Articoli

#articoli
Nessuna statuetta - su 4 candidature - per Nosferatu di Robert Eggers alla cerimonia dei Premi Oscar 2025: le ragioni di questa “sconfitta” sono molteplici e perlopiù esulano dall’effettiva credibilità artistica del film in sé.
È passato ormai diverso tempo dall’uscita nelle sale di Nosferatu, anche se l’ampia e combattuta discussione intorno al film si è prolungata per circa un mese. Oggi viene spontaneo guardarsi indietro, cercando di capire cosa all’interno di quello scambio di opinioni è stato fondamentalmente lasciato da parte.
La speranza è quella di riuscire a trarre qualcosa di effettivamente interessante da un dibattito che, come spesso accade, è rimasto vincolato alla superficie.
Che sia piaciuto o meno Nosferatu, questo articolo spera di spronare chi legge a un approccio più consapevole e rispettoso nei confronti dell’opera cinematografica, contro il sensazionalismo di certe discutibili affermazioni (persino quelle più apparentemente autorevoli) e a favore della costruzione di un pensiero che non consideri esclusivamente il gusto personale, ma che invece dialoghi in egual misura con l’obiettività delle cose e la propensione individuale.
La prima doverosa premessa è stata dunque fatta: al contrario dell’approccio fino ad ora utilizzato nel leggere, interpretare e raccontare Nosferatu, l’obiettivo qui è di favorire un’apertura maggiore nei confronti di un film, a mio dire, notevole e problematico al tempo stesso.
[Il trailer di Nosferatu]
All’interno di quanto segue troverete dunque interpretazioni soggettive unite ad approfondimenti di carattere oggettivo rispetto a quelle che possono essere state le influenze in Nosferatu di Robert Eggers.
Ciò che comunque rimane di fondamentale importanza, per quanto mi riguarda, è lasciare la possibilità a chi legge di trarre le proprie considerazioni personali.
Una lettura più approfondita del romanzo di Bram Stoker e del film Nosferatu il vampiro può essere sicuramente congeniale all’interpretazione dell’ultimo film di Robert Eggers, considerando che tutte e tre le opere sono frutto di considerevoli operazioni di studio e ricerca.
La speranza, devo ammetterlo, è anche quella di rispondere a una serie di domande lecite su Nosferatu di Robert Eggers, emerse soprattutto durante il dibattito sul film scatenato diversi mesi fa: perché Orlok ha i baffi e non ha i denti aguzzi, perché ha un corpo in putrefazione, perché Ellen ha le convulsioni e sembra impossessata e cosa c’entra l’esorcismo con Nosferatu, perché i personaggi appaiono piatti e svuotati.
Attraverso analisi oggettive, presentazione di fatti e considerazioni personali esplicitamente dichiarate, starà a voi rispondere a queste domande, cercando di unire i puntini e individuando gli elementi di contingenza e dissonanza tra queste tre grandi produzioni.
[Un'immagine da Nosferatu]
Un primo paradosso nel giudizio di Nosferatu
La realizzazione di Nosferatu si deve a una vera e propria ossessione di Robert Eggers per Nosferatu il vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau, per la figura del Conte e per l’universo folkloristico dei vampiri più in generale.
Per dieci lunghi anni, praticamente la sua intera carriera nel Cinema, il regista aveva sperato di avviare una produzione personale e definitiva legata a Nosferatu.
Oltretutto, già in età adolescenziale aveva sviluppato un adattamento teatrale ispirato al film di Murnau. Le motivazioni intorno al concepimento del remake, compreso di rischi e altissime aspettative, sono perciò di carattere profondamente personale, intrecciate alla passione viscerale, perpetua e instancabile di un regista in costante crescita.
Dunque, formalmente Nosferatu è un remake del film del 1922 di Murnau il quale però, a sua volta, è un adattamento “pirata” del romanzo Dracula di Bram Stoker.
Sulla questione dei diritti e sulla storia di produttiva di Nosferatu il vampiro vorrei soprassedere, perciò vi invito ad ascoltare l’episodio 04 della serie SuperClassico del Podcast di CineFacts.it.
Come riportato alla fine del film, appena prima dei titoli di coda, Nosferatu di Eggers prende spunto sia dall’opera di Murnau sia dal romanzo di Stoker; anche Henrik Galeen, sceneggiatore di Nosferatu il vampiro, si ispira alla storia di Stoker ma certamente l’adattamento che ne emerge attinge solo in parte al testo originale: la trama è grossomodo la stessa di Dracula e tuttavia ci sono numerosi elementi che entrano in completa dissonanza con quanto scritto da Stoker.
Robert Eggers in questo senso sembra quasi superare il concetto di remake, non perché all’interno del suo Nosferatu vi siano interpretazioni personali (operazione solitamente ordinaria nella realizzazione di remake), quanto perché il film rappresenta una vera e propria commistione dei mondi e dei personaggi concepiti dalla penna di Stoker e da quella di Galeen.
Nosferatu di Eggers è infatti estremamente ricco di riferimenti al romanzo e al film del 1922, perciò figurativamente con la sua versione il regista è riuscito a unire tre principali percorsi artistici intorno alla figura del Conte Dracula/Conte Orlok: la sua visione, quella di Stoker e quella di Galeen.
Per chi legge, quanto appena scritto può apparire banale, eppure su questo punto mi è parso di leggere veramente poche riflessioni, in particolare su quanto possa essere complesso e insidioso intrecciare tre strade piuttosto diverse tra loro.
In questa ottica potreste rendervi conto di quanto la maggior parte delle critiche negative o positive rivolte a Nosferatu sembrano essere state mosse più che altro a partire da una serie di aspettative riferite all’opera di Stoker o a quella di Murnau.
Questo ha avuto come conseguenza la creazione di un vero e proprio paradosso: chi ha amato il romanzo di Stoker ha disprezzato, senza rendersi conto, gli elementi di Nosferatu di Eggers riferiti al film di Murnau e, viceversa, chi ha amato il film di Murnau ha trovato discutibili alcune scelte del film ispirate al testo originale di Stoker.
Questo ha inevitabilmente complicato la fisionomia del dibattito, rendendo praticamente impossibile per chiunque compiere un’analisi onesta intellettualmente dell’opera stessa.
I confini del gusto personale sono diventati tutt’uno con quelli dell’oggettività: non si sono espressi giudizi personali sulle scelte del regista, si è stabilito direttamente che alcune scelte fossero state deliranti e fuori fuoco. Un esempio emblematico, sul quale ritorneremo, è proprio la scelta dei baffi per il personaggio del Conte.
A parlarci delle principali fonti di ispirazione di Robert Eggers per la creazione del suo Nosferatu (Galeen e Stoker) non sono solo i titoli di coda, ma è il film stesso.
Cerchiamo perciò di sciogliere il primo intricato nodo intorno alla figura del Conte Orlok del 2024, approfondendo le figure di Dracula di Bram Stoker e di Orlok del 1922.
[Robert Eggers ospite al Vidéo Club di Konbini racconta tutti i film che lo hanno ispirato nella realizzazione di Nosferatu]
Dracula di Bram Stoker: genesi del personaggio e vampirismo nel folklore europeo
Pubblicato nel 1896, Dracula è un romanzo epistolare estremamente celebre che continua ad essere ristampato, tradotto in decine di lingue e trasposto al cinema: è forse l’opera che ha avuto più trasposizioni cinematografiche in assoluto.
Il motivo di tanta fama e popolarità è, a mio avviso, da ricondurre al fascino scaturito dalla duplice, se non triplice natura del romanzo stesso.
