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Non Riattaccare - Recensione: una lunga notte per ritrovarsi - Intervista al regista Manfredi Lucibello

Non Riattaccare, con Barbara Ronchi e (la voce di) Claudio Santamaria, è un noir ambientato ai tempi del lockdown che accompagna lo spettatore in un viaggio scomodo, in macchina e dentro le spaccature dell'amore

Non Riattaccare di Manfredi Lucibello è un film dal carattere teatrale che mette in luce il talento di Barbara Ronchi e di Claudio Santamaria in una chiave nuova. 

 

Fin qui il regista toscano si era misurato con una serie di documentari e con un'altra opera di finzione, Tutte le notti (2018). 

Il film è liberamente ispirato all’omonima opera letteraria di Alessandra Montrucchio, edita da Marsilio nel 2005, la sceneggiattura è firmata da Manfredi Lucibello insieme a Jacopo Del Giudice.

Prodotto dai Manetti Bros., Carlo Macchitella (scomparso nel marzo 2023) e Pier Giorgio Bellocchio insieme a Rai Cinema e distribuito da I Wonder Pictures, Non Riattaccare è stato l'unico lungometraggio italiano in concorso al 41° Torino Film Festival.

 

Manfredi Lucibello sembra essere attratto naturalmente dal buio, da una dimensione-altra che esiste solo di notte, esaltata da una regia che trova soluzioni d'ingegno per gli spazi chiusi, coadiuvata dalla fotografia ombrosa di Emilio Costa, dal montaggio incalzante di Diego Berrè e dalle musiche languide di Francesco Motta

 

 

[Il trailer di Non Riattaccare] Non Riattaccare

 

 

La storia di Non Riattaccare si svolge tutta in un tempo cronologico reale durante una notte del marzo 2020, in piena pandemia da Coronavirus. 

 

Le morti in Italia sono quasi mille al giorno, le strade delle città sono deserte a causa del lockdown e gli spostamenti sono possibili solo tramite autorizzazioni specifiche. 

L'angoscia del coprifuoco e il senso di isolamento fisico ed emotivo incorniciano l'atmosfera di suspense che accompagna la storia: di notte il telefono di Irene (Barbara Ronchi) squilla, dall'altra parte della cornetta c'è Pietro (con la voce di Claudio Santamaria). 

 

Da mesi la loro storia d'amore è finita e Irene si irrigidisce per l'invasione di un perimetro ormai separato; Pietro però fuori di sé e le sue parole confuse lasciano presagire un imminente atto disperato: a Irene non resta che mettersi in viaggio in automobile in una Roma spettrale, senza mai riattaccare, con la speranza di raggiungere in tempo Pietro nella casa al mare.

 

 

[Un frame di Barbara Ronchi in Non Riattaccare] Non Riattaccare

 

Non Riattaccare è stato girato interamente in notturna, tra Roma e il lungomare di Santa Marinella, dove si trova la casa in cui Pietro e Irene erano soliti trascorrere le vacanze insieme; parte del viaggio avviene lungo l'autostrada A12, nel tratto tra Roma e Civitavecchia.

 

Il percorso in auto di Irene che attraversa la città al telefono con Pietro ricopre tutto l'arco del film, che appare dunque come una specie di unico piano sequenza concettuale, in cui la presenza scenica di Barbara Ronchi diventa il solo fulcro visibile, accompagnato dalla "assenza" fisica di Claudio Santamaria, che costruisce il suo personaggio esclusivamente dal punto di vista sonoro, tramite la voce al telefono.

 

La recitazione di Barbara Ronchi è vivida e autentica, portata avanti con una naturalezza che contribuisce a conferire credibilità alle intenzioni, priva di retorica nel modo di esprimere il corpo e le parole, con un lavoro in sottrazione che asciuga le ridondanze e arriva all'essenza.

In alcuni passaggi Non Riattaccare assomiglia a un monologo teatrale, un one-woman show che alterna il percorso di maturazione tipico del road movie alla tensione da thriller sentimentale. 

 

Claudio Santamaria conferma il suo talento, questa volta tutto racchiuso nella sola voce; prestarsi per un film in cui gli strumenti legati alla fisicità vengono meno dimostra una grande generosità e una passione per il cinema ancora incandescente, di chi non ha esaurito il desiderio di misurarsi con ruoli originali e sfidanti. 

 

 

[Un frame di Barbara Ronchi in Non Riattaccare] Non Riattaccare

 

 

Abbiamo avuto il piacere di conversare direttamente con il regista Manfredi Lucibello a proposito del film. 

 

Come e quando è nata l’idea di Non Riattaccare? 

 

Manfredi Lucibello: 

"Nasce durante la pandemia, quando Carlo Macchitella, produttore del film, che purtroppo ci ha lasciati l’anno scorso, mi propone di leggere il libro “Non riattaccare” di Alessandra Montrucchio. 

Lui mi conosceva molto bene e io sono rimasto folgorato dalla prima parte, che era molto cinematografica, il fatto che la protagonista dovesse partire per questa chiamata della persona che ama mi affascinava.

