonista poiché la memoria di quest’ultimo ha cancellato i volti e i momenti vissuti; di conseguenza, tutto quello che si scopre sulla misteriosa donna lo si sa attraverso di lui, con fatti imprecisi e vacillanti.
Quello che è rimasto a Phillip, però, sono le emozioni scaturite da quei fatti sfocati, sia nel bene sia nel male.
La memoria di Phillip si connette alla nostra, è umana, in questa intensa elaborazione del lutto ove la tecnologia nulla può non se limitarsi a fare da tramite a quello che l’uomo può provare, un sentimento umano sopito ma imponente se risvegliato.
[Black Mirror stagione 7: i poster di Eulogy e USS Callister: Into infinity]
La stagione 7 di Black Mirror si chiude con USS Callister: Into Infinity e, anche se gli episodi possono essere visti in modo casuale, la scelta di mettere alla fine un sequel non l’ho trovata ottimale.
USS Callister: Into Infinity riprende da dove avevamo lasciato USS Callister nella stagione 4 di Black Mirror, uscita nel 2017.
Robert Dally (Jesse Plemons) è un lontano ricordo, ma Nanette (Cristin Milioti) e il suo equipaggio sono bloccati nel mondo creato da lui, il gioco multiplayer Infinity.
Tra una rapina ai danni di altri giocatori e l’altra, tocca a loro fare possibile per sopravvivere in questo videogioco inospitale e infine trovare una soluzione per liberarsi scappando definitivamente nella rete.
Il primo capitolo di USS Callister non l’avevo amato particolarmente, nonostante i molti pregi (fu, di fatto, apprezzatissimo dalla critica); la scelta di un sequel però, seppure inusuale, mi è sembrata fattibile considerando il suo successo e la possibilità della storia di prestarsi a possibili nuovi scenari.
L’episodio in sé funziona: ha continuità col predecessore, un buon ritmo, riferimenti cinematografici accattivanti e riconoscibili messi nei punti giusti, gioca bene sul doppio registro drammatico/comico e non manca di osservazioni sulla società in piccole dosi, come la pillola sulla mascolinità tossica.
Quello che manca è un problema che spesso si presenta con i sequel: non porta una ventata di aria fresca. Nel primo il colpo di scena, la macchina del DNA usata per creare cloni, era totalmente inaspettato e impensabile; qui, al contrario, non ci sono sorprese particolarmente impattanti e anche il finale risulta prevedibile.
USS Callister: Into Infinity dà quella sensazione di aver visto un buon prodotto ma che, alla fine, non ha saputo (o forse voluto?) spingersi al massimo.
In conclusione la settima stagione di Black Mirror crea un universo narrativo migliore rispetto alle precedenti stagioni: gli episodi non si somigliano tra loro e non mirano a farti individuare la “tecnologia malvagia” né forzano pretesti che allontanano dal concetto iniziale di Black Mirror stesso.
Al contrario, la tecnologia semplicemente torna il tramite per analizzare il presente come si vede in Common People e il futuro prossimo come mostrato in Plaything, senza però dimenticare il passato come ci insegna Eulogy.
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