Da un lato, la storia di Dracula rappresenta l’epico scontro tra il Bene e il Male, dall’altro lato essa sembra volontariamente provocare il lettore, decostruendo la tradizionale lotta morale contro la malvagità. Attraverso la forma epistolare Bram Stoker - privato della possibilità di commentare e giudicare lo svolgimento delle vicende - fa emergere una certa cieca incoscienza nei suoi personaggi.
Le “vittime” di Dracula sono tutte concentrate profondamente su loro stesse e tuttavia non si dimostrano mai capaci di comprendere e spiegare i propri sentimenti nei confronti dell’ignoto.
Come afferma Carol A. Senf nell'introduzione a Dracula i protagonisti del romanzo sono veri e propri “personaggi bidimensionali” che riescono ad elaborare ipotesi circoscritte alla loro preparazione.
Sono cioè figure inesperte la cui personalità è fondata sul loro nome, la classe sociale e la relativa professione dalla quale derivano ipotesi, previsioni e sentenze fondamentalmente inattendibili.
In questo senso dunque, è possibile interpretare l’incapacità di lettura dei personaggi rispetto all’occulto più che altro come una forma di repulsione e diffidenza verso un vero e proprio “altro” incarnato dal personaggio di Dracula, straniero per antonomasia che simboleggia una serie di valori, tradizioni e costumi tremendamente lontani dalla realtà ottocentesca inglese.
[Un'illustrazione di John Coulthart ispirata a Dracula di Bram Stoker]
Dopo un primo spaventoso “benvenuto” nel romanzo Jonathan inizia a realizzare di trovarsi in una condizione di prigionia, ma la sensazione lo respinge a tal punto da continuare comunque a giovare della compagnia del Conte nei momenti in cui è lui stesso ad aprirsi per illustrargli tradizioni e costumi del suo popolo e della sua Transilvania (dinamica accuratamente messa da parte in Nosferatu il vampiro - e dunque anche in Nosferatu di Robert Eggers - che può far riferimento al meccanismo psicologico di rimozione che lo stesso Sigmund Freud ha collegato alla paura dell’occulto).
È Dracula quindi a raccontare al lettore la sua genealogia, la storia degli Szekely, i siculi della Transilvania, le influenze mitologiche nordiche (vichinghi, Thor e Odino), Attila e gli Unni fino alla sua eredità familiare, i Dracula, accennando a una figura valorosa che è ormai consuetudine interpretare come uno stravolgimento del realmente esistito Vlad Țepeș Dracul, Vlad III detto L’impalatore.
Vlad III era stato governatore della Valacchia, terra di confine tra i territori della Corona di Santo Stefano e quelli dell’Impero Ottomano, figlio di Vlad II che guadagnò l’appellativo ‘dracul’ dopo essersi unito alla confraternita dell’Ordine del Dragone (dracul, dragone e simbolo del demonio - drac: dragone/demonio; ul: articolo il).
A ben vedere però, non esistono così tanti elementi in comune tra la figura del principe e quella di Dracula.
Si è stabilito infatti che quello non fosse stato l’unico punto di riferimento di Stoker nella scrittura del suo romanzo: alcuni articoli di giornale trovati tra i suoi documenti hanno per esempio fatto pensare che lo scrittore avesse attinto al cosiddetto Panico sui vampiri del New England, un caso di cronaca nella cittadina di Exeter interpretato come manifestazione di vampirismo.
Una famiglia interamente distrutta da una malattia sconosciuta scatenò il sospetto di fenomeni paranormali al punto che i corpi furono riesumati e il padre del nucleo, unico rimasto vivo, piantò un paletto di legno nel petto della figlia deceduta e ne bruciò il corpo.
È chiaro che un altro universo al quale guardò Stoker per la costruzione della sua storia fu senza dubbio quello folkloristico della Transilvania, una zona caratterizzata fino al XX secolo da un agglomerato di popoli e religioni differenti sul confine più estremo con l’Occidente.
Questo sia da un punto di vista scenografico, nell’ispirazione alle tipiche architetture romano-gotiche e barocche dei Carpazi (soprattutto nelle descrizioni dei luoghi Stoker fu guidato dallo storico ungherese Ármin Vámbéry), sia da un punto di visto tematico considerando che soprattutto in questa terra si sono storicamente insediate superstizioni sul mito del vampiro e sui non-morti o morti viventi.
Qui il “soprattutto” è d’obbligo perché la storia del vampiro è estremamente ampia e assume connotazioni eterogenee in tutto il mondo.
Numerose credenze legate a entità vampiresche si sono diffuse nei popoli di ogni epoca, ma è più che altro nel sud-est dell’Europa e nei Balcani che tali leggende hanno scatenato vere e proprie isterie collettive.
Il personaggio di Dracula per esempio potrebbe essere facilmente letto come un’interpretazione moderna del concetto di strigoi, spiriti che secondo la mitologia romena risorgevano dalle tombe, trasformandosi in animali, diventando invisibili e nutrendosi del sangue delle loro vittime. È bene tenere presente tuttavia che gli strigoi, come moltissime altre creature vampiresche presenti nel folklore europeo e non solo, non hanno niente a che fare esteticamente con l’immagine di Dracula costruita da Bram Stoker.
In linea di massima infatti (perché esistono casi specifici e differenziati) essi sono cadaverici, hanno corpi gonfi e deformi e si muovono come animali.
Vedremo a breve perché Dracula non è rappresentato in questo modo.
[Un'illustrazione di John Coulthart ispirata a Dracula di Bram Stoker]
La mitologia slava in ogni caso ha contribuito a una definizione più profonda della figura del vampiro come la conosciamo oggi e ciò ha origini culturali, nella loro concezione dell’oltretomba e nell’idea di separazione tra corpo e anima.
Chiaramente tali credenze hanno influenzato anche il modo di vivere di numerose popolazioni, infatti nel tempo si sono imposti alcuni oggetti tipici, amuleti della quotidianità che servivano per respingere i vampiri.
In Dracula Stoker di questi mette in luce l’aglio, i crocifissi e i rosari, ma pone soprattutto l’attenzione sullo specchio: secondo alcune culture infatti i vampiri non potevano specchiarsi.
Di tradizione popolare è anche la leggenda secondo cui un vampiro non potesse entrare in casa se non invitato dal padrone stesso, concetto che è stato ripreso da Bram Stoker ma anche da Robert Eggers nel suo Nosferatu.
Per comprendere ancora meglio le origini dell’opera di Stoker è possibile, in ultima istanza, considerare una più generale attenzione nel corso dell’Ottocento verso il tema del vampirismo, già affrontato da Goethe sul finire del secolo precedente.
Una prima parentesi sul romanzo era doverosa, soprattutto per gli approfondimenti che seguiranno.
[Una scena di Nosferatu il vampiro, 1922]
Nosferatu il vampiro: elementi di distinzione e genesi del Conte Orlok
Com’è noto, per la questione dei diritti, Henrik Galeen fu costretto a cambiare l’ambientazione della storia di Dracula e il nome dei personaggi principali: da Londra le vicende furono spostate in Germania, a Wisborg, e il Conte Dracula si trasformò in Conte Orlok o Nosferatu.
Jonathan e Mina Harker diventarono Thomas e Ellen Hutter; il personaggio di Lucy Westenra, estremamente importante nel romanzo di Stoker in quanto amica di Mina e prima vittima di Dracula, venne completamente sostituito dal personaggio di Annie, migliore amica di Ellen.
A onor del vero, sarebbe più corretto dire che alcuni passaggi fondamentali della storia di Lucy furono alla fine immessi nel percorso di Ellen all’interno di Nosferatu il vampiro.
Allo stesso modo Arthur Holmwood venne trasformato (circa) in Harding e Mr. Hawkins, il capo di Jonathan in Dracula diventò Knock, personaggio che appare come una riproduzione, anche piuttosto fedele, del Renfield di Bram Stoker.
