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In questi giorni si è discusso del rinvio di No Time to Die e di come abbia scatenato il conseguente rinvio di Dune e di una buona parte dei film supereroistici DC/Warner, sancendo la dolorosa decisione presa da Cineworld/Regal di chiudere, temporaneamente, le loro sale.
In questa sede voglio cercare di stemperare i toni di una campana che come nemmeno Ugo Foscolo saprebbe fare ha inziato a suonare per dichiarare cadavere il Cinema in sala.
Lo farò affrontando punto per punto la questione, sezionando senza eccessive complicazioni di sorta, che non ci competono, la situazione attuale.
Tengo a spingere sul fatto che certe analisi non ci competono poiché qui nessuno di noi ha in mano il vero polso economico di Hollywood e nessuno di noi vive la situazione produttiva del Cinema americano, escludendo la possibilità di poter fornire uno sguardo vicino a quanto stia davvero accadendo nel settore.
Quello che possiamo fare è farcire la riflessione di condizionali, per entrare in quella stanza ampia e dall’architettura flessibile sul cui ingresso campeggia una scritta al neon: speculazioni.
In questo senso mi sento di marchiare sotto la voce “eccessivi allarmismi” sia i pensieri catastrofici sia quelli più leggeri.
Guardare al futuro oggi è reso ancora più complesso da un presente che definire incerto e mutevole è lusinghiero, per via di una serie di situazioni fuori dal nostro controllo che rendono tutto piuttosto aleatorio e che, spesso, non riguardano direttamente il Cinema.
Quello che sappiamo è invece come funzionano e come si muovono, per sommi capi, alcuni ragionamenti economici del mondo del Cinema in sala e partendo da questi, giocando di speculazione, voglio cercare di definire la situazione dei colossi identificati da AMC e Cineworld/Regal.
Torno quindi al punto: il Cinema in sala sta morendo?
Credo sia giusto porre la tristezza nell’apposito e pratico portarogna e, per una volta, ragionare senza gridare alla catastrofe, alle cavallette, al meteorite, alla Cina che ci dominerà tutti, a Thanos che aveva ragione, alla società che crea Joker da compatire e alla misantropia che come il nero sta bene un po' su tutto.
Respirate.
Non credo che il Cinema in sala stia morendo.
Lo dico molto schiettamente.
Quello che credo è che un certo tipo di meccanismo basato sul blockbuster stia incontrando il suo peggiore incubo e stia cercando egoisticamente di convincerlo a giocare a scacchi, e comprare un po' di tempo.
Le sale che stanno soffrendo sono quelle sale che hanno creato un pubblico da Cinema Fast Food, non tanto per la qualità in sé e per sé delle pellicole, quanto per gli intenti che queste spesso si prefiggono.
Il genere blockbuster si divide tra registi à la James Cameron, ovvero quei cineasti che investono enormi risorse in sperimentazioni o ambizioni cinematografiche pensate per il grande pubblico e arricchite da un gusto autoriale proprio, e registi shooter i cui intenti sono mirati al fast food: ovvero un Cinema che viene mangiato, digerito ed espulso.
Se da un lato abbiamo autori che creano opere pop che rimangono e vivono di folli ambizioni e di pesanti tonfi o redditizie riuscite, dall’altro abbiamo il puro consumo che, per certi versi, è una deriva del fenomeno creato dagli autori e nel corso del tempo è sfociato in operazioni di puro stampo produttivo, create a tavolino e pensate solo per incassare.
Catene come Cineworld/Regal e AMC vivono di questo Cinema.
Quello che fanno è costruire un parco divertimenti per il grande pubblico che vive solo ed esclusivamente dei blockbuster.
Questa riflessione la potete comprovare se mettete piede, o se avete mai messo piede, in un qualsiasi Cineworld, catena presente anche in Europa.
Sono cinema che hanno sale 4D, che offrono tessere unlimited il cui funzionamento è sostanzialmente quello di un abbonamento a una piattaforma streaming: prezzo fisso e guardi quello che vuoi, quante volte vuoi.