 

Però era un racconto molto concettuale, non c’erano nomi; io dovevo renderli in due ruoli definiti.

Scrivendo con Jacopo Del Giudice sono nati Irene e Pietro.

A me eccita proprio l’idea di un Cinema in cui si mettono sul piatto tante difficoltà, portandolo anche verso il thriller.  

 

Scrivevo durante la pandemia e nella mia finestra c’era il vuoto e il silenzio - nel momento più terribile della pandemia - e per me è stato chiaro fin da subito che sarebbe stato il momento ideale per raccontare una storia di due persone e della loro solitudine, il momento ideale sia perché raccontava bene loro sia perché rendeva tutto più emozionante, anche nella chiave thriller".

 

A proposito di pandemia: in Non Riattaccare il periodo del lockdown fa da sfondo, ma non sembra essere il focus principale, se non nel paesaggio esterno e in quello emotivo dei personaggi.

È stata una scelta deliberata escludere dal racconto riferimenti più espliciti?

 

"Secondo me Non Riattaccare è un film che racconta anche la pandemia, nonostante non racconti la malattia, ma la pandemia è stata tante cose.

C’è stato il momento terribile con i morti, ma ci sono state anche tante altre cose che si possono raccontare, come la solitudine.

Il dolore di Pietro è ampliato dalla pandemia, il fatto di stare solo in Svizzera chiuso, senza vedere nessuno. 

Irene è scappata dalla pandemia e ha cercato rifugio nelle braccia di uno sconosciuto pur di non stare sola, però non riesce a chiudere occhio la notte.  

Quindi il lockdown è stato anche questo: un momento di grande dolore per tutti, ma anche di grande riflessione".

 

Com'è stato dirigere Barbara Ronchi, in un ruolo come quello di Irene, giocato tutto sulla parola, sull'onda continua della narrazione verbale, con una possibilità di movimento limitata dal mezzo dell'automobile?

 

"È stato bellissimo: Barbara dice sempre che fa questo mestiere per avere proprio questo tipo di sfide. 

L’unico modo per fare un bel film era instaurare una grande fiducia tra me e lei. 

Barbara era sola in scena, ma in realtà eravamo sempre insieme, abbiamo fatto una grande preparazione prima, ci siamo chiusi in teatro perché l’idea era quella di riuscire a fare le scene dalla prima all’ultima come uno spettacolo teatrale. 

Questo ci è servito ad arrivare sul set preparatissimi, perché è un film che ha richiesto anche tante questione tecniche dentro la macchina.

Per cui, dal momento in cui eravamo affiatati nella preparazione, tutte quelle questioni potevamo affrontarle con più tranquillità. 

 

Poi sul set è stato proprio un flusso." 

 

 

[Barbara Ronchi, Manfredi Lucibello e Claudio Santamaria sul set di Non Riattaccare]

 

 

Il lavoro con Claudio Santamaria come si è sviluppato? 

Com'è stato costruire un personaggio che non si vede praticamente mai, dargli corpo e identità, renderlo credibile nonostante l'assenza scenica? 

 

"Anche dirigere Claudio Santamaria è stato molto bello e semplice perché non appena ha letto il copione di Non Riattaccare il giorno dopo ha accettato, entusiasta anche lui di fare qualcosa di diverso a cui non era abituato. 

Sul lavoro di voce io vedo tanto talento in lui e grande esperienza: ha una voce incredibile e sapevo che avrebbe avuto il coraggio di affrontare questo tipo di ruolo più complicato.  

 

Chiaramente non poteva stare di notte con noi, dalle 6 del pomeriggio fino alle 6 del mattino, quindi io sono stato Pietro, ma a volte non ce n'era nemmeno bisogno, a volte c’erano gli assistenti, perché Barbara era veramente concentrata. 

Perciò con lui abbiamo fatto tutto dopo, siamo stati in uno studio dove Claudio sentiva la voce di Barbara e recitava in presa diretta in quel momento dopo aver ricostruito la scena.

Così facendo ha avuto anche più spazio e modo di esprimere al meglio il suo lavoro".

 

Prima accennava alle difficoltà tecniche legate al fatto di dover girare Non Riattaccare dentro un'automobile. 

Quali soluzioni ha adottato per rendere al meglio i primi piani stretti e le diverse angolazioni visive?

 

"Molti hanno citato il film inglese Locke (diretto da Steven Knight, 2013, ndr) che è vero, però noi in Italia non avevamo un esempio e quindi ce lo siamo un po' costruiti noi il modo di girare dentro la macchina. 

 

Gli spazi sono angusti, quindi abbiamo utilizzato ogni minimo riflesso, ci sono inquadrature che a pensarle sono impossibili, ma perché sono date dal gioco di specchi che avevamo posizionato in alcuni punti dentro la macchina". 

 

 

[Un frame di Barbara Ronchi in Non Riattaccare] Non Riattaccare

 

 

Pietro e Irene riescono finalmente a comunicare, sciogliendo i nodi rimasti in sospeso per lungo tempo, soltanto nella concitazione di un momento estremo, al limite tra l'amore e la morte.