Infine il Professor Van Helsing e il Dottor Seward di Dracula furono svuotati di ogni importanza e chiamati rispettivamente Professor Bulwer e Professor Sievers.
Galeen aveva già lavorato a numerosi progetti legati al romanticismo gotico, per questo motivo fu scelto da Enrico Dieckmann e dall’occultista-artista Albin Grau, fondatori della Prana-Film, per scrivere un adattamento cinematografico di Dracula di Bram Stoker, nonostante nessuno fosse in possesso dei diritti.
Nata allo scopo di produrre film a tema soprannaturale, la Prana-Film entrò infatti in bancarotta appena dopo la produzione di Nosferatu il vampiro, proprio in seguito alla causa legale per violazione del diritto d’autore intentata da Florence Balcombe, moglie di Bram Stoker.
Se da un lato Galeen eliminò principalmente dalla storia di Dracula il personaggio fondamentale di Lucy e quello del Professor Van Helsing, dall’altro lato aggiunse un’invenzione straordinaria: l’idea dell’epidemia, cioè l’idea che il Conte Orlok giungendo a Wisborg portasse con sé, per mezzo di un’orda di ratti presente sulla sua nave, una peste terribile pronta a contagiare l’intera cittadina.
Questa scelta ha indubbiamente radici, in modo più consistente rispetto a Dracula di Bram Stoker, nel folklore europeo legato ai vampiri e al vampirismo; molte comunità nelle epoche passate interpretavano epidemie di tipo infettivo come manifestazioni dell’occulto, proprio per la loro inquietante capacità di contagio: senza una precisa definizione di malattie come tubercolosi o peste bubbonica, le persone erano portate a leggere le inquietanti trasformazioni dei corpi dei malati, torturati dai batteri fino alla morte, come simbolo di una maledizione vampiresca.
Anche Murnau comunque, scelto da Grau e Dieckmann come regista per Nosferatu il vampiro, ebbe un ruolo fondamentale nella sceneggiatura del film.
Sappiamo infatti che durante le riprese, pur avendo seguito scrupolosamente quanto scritto da Galeen, Murnau avesse riscritto completamente dodici pagine di copione, colorando il finale di un particolare elemento di sua invenzione, assente nella sceneggiatura di Galeen e nel romanzo di Stoker: la morte del vampiro per mezzo dei raggi del sole e della comparsa dell’alba.
[La morte del Conte Orlok (Max Schreck) in Nosferatu il vampiro]
Se Dracula di Bram Stoker fa emergere dallo svolgimento delle sue vicende il contrapporsi del perbenismo inglese all’alternativa trasgressiva di un mondo altro, Nosferatu il vampiro di Murnau sposa un intento completamente diverso, adattandosi al contesto sociale e storico del tempo.
La deriva di Thomas Hutter, nel cui corpo alla fine sopravvive lo spirito di Nosferatu, rappresenta l’intero universo semantico del film. Il sacrificio di Ellen, disposta a rinunciare alla sua stessa vita per salvare il suo amore e il suo popolo, non basta infatti all’eliminazione definitiva del vampiro.
Orlok/Nosferatu è dunque manifesto esplicito di una forma alternativa dell’essere umano in senso psicoanalitico e, al contrario di Dracula, non funge da rappresentazione di alterità sociale.
Egli riproduce l’alter-ego dell’uomo tedesco immaturo emotivamente e sessualmente e, al tempo stesso, l’attrazione ripugnante dell’universo femminile appassito e inappagato.
In questo pessimismo cronico, nella concezione di un abbandono universale alle pulsioni più ignobili, sta a mio avviso l’intero significato di Nosferatu il vampiro, ma soprattutto la sua straordinaria natura avanguardista.
Perciò il contesto storico è fattore determinante: Nosferatu il vampiro venne proiettato per la prima volta nel 1922, due anni dopo l’aggiunta del termine "Nazionalsocialista" al Partito Tedesco dei Lavoratori, già in mano da un anno ad Adolf Hitler e già provvisto delle sue cosiddette “camicie brune”.
Ecco che il degrado morale di Hutter, il sacrificio di Ellen e la figura di Orlok possono essere letti, oltre che da un punto di vista psicoanalitico, soprattutto da un punto di vista storico-sociale. La rinuncia altruistica di Ellen appare come un’utopia (l’utopia di estirpare il male dal mondo attraverso la lotta) poiché l’orrore (la dittatura) vive e per sempre vivrà nella debolezza dell’uomo, nutrendosi della sua cattiveria e della sua celata immoralità.
Ciò che ne emerge è un film che esprime appieno il concetto di "sinfonia dell’orrore" (come da titolo originale: eine Symphonie des Grauens), cioè di un’armonia insitamente malata che si riflette in ogni piccolo gesto, tanto che pure l’atto di strappare qualche fiore per farne un regalo viene messo a giudizio e interpretato come omicidio, dichiarato e esplicito, di un essere vivente indifeso e disarmato.
Le immagini di Murnau, dipinti espressionisti in bianco e nero destinati a divenire riferimento fondamentale per il Cinema horror successivo, odorano di peste e morte, respingono all’esterno e, al tempo stesso, costringono all’interno, portando lo spettatore a una forzata apnea e privazione di sensi.
[Le prime rappresentazioni del Dracula di Bram Stoker, da sinistra: la prima edizione ungherese del 1898, la prima edizione economica del Regno Unito del 1901, l'edizione britannica del 1919 disegnata da Alfred Holloway]
I tre corpi vampireschi
1. Dracula di Stoker: mostruosità e fascino seducente
Il vampiro di Bram Stoker presenta caratteristiche ben lontane dalle rappresentazioni tipiche dei vampiri nel folklore.
Questo è dovuto probabilmente al personaggio di Lord Ruthven, concepito da John William Polidori nel 1816: un vampiro con sembianze e sentimenti umani, dotato di volontà e intelletto.
Un fascinoso gentiluomo di ceto aristocratico che ammaliava le persone, giovando della loro rovina senza apparente motivo, come fosse avvolto da una terribile maledizione.
Nel romanzo di Stoker il Conte Dracula spiega a Jonathan di essere un boyard in Transilvania, cioè un membro del rango più alto della nobiltà feudale in Europa orientale, e di appartenere, come accennato, a una dinastia molto importante della zona. Ma come appare Dracula a Jonathan nei primi momenti in cui ha occasione di dialogarci?
Bram Stoker concepisce alcuni degli elementi del vampiro divenuti caratteristici e ufficialmente formalizzati proprio dalla sua penna.
Riporto per precisione le descrizioni iniziali di Jonathan dopo aver conosciuto Dracula:
“Dentro, stava un vecchio alto, accuratamente sbarbato a parte i lunghi baffi bianchi, e nerovestito da capo a piedi”
“ottimo inglese, ancorché di singolare cadenza”
“Il volto era grifagno, sporgente l’arco del naso sottile con le narici particolarmente dilatate; la fronte era alta, a cupola, e i capelli erano radi attorno alle tempie, ma altrove abbondanti.
Assai folte le sopracciglia, quasi unite alla radice del naso, cespugliose tanto che i peli sembravano attorcigliarvisi”
“La bocca, per quel tanto che mi riusciva di vederla sotto i baffi folti, era dura, d’un taglio alquanto crudele, con bianchi denti segnatamente aguzzi, i quali sporgevano su labbra la cui rossa pienezza rivelava una vitalità stupefacente in un uomo così attempato"
“Quanto al resto, orecchie pallide, assai appuntite all’estremità superiore; mento marcato e deciso, guance sode ancorché affilate. L’effetto complessivo era di uno straordinario pallore”
“mani posate sulle ginocchia, alla luce del fuoco: sembravano piuttosto bianche e fini; ma, trovandomele adesso proprio sottocchio, ho constatato che erano invece piuttosto grossolane, larghe, con dita tozze.
