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Un titolo che è già un programma, La vita da grandi, opera prima da regista per Greta Scarano, scritto insieme a un team tutto al femminile: Sofia Assirelli, Chiara Barzini e Tieta Madia, liberamente ispirato alle vicende dei fratelli Damiano e Margherita Tercon e al loro libro autobiografico "Mia sorella mi rompe le balle. Una storia di autismo normale".
Irene (Matilda De Angelis) ha trent’anni, lavora in una start-up innovativa in cui non crede molto, ha un fidanzato ansioso di sistemarsi e fa ritorno a casa dei suoi a Rimini per prendersi cura del fratello Omar (Yuri Tuci) mentre i genitori sono via per qualche giorno.
Omar non è un bambino, come si potrebbe pensare, ma un adulto di quasi quarant’anni con un disturbo lieve dello spettro autistico, iperprotetto dalla famiglia che tende a isolarlo sgravandolo anche dei compiti più semplici come lavarsi e vestirsi da solo.
Omar sogna di fare il cantante rap e a dispetto delle apparenze custodisce un grande desiderio di autonomia e indipendenza, che solo con l’aiuto della sorella sente di poter realizzare.
[Il trailer de La vita da grandi]
La vita da grandi è un piccolo regalo nel panorama del Cinema italiano, una commedia semplice e lineare nella scrittura, mai superficiale o retorica, che si muove con leggerezza sulla linea di confine del coming of age guardando con affetto alla generazione dei giovani adulti, quelli anagraficamente un po’ più grandicelli, che hanno già conosciuto le prime delusioni professionali e la sindrome del mutuo per la casa.
Il tema della maturazione fuori dalla rassicurante sfera domestica, fatta di compromessi e rigide routine quotidiane, supera anche quello dell’autismo e della disabilità, perché crescere è prerogativa di tutti e affrancarsi dal nido è una necessità imprescindibile.
Così è anche per Omar, che circondato da una famiglia accudente e quasi soffocante assiste da vicino e con fascinazione alla vita della sorella minore, da sempre più libera e autonoma di lui, chiedendole di insegnargli i fondamenti della vita adulta.
Ne La vita da grandi Greta Scarano riproduce con grande naturalezza i meccanismi disfunzionali di una famiglia come tante, incastrata in incomprensioni e divari generazionali, introducendo la disabilità in una dinamica universale e per questo estremamente riconoscibile, senza preconcetti o stereotipi.
[Yuri Tuci in una scena de La vita da grandi]
La vita da grandi ci spinge a guardare al di là delle etichette e delle diagnosi come autismo, disabilità ma anche responsabilità, e a liberarsi da una serie di sovrastrutture - l’idea che una persona disabile non possa essere autosufficiente o che essere adulti sia un certificato di perfetta e invariabile auto-realizzazione - per ritrovare il gusto di scoprirsi liberi e mutevoli, capaci di riconoscere i propri desideri senza vergognarsi di esprimerli.
Allo stesso tempo la regista evita la facile glorificazione degli eroi: Omar infatti non ha talenti eccezionali e la sua è un’impresa di grande normalità nella diversità.
Omar e Irene devono entrambi fare i conti con quello che è stato (l’uno con l’atteggiamento troppo protettivo dei genitori, l’altra con la trascuratezza che tocca ai figli che possono cavarsela da soli) e con quello che sarà.
Ritrovandosi da adulti e ripartendo dalla passione in comune per il canto e il varietà.
[Una scena de La vita da grandi]
La semplicità comunicativa è la cifra e la forza di tutto La vita da grandi, che pur attraverso una forma e stilemi narrativi piuttosto classici, a tratti scolastici, ha già un tocco molto personale che denota un certo anticonformismo.
Su tutti la scelta di ambientare le vicende di Irene e Omar a Rimini, in una dimensione meno caotica della città e quindi anche più genuina e intima, in sintonia con i temi affrontati anche per la partecipazione attiva della comunità romagnola. E poi certamente il cast, tra cui sono presenti persone neurodivergenti e persone neurotipiche: Yuri Tuci, come Omar autistico ad alto funzionamento, per la prima volta sul grande schermo (scelto dopo il suo monologo teatrale Out is me, che significa ‘sono fuori’, ma che suona come ‘autismi’), Matilda De Angelis nella sua miglior interpretazione da un po’ di tempo, e il restante cast corale sono il fiore all’occhiello del film.
Interpreti in grado di bilanciare la gravità dell’argomento trattato con il tono umoristico e lieve, alzando l’asticella del tasso di commozione.
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La vita da grandi
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