[Ci tengo a precisare che questa che vedete non è il frutto di un goliardico esercizio di photoshop da parte della redazione, ma una vera pubblicità di Cineworld]
Sono strutture che puntano all’uomo della strada, al consumatore occasionale, a quello che guarda tutto quello che è in tendenza su Internet, alle famiglie con molti figli e tanto amore per tutto quello che è animazione o fomento - vedi gli ultimi, inediti, 10 anni di Marvel Cinematic Universe.
Sono istituzioni del consumo di massa, esattamente come il fast food, e nel mezzo della massa è ovvio che capiti lo spettatore a prendere il cammino verso una passione più grande, arrivando all’idea di fare un buon hamburger, passando poi a mangiare da 5 Guys o magari al BBQ locale che lascia delle costine a cuocere in un affumicatoio per 15 ore.
Cominciamo tutti da qualche parte e probabilmente si comincia nei posti più comuni; questa considerazione, ci tengo a rimarcarlo, non è un attacco che vuole svilire gli intenti di questi fast food del Cinema, ma una constatazione utile a costruire la speculazione per la quale il Cinema in sala non sta morendo… ma quello fast food ci sta andando molto vicino.
Queste catene puntano spesso a rincari esorbitanti sui popcorn, sulle bevande, offrendo sale malamente insonorizzate e lasciate spesso a una discreta incuria, generando quel cortocircuito che ha creato una delle rubriche del podcast di CineFacts.it e che ha sollevato, ben prima della pandemia, il dissenso di un pubblico che spesso preferisce casa propria alla sala.
Perché nel luogo più vicino e comune, ovvero il multisala, ci trovi il tizio che grida allo schermo, il ragazzino che fa foto con il flash per il puro gusto di dare fastidio, il commentatore dipendente dai social che non si ferma nemmeno a visione in corso e scrive la recensione quando ancora il secondo atto è a metà strada.
Cineworld e AMC giocano questo tipo di partita poiché il Cinema per il quale lavorano vive di enormi incassi e per fare enormi incassi a fronte di ambiziose spese devi giocare secondo la regola: Go Big or Go Home.
Il loro mercato è il mestierantismo del blockbuster nel quale, di tanto in tanto, si muove anche l’autore che quando ne fa uno rimane nel tempo, mentre dietro di lui le produzioni cercano formule per riprodurre successi che non comprendono davvero.
Volete vedere o rivedere i film di David Lynch al cinema?
Volete vedere o rivedere Federico Fellini restaurato al cinema?
Volete vedere o rivedere Alejandro Jodorowsky restaurato al cinema?
Volete vedere o rivedere l’ultimo di Werner Herzog?
Volete vedere o rivedere un film dello Studio Ghibli, Batman Returns, La Cosa, Vacanze Romane, La Mosca, Vertigo, The Irishman o Mandy?
Beh, non lo farete a Cineworld.
Non lo farete in una bella sala e in un orario che non sia una domenica mattina presto o un lunedì alle 10.40 - come fu, nel mio caso, per l’anniversario de Le Iene - e in molti casi non lo farete per niente, perché non è cosa di Cineworld.
A Cineworld non vedrete nemmeno i film di Quentin Tarantino e Christopher Nolan proiettati in pellicola.
Questo modello di distribuzione in sala crea molto raramente dei fedeli e tende a creare dei fissati della convenienza, che si legano più all’idea di pagare un abbonamento per vedere tanti film, come si lega alla tessera punti della Coop o all’abbonamento della piattaforma streaming, piuttosto che all’esperienza.
Poiché l’esperienza, a dire la verità, è piuttosto mediocre dato che lo è la proposta alla base.
Vuoi pagare poco e avere tanto?
Non mangerai sicuramente carne di Wagyu, ma probabilmente un hot dog di gomma e una coca fatta con le bustine istantanee in un bicchiere pieno di ghiaccio.
Come anticipato, quelli che si appassionano al Cinema in sala saranno quelli che poi vorranno godere dell’esperienza migliore.
I Cinema indipendenti - anche multisala, come quello che vivo a Dublino o quello che molti di voi avranno la fortuna di avere vicino - hanno invece basato tutta la loro strategia sul costruire un ambiente per chi ama il Cinema, coccolando il proprio consumatore e costruendo un rapporto.