Strano a dirsi, peli crescevano in mezzo al palmo. Le unghie erano lunghe e di bella forma, e assai appuntite”
Dunque Dracula è un uomo anziano chiaramente mostruoso con un volto arcigno, un naso sporgente, orecchie appuntite, capelli radi ai lati e sopracciglia folte, baffi lunghi e fitti e una bocca colorata di un rosso vivo sulla quale spicca il bianco di denti aguzzi.
Egli è inoltre, secondo le testimonianze di Jonathan e del Professor Van Helsing, un uomo raffinato, persino gentile e accogliente, di grande intelligenza, orgoglioso e tenace, pervaso tuttavia da un profondo senso di superiorità che spesso sfocia nel sadismo, oltre che nella violenza e nell’omicidio.
Senza alcun dubbio è un personaggio che sfrutta la sua intelligenza per ammaliare, incantare, ingannare le sue prede e che si presenta quindi oltre che come un essere orripilante, anche come un uomo seducente, grazie alle sue abilità nelle trasformazioni.
[L'ombra del Conte Orlok in Nosferatu il vampiro]
2. Conte Orlok di Galeen e Murnau: l’ordog fluttuante che porta pestilenza
Graf Orlok o Nosferatu è senza dubbio una reinterpretazione del personaggio di Dracula, anche se egli in modo più consistente rispetto al Conte di Stoker sembra attingere all’universo folkloristico legato all’immagine del vampiro.
Foneticamente, il nome Orlok deriva dalla parola ungherese ordog e da quella slovacca vrolok, rispettivamente “diavolo” e “vampiro/lupo mannaro”.
Tra l’altro, nel romanzo di Stoker, Jonathan riporta la descrizione di queste due parole, cercate sul dizionario dopo averle sentite pronunciare ripetutamente dal cocchiere e dalla locandiera una volta giunto in Transilvania.
Anche il termine nosferatu (nosophoros: portatore di pestilenza) appare nel romanzo di Bram Stoker per bocca del Professor Van Helsing, a conferma della sua preparazione in merito a non-morti e morti viventi.
La fonte di Stoker in questo senso è considerata l’autrice e oratrice britannica del XIX secolo Emily Gerard che nel 1885, nel suo articolo Transylvanian Superstitions, scrive:
“Più decisamente malvagio, tuttavia, è il vampiro, o nosferatu, in cui ogni contadino rumeno crede fermamente [...].
Il vampiro vivente è in genere la prole illegittima di due persone illegittime, ma persino un pedigree impeccabile non assicurerà nessuno contro l’intrusione di un vampiro nella sua tomba di famiglia, poiché ogni persona uccisa da un nosferatu diventa allo stesso modo un vampiro dopo la morte, e continuerà a succhiare il sangue di altre persone innocenti finché lo spirito non sarà stato esorcizzato, sia aprendo la tomba della persona sospettata e conficcando un paletto nel cadavere, sia sparando un colpo di pistola nella bara.”
Dunque, la costruzione del Conte in Nosferatu il vampiro sembra avvicinarsi in modo più consistente rispetto a Bram Stoker alle rappresentazioni folkloristiche a cui lo stesso scrittore inglese ha fatto riferimento in Dracula.
Nel suo aspetto deforme e ossuto il Conte Orlok è ancora più strigoi rispetto a Dracula; completamente calvo e con i suoi lunghi e aguzzi incisivi, il vampiro di Murnau appare ripugnante, cadaverico e svuotato di ogni fascino: la sua figura non racconta quella lussuria, tipicamente aristocratica, del diavolo tentatore che invece è ben presente in Dracula.
Si fa fatica a definire Orlok un uomo in carne ed ossa, anche perché egli si muove fluttuando come uno spirito maligno.
Allo stesso tempo i suoi spostamenti sono seguiti da un’ombra terribile, riflesso di un’oscurità superiore che si staglia sulla città, nelle case, lungo il muro della camera di Ellen, in contrasto con quanto sostenuto da alcune culture nel folklore secondo le quali il vampiro, per via della mancanza dell’anima, non fosse provvisto di una propria ombra.
Orlok è perciò insitamente crudele e, al contempo, vittima del male che porta con sé: attaccato alla sua ombra per sempre - che è pure la sua maledizione - lascia che la pestilenza dilaghi tra le pieghe della fragilità umana in un graduale processo di decomposizione morale.
[Il Conte Orlok/Nosferatu interpretato da Bill Skarsgård]
3. Conte Orlok di Eggers: nobiltà in decomposizione
Veniamo per ultimo al Conte Orlok ideato da Robert Eggers che personalmente considero, non solo da un punto di vista estetico, una perfetta crasi tra l'Orlok di Murnau e il Dracula di Stoker.
Quando appare integralmente per la prima volta sullo schermo - cioè quando possiamo riconoscerne connotati e particolari estetici, nella scena in cui seduto al tavolo parla con Thomas (Nicholas Hoult) - l’Orlok interpretato da Bill Skarsgård si presenta quasi come una riproduzione del racconto di Jonathan in Dracula: il naso arcigno, i lunghi e folti baffi, le mani allungate e tozze e i capelli radi.
Avvolto da un’ingombrante pelliccia, con il capo sovrastato da un cappello voluminoso, anch’esso di pelliccia, Orlok prega Thomas di riferirsi a lui con l’appellativo Lord anziché Sir, cioè esige il rispetto per la sua nobile discendenza.
C’è un passaggio in Nosferatu in cui Thomas, sconvolto da ciò a cui pensa di aver assistito al villaggio la sera precedente, chiede spiegazioni al Conte: Orlok sminuisce la curiosità di Thomas, se ne indispettisce e, al tempo stesso, sembra quasi deluso dalla banalità del suo ospite.
In modo molto rapido lo invita a non pensare alle dicerie dei gypsies del posto, a proposito di esumazioni di cadaveri e, innervosito dalla sua insistenza, sottolinea il proprio particolare entusiasmo rispetto all’idea di ritirarsi in una città moderna che nulla a che fare con certe morbid fairytales, cioè fiabe morbose.
Così come Dracula, Orlok di Nosferatu è un nobile anziano arricchito che ispira alla modernità e al superamento dei retaggi arcaici.
Pur mantenendo numerose dissonanze con il vampiro di Bram Stoker è a mio avviso possibile affermare che Robert Eggers abbia voluto in questo senso omaggiare le numerose pagine del romanzo in cui Dracula parla a Jonathan della cultura e della tradizione della sua terra, senza nascondere una certa distanza dalle pratiche superstiziose del tempo.
Sebbene quindi il suo stato ossimorico, di creatura mostruosa ed elegante à la Dracula, l’Orlok di Nosferatu risulta comunque compatibile in maniera più consistente all’Orlok di Murnau.
Spogliato della pelliccia, Orlok assume le sembianze di un vero e proprio strigoi (tra l’altro citati nella scena della locanda nel film di Eggers): il corpo lungo, pallido, scheletrico ed emaciato, il cranio pieno di solchi e putrescenze, la testa infilata tra le spalle e le braccia tese lungo i fianchi, con le mani lunghe e intorpidite.
Eggers sceglie inoltre di non porre l’accento sull’elemento più emblematico del vampiro, i denti aguzzi, attenuando la loro sporgenza.
È una scelta ardita e ambiziosa e tuttavia a mio avviso vincente, considerando che nel folklore europeo tradizionale i vampiri non erano sempre descritti con denti appuntiti; anzi è lecito sostenere che questa caratteristica sia stata proprio un’invenzione letteraria del XIX secolo (forse addirittura di Stoker).