Prima di allora, la sofferenza e il senso di colpa reciproco avevano inquinato la possibilità di corrispondersi in modo autentico: secondo lei per ritrovarsi è sempre necessario un evento forte? 

 

"Le rispondo con una citazione di Alfred Hitchcock: "Il Cinema è la vita tagliate le parti noiose". 

 

Voglio dire che no, non è necessario, però io ho un’idea di cinema e ho cercato di raccontare dei sentimenti che ci appartengono, almeno che a me appartengono.

Irene e Pietro io li conoscono, li ho scritti pensando a tante persone intorno a me, è soltanto la situazione che hanno davanti che è straordinaria.

Le potrei citare anche E.T. l'extraterrestre, che è un film su un extraterrestre ma in realtà parla della diversità e dell'amicizia. 

Sarebbe stato lo stesso senza un extraterrestre, ma quello lo rende amazing".

 

In Non Riattaccare Irene e Pietro raccontano i loro problemi di coppia a posteriori, senza che lo spettatore possa vederli messi in scena.

A cosa si deve questa scelta stilistica? 

 

"Se avessi introdotto flashback o mostrato altro a quel punto avrei rotto l’incantesimo e la forza della suspense. 

Girarlo in tempo reale è stata una scelta deliberata per non interrompere la magia della narrazione".

 

Quali sono stati le ispirazioni e i riferimenti a cui ha attinto per la realizzazione di Non Riattaccare?

 

"Non c'è una cosa in particolare, ce ne sono tante e varie; io sono un grande cinefilo, un grande amante del Cinema, posso dire che ho guardato molto al Cinema di Michael Mann, in cui c’è un’unione di amore e violenza come connubio perfetto. 

 

Poi per me Locke è un capolavoro, nella Storia del Cinema c’è un prima e un dopo Locke, chiunque voglia raccontare una storia utilizzando l’automobile vedrà per forza Locke, è un film che ha 11 anni, che ha fatto la Storia e fa ancora da scuola, è il capostipite di un genere, di un Cinema essenziale".

 

 

[Un frame di Barbara Ronchi in Non Riattaccare] Non Riattaccare

 

 

Le tematiche affrontate da Non Riattaccare sono quelle di un amore di fondo che resta sulla pelle anche quando la relazione si esaurisce. 

 

Irene aveva seguito Pietro a Ginevra per il lavoro di lui, ma non era mai riuscita a trovare una sua dimensione precipua.

La sproporzione tra le due volontà aveva finito per sovrastare la possibilità di trovarne una terza comune, una sintesi condivisa che tenesse insieme le necessità di entrambi. 

Era subentrata così in lei la depressione, gli psicofarmaci, la solitudine come condizione dell'anima.

 

Irene era andata via, poi era tornata e infine aveva avuto un'incidente in automobile - leitmotiv di Non Riattaccare - dove si era consumato l'ultimo definitivo strappo.

 

Il passato della coppia non viene mostrato allo spettatore, ma prende forma attraverso le parole in particolare di Irene, che è in grado di rimaneggiare il vissuto tramite una profonda intelligenza interiore.

Le emozioni hanno avuto modo di trasformarsi in sentimenti, su cui poggiare il tempo lento della riflessione che, dopo aver fatto a pugni con il dolore, le concede ora uno sguardo lucido sulle cose.

Irene non cerca colpevoli, ma anzi definisce le responsabilità in egual misura, conscia della portata che la fine di una relazione d'amore ha sulle esistenze di ognuno e di come, tra le ferite nere della crisi, possa filtrare comunque una raggio di luce.

 

Pietro invece si trova in uno stadio di consapevolezza minore, deve ancora fare i conti con l'incomunicabilità del suo tormento - un paradosso, avendo a disposizione solo la sua voce dentro al telefono - e con il senso di inadeguatezza provocato dagli errori commessi. 

 

Il ricordo dell’amore in lui si intreccia con l'impulso al suicidio. 

Eros e Thanatos si contendono il desiderio di una notte eterna.

 

Sul perché Pietro decida di telefonare a Irene si potrebbero avanzare delle ipotesi: un ultimo saluto consolatorio nel tentativo di trovare assoluzione ai suoi peccati sperando nella sua indulgenza prima di morire, oppure, ancora una volta, un tentativo di imporre la propria volontà preponderante su quella della ex compagna, costringendola, pur sotto traccia, inconsciamente, a correre per salvarlo. 

I bisogni di uno e dell'altra si sovrappongono fino a confondersi.

 

Nonostante il finale non sia a mio avviso così convincente, Non Riattaccare resta un film interessante sia dal punto di vista della realizzazione estetica sia da quello dei contenuti: con la memoria che torna a quello che per ognuno di noi ha rappresentato la pandemia, saliamo in macchina con Irene, maciniamo i suoi stessi chilometri, avvertiamo l'ansia di non arrivare in tempo.

 

Catapultati in un viaggio letterale e metaforico insieme, la cui meta all'orizzonte è un luogo in cui ritrovarsi.

 

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