Hanno portato i blockbuster nella sala più vistosa per fare il loro mestiere ma contestualmente, per anni, hanno portato tutti quei film che a Cineworld e Regal non vedrete mai - o vedrete raramente e male.
Hanno creato un ambiente dove non ci sono tessere fedeltà, dove non ci sono poltrone da luna park, dove si proietta in pellicola, dove ci sono sessioni di Q&A con i registi, i direttori della fotografia, il cast e i compositori.
Hanno creato un ambiente confortevole, dove si può addirittura bere una birra in sala senza paura che a qualcuno pigli la logorrea durante il film.
Hanno lavorato per costruire un pubblico sull’amore per il Cinema in sala, formando molti palati contenti di pagare per assaggiare i blockbuster e i cult, le retrospettive su Francis Ford Coppola e Peter Jackson, per avere un mese dedicato a Halloween e, sorprendentemente, per ospitare Tommy Wiseau durante il suo tour che riportava il disastroso The Room al cinema.
[Uno dei tanti eventi proposti da un cinema come il Light House Cinema e che non ha smesso di aprire a queste proposte anche in pandemia, trovando il pubblico abituato all'offerta e aperto alla visione]
Un cinema indipendente che si preoccupa di fare del Cinema un'esperienza e non un fast food, che lo fa facendo pagare un regolare biglietto e non un abbonamento e che durante una pandemia, quando ha riaperto, aveva già pianificato un vario catalogo di classici, cult movie e nuove uscite che erano già in linea con il gusto dei propri avventori, avvezzi sì al blockbuster ma non unicamente interessati a quello.
Un cinema che è stato frequentato dal suo pubblico perché in prima istanza ne ha uno e non è dipendente da un popolo di junkie della sensazione del momento, asserviti alla discussione più recente da sostenere sui social per rimanere rilevanti.
A questo punto il condizionale da mettere in tutta questa faccenda serve per porre la domanda riguardo il modello economico e di fruizione proposto.
Cosa sta morendo, sempre che stia morendo: il Cinema in quanto fast food o il Cinema in quanto tale?
Perché a guardare la situazione con una lente d’ingrandimento deformata sembra stia morendo il Cinema, ma forse a essere in difficoltà potrebbe essere il modello economico dei film miliardari.
E i film miliardari sono davvero un indotto necessario per l'industria cinematografica nella sua interezza o sono unicamente utili a loro stessi?
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[Uno dei molti poster promozionali del Light House, durante la pandemia]
Tenete a mente che un film come Green Book ha incassato 321,7 milioni di dollari nel mondo (di cui 85 negli USA), a fronte di 23 milioni spesi di budget.
Cena con delitto - Knives Out, a fronte di un cast stellare e 40 milioni di dollari spesi, ne ha incassati poco più di 300 in tutto il mondo.
Il primo John Wick, un film da circa 20 milioni, ne ha incassati 86 nel mondo ed è diventato sensazione in seguito, dimostrando come sia ancora possibile creare miti action con budget umani e avviando una nuova stagione di Cinema action, che non si è certo rinvigorito grazie ai blockbuster di franchise quali Fast and Furious o i film di Marvel Studios.
E non mi addentro nel Cinema di genere, un filone che da sempre dà molto più di quello che spende, quando è fatto bene.
Scappa - Get Out con 4.5 milioni di budget ne ha incassati 255 circa in tutto il mondo.
Il recente L'uomo invisibile è costato 7 milioni e a livello globale ne ha incassati 130.
“Una persona è matura.
La gente è un animale ottuso, pauroso e pericoloso”, recita Tommy Lee Jones in Men in Black.
[Un esempio del tipo di cartellone offerto durante la riapertura post-lockdown, tra momento e cinefilia]
Questo concetto può essere tranquillamente applicato ai gusti della gente e mentre un singolo individuo ha controllo del proprio gusto, la massa (a.k.a. l’uomo della strada o il pubblico occasionale) non ce l'ha e pur ribellandosi a irrisorie battaglie ideologiche sui social, nella realtà dei fatti il suo gusto è pilotato dai meccanismi di gruppo.