Al contempo, in alcune culture l’allungamento dei denti, notato durante il processo di deterioramento dei cadaveri, veniva proprio associato al vampirismo.
Per come sono stati concepiti in Nosferatu, i denti di Orlok sembrano allora rimandare più che altro a quest’ultima dinamica.
[Come potete osservare Orlok in Nosferatu ha i denti aguzzi, ma non sporgono come quelli di Dracula o di Orlok del 1922]
Anziché i caratteristici denti, l’Orlok di Robert Eggers ha due originali particolarità: il suo corpo è quasi completamente putrefatto e il suo respiro bestiale e enfisematico dirige il suono del vento.
Essendo rappresentato come creatura in stato di decomposizione - nel film il livello di putrefazione della sua carne sembra peggiorare in modo graduale fino al finale e, in alcuni momenti, sembra quasi possibile sentirne l’odore marcio e nauseante - Orlok respira rumorosamente e in affanno, addirittura mugugna come un animale quando sente l’odore di lillà nel medaglione di Thomas.
Dunque, per caratterizzare il suo Orlok, Eggers sceglie di associare alla respirazione sfibrata, legata al disfacimento fisico del vampiro morente, l’armonia del vento con i suoi sibili inquietanti e sospesi.
Una scelta che trovo affascinante.
D’altronde il concetto di decomposizione del corpo è profondamente legato al concetto di vampiro, inteso nella cultura slava come creatura impura che prende possesso di un cadavere in putrefazione per vendicarsi dei vivi, iniziando poi a succhiargli il sangue per sopravvivere.
Paul Barber in Vampires, Burial and Death ha fatto luce sulla correlazione tra la credenza dei vampiri e l’impossibilità di spiegare, a livello popolare, determinati processi di decomposizione del corpo dopo la morte; considerando che i fattori chimici e ambientali responsabili dei cambiamenti nel processo di disfacimento di un corpo post-mortem erano allora sconosciuti, la comparsa di alcune specifiche e insolite caratteristiche nei cadaveri portava le persone a sostenere che esse fossero nient’altro che manifestazioni di attività paranormali.
Corpi gonfi e apparentemente più in salute di prima (a causa della pressione sanguigna e dal gas accumulato), fuoriuscite di sangue, lo scurirsi della pelle, la sfuggita di gas attraverso le corde vocali con conseguente emissione di gemiti, venivano tutti interpretati come segni inequivocabili di vampirismo.
In questa prospettiva, l’Orlok di Robert Eggers risulta senza dubbio ancora più interessante.
[La rappresentazione di un villaggio romeno in Nosferatu]
Nosferatu di Robert Eggers: ultime importanti considerazioni
Affrontate le tematiche indispensabili per un approfondimento adeguato di Nosferatu, è possibile adesso esplorare con maggiore enfasi il film di Robert Eggers nelle sue parti.
Per evitare di appesantire questo articolo già abbastanza corposo sorvolerò su alcuni aspetti della messa in scena e mi concentrerò più che altro su alcuni particolari segmenti nel contesto dell’analisi.
Non saranno approfondite, per esempio, la scenografia e i costumi, pur essendo di particolare valore e significato; gli interni e gli esterni di Nosferatu sono curati in modo minuzioso, e come spesso accade nel Cinema di Eggers, sono composti da unità meticolosamente selezionate per raccontare la cupezza e la fumosità dei luoghi e la loro attinenza a un preciso periodo sul piano storico-sociale.
Allo stesso modo mantelli, cinturoni, casacche, gilet e corsetti vibrano di senso e simboleggiano, nella maggior parte dei casi, una speciale attenzione al contesto dell’epoca, diventando anche strumenti per mettere in luce la classe sociale o l'identità di ogni singolo personaggio, compreso il Conte Orlok.
Da un punto di vista estetico e stilistico Nosferatu è un film estremamente coerente nei suoi intenti, cioè nell’unione tra l’immaginario di Murnau e quello di Stoker; Eggers riprende il formato di Nosferatu il vampiro e alterna inquadrature statiche - con la consueta predilezione per i primi piani frontali e di profilo - a movimenti più elaborati e impetuosi.
Continua a lavorare sulle immagini con il direttore della fotografia Jarin Blaschke, che lo accompagna da The Vvitch, creando anche in questo caso una dicotomia visiva costituita da fotogrammi che si scontrano: da un lato Wisborg, rappresentata con toni freddi e pallidi, dall’altro lato il convenzionale gotico, espresso attraverso una profonda desaturazione dell’immagine che quasi dialoga con il bianco e nero e dalla presenza ingombrante delle ombre.
Accompagna il film la colonna sonora violenta e travolgente di Robin Carolan, scritta come espressione di un ulteriore legame con il Cinema muto e con il film del 1922 di Murnau.
A testimonianza di quanto appena detto si pensi alle due sequenze che raccontano il viaggio di Thomas verso la Transilvania e l’incontro con il Conte Orlok.
Durante il suo soggiorno in locanda, Thomas assiste alla riesumazione e alla profanazione di un cadavere: il montaggio ci suggerisce che quella visione non sia nient’altro che un incubo e tuttavia l’inquadratura di Thomas nel letto mette in risalto le sue scarpe sporche di fango.
Ritrovatosi da solo, poiché tutti gli abitanti del villaggio sembrano essersi volatilizzati, Thomas si dirige tra i Carpazi in cerca del castello del Conte Orlok; sul percorso incontra un’edicola religiosa piena di croci e attraversa un ponte di legno giungendo a un fitto bosco (l’edicola e il ponte di legno sono presenti anche in Nosferatu il vampiro).
Una delle sequenze più affascinanti di Nosferatu è senza dubbio quella in cui Thomas incontra la carrozza nera senza cocchiere, quella che lo porterà finalmente al castello.
La prospettiva centrale, il controluce, la neve fine, il lavoro incredibile del sonoro (il rumore degli zoccoli dei cavalli che si intensifica gradualmente) contribuiscono alla definizione di un’immagine che assomiglia molto alla medesima scena in Dracula di Bram Stoker.
Nel romanzo Stoker descrive “imponenti pendici boscose” con pinete che “parevano sul punto di piombarci addosso”.
In particolare, Jonathan descrive il suo viaggio nella carrozza nera in questo modo:
“Ben presto, eccoci attorniati da alberi, che in certi punti formavano arco sopra la carreggiata, sì che passavamo come attraverso una galleria [...] e una neve fine, polverosa, ha preso a cadere, sicché ben presto noi e quanto ci circondava siamo stati coperti da una coltre bianca.”
E aggiunge poi di essersi forse addormentato, poiché il viaggio gli è sembrato ripetersi continuamente.
In Nosferatu Thomas entra all’interno della carrozza compenetrando la superficie, come se, fluttuando, si stesse addentrando in una dimensione parallela.
Qui Eggers inserisce continui cambi di prospettiva e rotazioni a 180/360°, e, attraverso il montaggio, alterna esterno e interno in un flusso continuo.
Ciò amplifica la sensazione di stordimento di Thomas durante il viaggio (la stessa di Jonathan) oltre ad accentuare la sensazione di incubo e di psicosi.
[La sequenza ambientata nel bosco in Nosferatu]
Anche l’incontro con il Conte Orlok è interessante da un punto di vista stilistico: in questa sequenza in particolare si rende chiara l’intenzione di Eggers di ingannare e confondere lo spettatore costringendolo a vivere quanto accade dal punto di vista di Thomas.
Dopo essere apparso in silhouette sotto l'arco a mandorla al di là della porta del castello, Orlok fa strada a Thomas lungo alcune scale a chiocciola.
Possiamo chiaramente vedere che Orlok si trova pochi centimetri davanti a Thomas, ma quando la cinepresa si sposta preparandoci a un’inquadratura frontale del Conte (del quale fino ad ora abbiamo solo visto il mantello e gli stivali), egli non c’è più: è già vicino al camino della sala, in attesa che Thomas si sieda al tavolo per mangiare.
Nella scena immediatamente successiva Orlok sembra alla destra di Thomas, materializzandosi poi alla sua sinistra intento a riempire un bicchiere di vino da offrire al suo ospite e giungendo infine nuovamente al tavolo senza aver mai camminato (infatti non sentiamo rumore di passi).
In questo contesto, tra l’altro, Orlok sfiora con il dito il viso di Thomas provocandogli un sussulto: un passaggio che ricorda senza dubbio le parole di Jonathan in Dracula: “Come il Conte si è chinato verso di me e le sue mani mi hanno sfiorato, non ho potuto reprimere un brivido”.
La messa in scena di questa sequenza in generale è ricchissima, costituita da zoom avanti e indietro e ribaltamenti di prospettiva asfissianti, come se il castello di Orlok fosse l’unico luogo in cui il mondo sotterraneo dell’occulto e del paranormale si incontra con quello terreno.
Non esiste una vera e propria cronologia all’interno di questa lunga sequenza, spezzata da alcune scene di Ellen: non capiamo quanto tempo Thomas passi all’interno del castello, né quando sia stato morso dal vampiro, né tantomeno per mezzo di quali porte Thomas abbia attraversato determinate stanze.
L’intero castello è rappresentato come uno spazio sprovvisto di logica, con ambienti separati o collegati da porte inesistenti.
Sia in Dracula (“porte, porte, porte dappertutto, e tutte chiuse e sbarrate. Nelle mura del castello, eccezion fatta per le finestre, non esistono vie d’uscita praticabili”) sia in Nosferatu il vampiro le porte sono un elemento cruciale in questo particolare momento della storia e proprio le porte sono le grandi protagoniste del finale della sequenza di Nosferatu che culmina con la scoperta della tomba del vampiro (della quale non ho trovato simbologie rilevanti, perciò vi invito a condividere eventualmente i riferimenti se ne siete a conoscenza) e la caduta di Thomas dalla finestra.
[Thomas Hutter scioccato alla vista delle dita del Conte Orlok in Nosferatu]
Prima di affrontare la questione dei personaggi un’altra necessaria premessa: per conservare l’integrità di Nosferatu - e di conseguenza apprezzarne maggiormente il valore - il mio invito è quello di guardare il film in lingua originale, che è pratica comunque generalmente consigliata.
Soprattutto a livello di impostazione vocale degli attori il film è stato purtroppo snaturato in fase di doppiaggio e la mia impressione è che ci siano state proprio difficoltà a mantenere la cupezza e l’austerità teatrale della costruzione dei dialoghi originali.
Ciò vale soprattutto per il Conte Orlok e la notevole interpretazione di Skarsgård: si fa fatica ad apprezzare l’italiano sgangherato del Conte poiché appare ridicolo e macchiettistico, al contrario in lingua originale la dizione dell'attore è una delle componenti più inquietanti e spaventose del personaggio.
In Nosferatu, come in tutto il Cinema di Robert Eggers, i personaggi sono fallibili, intrecciano le loro esistenze tra la realtà concreta e la metafisica o il paranormale, sono spesso repressi, fisici e carnali, sconvolti da una sessualità disturbante e ossessiva e di frequente si denudano offrendo il proprio fragile corpo alle perversioni che il Male insinua nelle loro menti corrotte.
Come nel romanzo di Bram Stoker i personaggi di Nosferatu sono piatti e inconsistenti nella loro incapacità di reagire all’alterità.
A ognuno è associata una specifica caratteristica, perciò in questo senso essi non esprimono personalità eterogenee ma si attengono al luogo comune della loro esistenza.
Questa caratteristica è sicuramente lampante nei personaggi di Friedrich (Aaron Taylor-Johnson) e Anna Harding (Emma Corrin), la coppia amica dei coniugi Hutter che si offre di ospitare Ellen (Lily-Rose Depp) mentre Thomas è in viaggio in Transilvania: Friedrich è fisico e passionale, mediocre nel manifestare i suoi bisogni sessuali e vede nella prole e nella sua figura di maschio prestante, partner passionale e padre premuroso la sua intera identità; egli rifiuta a più riprese la “follia” di Ellen e disprezza il suo modo di sfidare le regole dell’epoca, l’atto di portare agli estremi alcuni comportamenti che invece, dal suo punto di vista, dovrebbero essere repressi per decoro.
Anna è invece la rappresentazione della moglie onesta e fedele: composta in tutte le sue espressioni, anche quelle di sconcerto e paura, può comprendere il male solo attraverso Dio, cioè il male inteso come ennesima manifestazione del divino.
Vive nell’illusione che tutto possa essere ricondotto alla fede religiosa e confida nello strumento della preghiera per salvare la sua amica.
Alla banalità di questi due personaggi si contrappone la figura del Professor Von Franz (Willem Dafoe), scritto incrociando il Professor Van Helsing di Dracula e il Professor Bulwer di Nosferatu il vampiro: Von Franz appare immediatamente come un reietto della società, rintanato in una catapecchia invasa da libri e polvere.
Essendo la sua personalità focalizzata sulla conoscenza, il personaggio interpretato da Dafoe risulta sempre un passo avanti nella comprensione degli eventi all’interno del film.
È difatti l’unico vero confidente di Ellen, o meglio l’unico che è in grado di comprendere il suo legame con l’oscurità, ma nell’espressione della sua consapevolezza Von Franz ispira più che altro una stravaganza caotica e imprevedibile, tanto da non riuscire ad affermare mai completamente la sua autorità intellettuale.
Von Franz suggerisce numerose informazioni che possano aiutare a comprendere l’entità di Nosferatu: per esempio, egli propone una possibile connessione tra il Conte Orlok e la scuola di arti oscure di Scolomanzia (Solomonari).
In questo caso Eggers si rifà chiaramente a Dracula di Bram Stoker, poiché nel romanzo è proprio Van Helsing a parlare di questo legame.
Stoker infatti aveva preso spunto da Gerard (Transylvanian Superstions) e aveva appunto inserito all’interno del suo romanzo la leggendaria scuola di magia nera in Transilvania gestita, secondo il folklore, dal Diavolo in persona.
[Il Professor Von Franz sul finale di Nosferatu]
Veniamo ora al personaggio di Ellen, quello più ricco di riferimenti e simbolismi.
Già con la ridarella e il capo segnato dalle croste della peste, in una scena di Nosferatu Knock definisce Ellen una donna senza pari, paragonandola a una Silfide: nella mitologia germanica la Silfide era una figura femminile agile e snella, associata al vento e ai boschi e ritenuta sia benefica che malefica.
Fu descritta ampiamente dal medico e alchimista svizzero Paracelso, inventore di una nuova tipologia di alchimia basata sulla trasmutazione dei vegetali e della definizione dei cosiddetti spiriti incorporei Archei (o arcana), responsabili dell’insorgere di malattie.
In Ellen dunque vive la forza del vento (orchestrato, si è detto, dal respiro del Conte Orlok) e il suo animo si divide tra il bene e il male. Ellen è infatti la “responsabile” dell’arrivo dell’oscurità e ciò in Nosferatu si comprende sin dall’inizio. Il film infatti si apre con un sogno che è invece un vivido ricordo: Ellen chiama a sé, in un momento di debolezza e in cerca di conforto e compassione, uno spirit of comfort, un angelo custode che possa aiutarla.