Il fast food del Cinema è un gusto che si è imposto per procura, un mostro che il mercato ha estremizzato oltre la soglia di guardia e che ora, pungolato con uno sciame di aerei armati di mitragliette al plasma, cade senza controllo dalla cima del Chrysler Building.
Il Cinema Fast Food ha nutrito il suo pubblico con abitudini asservite a un meccanismo di moto perpetuo produttivo, iniettando nel suo avventore la dopamina della next big thing, caricandolo a molla riguardo grossi eventi ai quali deve prendere parte per forza per poter dire di esistere nel dibattito pubblico sociale, spostatosi dai bar al web.
Ripeto però il concetto: quello spettatore, se non in una certa percentuale, non è davvero interessato al Cinema bensì al dibattito creato dal continuo indotto di eventi.
Nel momento in cui il meccanismo si inceppa, questi colossi perdono il controllo.
I loro junkie vanno in crisi d’astinenza, che colmano con l’intrattenimento di altri fornitori di sensazioni; quelli invece che vendono il Cinema, quelli che hanno un pubblico fatto di individui cresciuti con il prodotto gourmet, continuano a veder tornare lo spettatore: per loro "la morte" è un concetto molto relativo.
Perché dunque questo gusto, questo modo già esistente di vendere il Cinema, non può essere riconfigurato e riproposto al pubblico?
[Cinema come evento, piacere, luogo di ritrovo e non posto di passaggio a convenienza. Costruzione della cultura del cinema]
In fondo un modello c'è già e abbiamo visto, speculandoci su, come in un certo senso al consumatore occasionale di massa il gusto si imponga per procura - molto spesso la realtà è che il pubblico mangia quello che trova e se domani i blockbuster si dimezzano, continuano a mangiare quello che ne prende il posto.
Considerate anche come l’attenzione di questo pubblico junkie si sposti molto velocemente, motivo per il quale è perennemente esposto a stimoli, e non è detto che i 10 anni di fortunati Marvel Movies e di certe operazioni continueranno con lo stesso vigore dopo più di un anno di disintossicazione.
In fondo sono proprio alcuni dei clienti di questo meccanismo a vivere in una follia comunicativa talmente spinta da aver dichiarato di aver perso interesse dopo Avengers: Endgame, poiché il finale del film non apriva al prossimo grande film con una scena dopo i titoli di coda.
Come al tempo stesso il nostro buon Teo ha esternato come il suo interesse verso il film di Black Widow sia scemato.
[Il Maestro Ennio Morricone in una delle sale del Light House con il premio ricevuto al Dublin International Film Festival]
Insomma, sembra quasi inutile rimarcare quanto sia per me ovvio ed elementare che la macchina dei blockbuster di Hollywood sia costosa e di come serva un indotto sano per mantenere le infrastrutture create per un determinato mostro, ma sembra altrettanto allarmistico gridare alla fine del Cinema in sala.
Come sembra inutile rimarcare che molti allarmismi sono forse creati dal vedere un gigante cadere e farsi male, facendo tanto rumore.
Concludendo, l’eventuale catastrofe che stiamo osservando non riguarda il Cinema in sala, anche se viene a crollare un redditizio sistema fast food, quanto il modello economico di fruizione in sala che stava già tossendo e che ha ricevuto una scossa inaspettata molto prima del previsto.
Con un anticipo di forse un decennio viene sollevato un dilemma: è ancora possibile il multisala fast food con i prezzi finto convenienza da discount o forse è il caso di tornare al Cinema di eventi, alla merce buona, alla qualità e non alla quantità di biglietti illimitati?
Forse la riflessione è diversa, ma gridare al futuro, al panico, alle visioni di mercato azzardate e avveniristiche è più redditizio per i giornali come per certa intellighenzia intenta a stimolare i propri followers con sagacia sui social network.
In fondo, il modello della sensazione è sempre lo stesso.
[La copertina di questo articolo è di Drenny DeVito ©CineFacts.it]
2 commenti
Teo Youssoufian
4 anni fa
infatti si parla delle sale, non dei film.
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