Il suo però non è un desiderio candido, quella che brama è la passione trasgressiva, un momento di piacere fisico liberatorio, e infatti nella disperazione Ellen chiede semplicemente qualcuno (chiunque) che possa accontentarla.
Risvegliando Nosferatu dal suo drammatico stato di immortalità, Ellen contribuisce alla costruzione di un legame indissolubile con la creatura, finendo per promettersi a lei eternamente: nel suo primo incontro con Nosferatu Ellen si libera delle convenzioni sociali e geme di piacere, ma non appena ritorna alla realtà si trova soffocata dal mostro e in preda a convulsioni e spasmi epilettici.
Fin da subito quindi appare chiaro quanto centrale sia la figura di Ellen in Nosferatu, così come lo è nel film di Murnau. Ellen è l’unica a poter portare la luce in una città ormai contagiata dalle tenebre del Conte Orlok, è la persona che vive la sofferenza, la tenacia, la rabbia del vampiro all’interno del suo corpo, sperimentando vere e proprie simbiosi con il male.
Von Franz riconosce immediatamente la rilevanza di Ellen, tanto da immaginarla come una sacerdotessa di Iside, cioè come una donna influente e rispettata, incaricata di proteggere, guarire e sostenere le persone, simboleggiando la maternità e la magia.
L’amore per Thomas, negli anni, le aveva dato la percezione di essersi liberata del suo destino di martire; tuttavia Thomas la abbandona per un incarico lavorativo, spinto dall’ambizione professionale e dal suo senso di responsabilità verso il benessere esclusivamente materiale della moglie.
Ellen lo avverte e lo prega di restare e di rinunciare alla smania di ricchezza nel raggiungere determinati status sociali, ma Thomas è incapace di comprendere il turbamento della sua compagna perché non ha strumenti per concepire l’origine malefica e paranormale di quell’emozione.
Non comprendendo l’occulto, egli sa solo constatare la sua esistenza e trova la determinazione solo nel momento in cui comprende di dover essere lui stesso a sconfiggere Nosferatu, per una sorte di sindrome dell’eroe castrata poi da un inevitabile epilogo di cui lui non è minimamente a conoscenza.
[Ellen nella sequenza finale di Nosferatu]
Data la sua importanza, il personaggio di Ellen è chiaramente adornato da una serie di icone e allegorie.
Per esempio, i suoi capelli sono sempre accuratamente raccolti quando si trova in presenza di altri uomini, ma sono sempre sciolti nei suoi incontri notturni con Orlok; emblematica in questo senso è proprio la sequenza finale in cui Ellen, vestita da sposa, decide di concedersi definitivamente a Nosferatu e lo invita a entrare in casa sua.
Nel prepararsi, Ellen comincia a smontare la sua acconciatura e a sciogliersi le trecce: spogliandosi di un codice sociale così specifico - la consuetudine che le donne portassero i capelli legati in presenza di altre persone - essa abbandona la morale e smette di lottare contro il desiderio.
Il suo è senza dubbio un sacrificio per amore, spinto dalla consapevolezza che unirsi a Nosferatu sia l’unica soluzione per salvare Thomas e la città, ma è innegabile che all’interno di quell’abbandono vi sia una totale liberazione.
Innanzitutto perché vi è una scelta consapevole e dunque il potere di Ellen sul futuro che porta la sua figura su un gradino più alto rispetto a quella degli altri, poi anche perché la dipendenza da Orlok è fonte di inesorabile sofferenza perciò, nel liberarsi del legame, Ellen libera anche l’anima del responsabile del suo male.
Si tratta di una generosità trasversale che supera il concetto di Bene e Male tant’è che Orlok, abbandonato tra le braccia di Ellen, appare d’un tratto fragile e innocuo, come se Ellen fosse stata per lui la stessa fonte di sofferenza in quanto unica in grado di regalargli la morte eterna, salvandolo dall’immortalità.
Il rapporto tra Ellen e Orlok in Nosferatu è veramente interessante e molte interpretazioni mi hanno sinceramente colpito: c’è chi ha visto nel sacrificio di Ellen un abbandono dei codici morali del tempo, chi invece la resa definitiva a un amore tossico, chi per ultimo il raggiungimento di una libertà di scelta verso quello che si desidera, anche se considerato moralmente sbagliato.
Una persona che conosco per esempio ha percepito il dramma di Ellen come rappresentazione del trauma di una violenza sessuale subita in età infantile e la manifestazione di una sorta di dipendenza affettiva dal proprio carnefice.
[La meravigliosa inquadratura finale di Nosferatu, una sorta di Pietà di Michelangelo che ritrae i corpi abbracciati di Ellen e Orlok] Nosferatu
Non sono solo i capelli ad essere importanti nella caratterizzazione di Ellen, ma anche ciò che lei utilizza per agghindarli.
In una scena di Nosferatu Ellen si taglia una ciocca di capelli e la pone all’interno di un medaglione che poi dà a Thomas prima della sua partenza, in modo che lo porti con sé in Transilvania. Un gesto romantico che nasconde in sé un altro scopo, non a caso Ellen è particolarmente tesa e sofferente durante la preparazione del dono per il suo amato.
Ellen vuole che Thomas porti un pezzo di sé all’attenzione del Conte Orlok, così che egli possa essere certo di trovarsi di fronte al marito della donna a lui promessa.
Quando infatti il Conte nota il pegno d’amore di Thomas e chiede di tenerlo in mano, annusandolo riconosce l’odore di Lillà (sospira Lilac), cioè l’odore dei fiori che Ellen inserisce abitualmente tra i suoi capelli.
Il lillà ha una simbologia estremamente particolare.
Innanzitutto secondo alcune tradizioni il lillà, pianta originaria dei Balcani e dell’Asia, si utilizzava per purificare luoghi contaminati da presenze oscure e serviva dunque ad allontanare gli spiriti maligni; il lillà è poi la pianta associata a Siringa (Syrinx, infatti il lillà è syringa vulgaris), la ninfa che nella religione greca antica, perseguitata dal dio Pan che voleva possederla, invocò l’aiuto delle Naiadi e fu trasformata in canne palustri con le quali Pan costruì il suo flauto.
A livello popolare, inoltre, il lillà soleva essere usato tra fidanzati per definire la rottura della relazione, ma esso poteva anche rappresentare l’innamoramento vero e proprio.
Soprattutto in età vittoriana la florigrafia (linguaggio dei fiori) e in generale la consuetudine di utilizzare allestimenti floreali per esprimere messaggi e sensazioni segrete erano attività comuni.
In Nosferatu Robert Eggers dà quindi una simbologia particolare alla presenza dei fiori.
In quest’ottica, i lillà che porta in dono Thomas a Ellen per farsi perdonare della sua futura assenza acquistano un significato ancora più profondo: non solo esprimono, come in Nosferatu il vampiro, la sensibilità di Ellen nei confronti della morte, ma essi sono percepiti anche come un cattivo presagio, cioè il simbolo di un innamoramento e al contempo di una prossima incombente rottura.
Non a caso Ellen racconta immediatamente a Thomas il suo incubo: sposarsi con la Morte con il profumo di lillà nell’aria, premonizione dell’epilogo del film.
Sempre lillà, infine, sono i fiori che il Professor Von Franz sparge sui corpi senza vita di Ellen e Orlok.
[In questa scena di Nosferatu Ellen tiene stretti i fiori con le mani davanti a sé, come farebbe una persona deceduta all’interno di una bara]
Di Nosferatu si è criticato spesso il suo essere eccessivamente legato a una certa iconografia dell’esorcismo, tematica che sarebbe erroneamente associata al vampirismo e alla storia del Conte Orlok/Dracula.
Da una parte credo che questa sia una corretta osservazione, dal momento in cui il film in numerose sequenze pone l’accento su una forma di spiritismo che non somiglia, nell’immaginario comune, ai risultati tipici della possessione del vampiro.
Gli occhi ribaltati di Ellen, la sua bocca spalancata e la sua voce indemoniata suggeriscono un’immagine potente che è possibile ascrivere più all’esorcismo che al vampirismo.
Tuttavia, l’intuizione di Robert Eggers non è scontata.
Ellen soffre di sonnambulismo e sperimenta violenti attacchi epilettici mentre cerca di sopravvivere all’energia di Nosferatu e il suo malessere viene giustificato nel contesto di un’isteria o una comune crisi nervosa. Il suo percorso nella lotta contro Orlok è simile senza dubbio a quello di Lucy Westenra in Dracula che, mostrando evidenti segni di schizofrenia a causa del contatto con il Conte, nella notte si trasforma in una donna lussuriosa e carnale.
Anche Stoker, in questo senso, rappresenta il desiderio di fuggire dall’oppressione dell’alta società, superando tutte le costrizioni imposte a livello sociale.
Le descrizioni dell’evoluzione della salute di Lucy in Dracula possono essere tranquillamente associate alle immagini di esorcismo consolidate nella nostra memoria cinematografica: Mina racconta che l’amica emette gemiti languidi e ricerca costantemente la finestra (così Ellen si avvicina sempre alla finestra per connettersi a Nosferatu) e la descrive in modo particolare:
“Aveva le labbra dischiuse e respirava, ma non dolcemente, come fa di solito, bensì a lunghi, grevi ansiti, come se stentasse a riempirsi i polmoni.
Al mio avvicinarsi, nel sonno ha levato la mano e si è stretta alla gola il collo della camicia”
Il suo respiro è spesso descritto come russante e gorgogliante e, addirittura, un attimo prima di morire Lucy cerca di mordere il marito chiedendogli con l’inganno un bacio, come fosse effettivamente impossessata da uno spirito maligno.
Anche la morte della madre di Lucy è descritta come una possessione e lo stesso Van Helsing si prepara allo scontro con Dracula mettendo attorno al collo di Lucy un fazzoletto di seta, un rosario e una collana d’aglio.
Se è vero dunque che l’essere umano morso dal vampiro che si trasforma anch’esso in vampiro è più che altro una trasformazione fisica e psicologica della vittima, è senz’altro vero che la descrizione di questo processo appare in Stoker come un continuo oscillamento tra l’umano e il non-umano, esattamente come accade solitamente nei casi di possessione in cui il posseduto torna arbitrariamente in sé per poi sprofondare nuovamente nella personalità dello spirito maligno.
Trovo quindi abbastanza plausibile il fatto che Eggers abbia voluto enfatizzare in Nosferatu questa particolarità del romanzo di Stoker, aggiungendo intensità alle immagini con chiari riferimenti al tema dell’esorcismo tanto esplorato a livello cinematografico.
[Ellen in una delle sequenze di possessione di Nosferatu]
C’è poi un altro fattore rilevante in questo senso, perché gli episodi di sonnambulismo e di epilessia di Ellen trovano senza dubbio il loro significato in uno specifico riferimento storico-sociale.
Com’è stato già osservato, il modo in cui Ellen si muove nei suoi episodi nevrotici allude chiaramente al tema dell’isteria femminile e al mondo creatosi intorno alle cosiddette “lezioni del martedì” del medico Jean Martin Charcot.
Le lezioni del martedì si svolgevano al Salpetrière ed erano vere e proprie visite mediche aperte al pubblico: Charcot invitava donne isteriche e mostrava agli ospiti alcune tecniche per “risolvere la malattia”.
Il corpo della donna diveniva così oggetto di studio e oggetto di spettacolo: il dolore diventava attrazione per professionisti e curiosi ma anche per attori, come Sarah Bernhardt che fu tra le prime a riconoscere il potenziale performativo dell’isteria.
Tali rappresentazioni ispirarono pure Freud per la sua teoria dell’isteria intesa come repressione del desiderio sessuale.
Dal Novecento in poi la figura dell’isterica si trasformò in alterità femminile non-conforme, cioè un soggetto inatteso che ribalta l’ordine e si libera dal suo destino biologico di riproduzione, condensato poi in alcune figure femminili del tempo come attrici, prostitute o new woman. Sempre nel contesto dello spettacolo la gestualità delle isteriche iniziò a ispirare la recitazione melodrammatica, istrionica e esasperata, delle prime donne di teatro (come Eleonora Duse) e delle attrici del Diva film italiano.
Fino agli anni '50 l’isteria ha continuato ad essere trattata come malattia nevrotica in Occidente, persino Anna Magnani per giustificare le carte del suo divorzio (allora illegale) ottenne una diagnosi di “vaginismo isterico” con i sintomi tipici dell’isteria quali emotività incontrollata e eccesso, tratti tra l’altro che appartenevano al suo modo di recitare.
Ma questa è un’altra storia.
Ciò che importa qui è che Robert Eggers nel suo Nosferatu arricchisce il personaggio di Ellen con tutto questo immenso universo concettuale rafforzando l’idea della sua non conformità.
[L'atto di strapparsi i vestiti di dosso come caratteristica manifestazione dell'isteria femminile in Nosferatu]
Come accennato nell’introduzione spero davvero che in questo articolo possiate trovare spunti interessanti sui quali produrre ulteriori riflessioni.
Pur avendo scritto molto, mi rendo conto che su questo film, soprattutto in termini di simbolismo, il materiale per un approfondimento è talmente tanto che potrei aver dimenticato qualcosa.
La figura del vampiro, e in particolare quella di Dracula e del Conte Orlok, ha subito numerose evoluzioni nel tempo e alcune rappresentazioni (come quelle di Werner Herzog e di Francis Ford Coppola che ahimé ho dovuto lasciare da parte) si sono inserite con prepotenza nella Storia del Cinema rinnovando il nostro immaginario.
Nosferatu di Robert Eggers, a mio avviso, ha il pregio di aver innanzitutto continuato questa tradizione, perché le opere di Stoker e Murnau nascondono in sé una moltitudine di significati e prospettive: dalla riflessione sul male, al ruolo della donna nella società fino alle tradizioni folkloristiche del tempo.
Certamente in questo senso Nosferatu non può che essere un film problematico, sul quale ricadono numerose aspettative. Un film insomma che deve essere attuale per poter piacere a un pubblico eterogeneo e che, al contempo, deve essere in grado di guardare al passato, senza tradire gli intenti dei suoi predecessori.
Anche se sprovvisto del carattere di The Vvitch o di The Lighthouse, per quanto mi riguarda Nosferatu riesce perfettamente in questo senso, rimanendo comunque un prodotto perfettamente in linea con la poetica di Robert Eggers, fedele al suo stile personale, alla sua attenzione verso l’aspetto esoterico, biblico o folkloristico e alla sua smisurata passione per il Cinema e per la ricerca storica.
Robert Eggers continua perciò a perseguire un vero e proprio culto dell’immagine che si sostanzia nella costruzione di inquadrature inspiegabilmente perfette che trasudano sporcizia, polvere e terra e delle quali, molto spesso, si potrebbe riuscire persino a sentire l’odore.
___
Nosferatu Nosferatu
CineFacts non ha editori, nessuno ci dice cosa dobbiamo scrivere né soprattutto come dobbiamo scrivere: siamo indipendenti e vogliamo continuare ad esserlo, ma per farlo sempre meglio abbiamo bisogno anche di te!
Articoli
Articoli
CineFactsPodcast