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Nashville - Recensione: il capolavoro di Robert Altman

Un film gigantesco, bulimico, rumoroso e musicale, indoppiabile e indimenticabile

Nashville molto probabilmente può considerarsi il vero Capolavoro di Robert Altman: un regista di cui si parla sempre troppo poco, nonostante sia stato uno dei più grandi della sua generazione, e non solo. 

 

La trama è semplicissima: non c'è un vero e proprio protagonista, ma ben 24 personaggi che si muovono e vivono le loro vite a Nashville, la capitale del Tennessee nonché capitale della country music, nei giorni di un importantissimo festival di musica country-western che coincide con il discorso della campagna elettorale di un candidato alle presidenziali americane. 

 

Penserete quindi che il film sia una cosina leggera, simpatica... ripensateci. 

 

 

 

Da spettatori assistiamo ad uno squarcio di esistenza di tutti i personaggi senza conoscerne il passato e senza avere idea di quale sarà il loro futuro finito il film: Altman riesce in Nashville più che altrove a gestire un cast gargantuesco, all'interno del quale ogni personaggio incrocia il proprio destino con quello di un altro in maniera improbabile o prevedibile, ma senza mai essere banale.

 

La regia è quella a cui il registone americano ci ha poi abituati: una macchina da presa che non dà mai spazio alla riflessione, alla pausa, ma che continua a raccontare, a fagocitare persone, luoghi, suoni, colori in un unicum clamorosamente yankee. 

 

 



C'è una giovane Shelley Duvall pochi anni prima di Shining - e che riesce ad essere anche discretamente sexy - c'è un giovanissimo Jeff Goldblum che se ne va in giro con un chopper a triciclo che fa l'occhiolino a Easy Rider, e Lily Tomlin, Geraldine Chaplin, Elliott Gould, Henry Gibson, Ned Beatty, Karen Black...

 

 

E c'è un Keith Carradine che fa il seduttore e che scrive una canzone rimasta ancora oggi nella Storia del Cinema e degli Oscar...

Già: le canzoni.

 

La parte audio di Nashville è forse il più grande punto di forza del film, e lo è per 3 motivi.  

 

 



Il primo è senza dubbio il contrappunto musicale: assolutamente diegetico - il film può quasi essere considerato un musical - e onnipresente; le canzoni sono parte integrante della trama dato che furono scritte apposta per il film e la maggior parte fu scritta e interpretata dagli attori stessi.

 

Il secondo motivo si trova nel sottofondo della propaganda politica del candidato Walker, mediante il classico megafono montato sulle auto - quello che vediamo anche nei Blues Brothers quando i fratellini promuovono la loro serata "alla sala grande del Palace Hotel".

 

Un candidato evidentemente populista, esagerato, impertinente, che promette di cambiare l'inno nazionale ritenuto poco emozionante e che vuole eliminare i troppi avvocati dal senato americano.

Un candidato che nel film non vedremo mai, ma che impareremo a conoscere solo attraverso i suoi slogan. 

 

 



Il terzo motivo è più tecnico, ma anche forse il più affascinante dei tre: per Nashville Altman fece costruire appositamente un registratore audio a 16 tracce, inesistente fino a quel momento. 

 

Ci sono certe scene in cui le musiche, i dialoghi, il megafono, gli effetti audio, il sottofondo ecc. si mescolano talmente tanto che la cosa diventa un circo sonoro per le orecchie... 

 

E la cosa - udite udite, è il caso di dire - rese impossibile il doppiaggio italiano, che infatti non venne effettuato: il film venne distribuito con i sottotitoli, e ancora oggi lo trovate così in qualunque formato home video.

 

In Nashville si ride, parecchio, e ci si rimane di merda, parecchio: si assiste ad un ritratto della società americana come pochi se ne vedono, anzi, come non se ne vedono se non forse in America Oggi e I Protagonisti.

 

 

Guarda caso, altri due film di Robert Altman

 

 



Il finale, che per evitare spoiler non racconterò, è agghiacciante e mette in luce tutto quello che è L'AMERICA ancora oggi.

 

Attenzione: non gli Stati Uniti ma L'AMERICA.

Quel luogo più mentale che fisico, quel posto dove i sogni si avverano, dove se vuoi puoi, dove una possibilità si dona a chiunque.

 

Quel posto che "grazie" a Hollywood ormai è dentro ognuno di noi, dove se ti impegni ci arrivi, dove no pain no gain, dove vive quel sogno americano fatto di illusioni e paillettes che troppo spesso, nel 1975 come nel 2019, viene distrutto da una realtà più solida, triste e cinica.

 

Ma tanto in fondo anche domani di tutto ciò torneremo a pensare "It don't worry me": non mi preoccupa.

 

Un Oscar vinto per la miglior canzone, quella Easy di Keith Carradine che racconta una delle parti forse più romantiche e allo stesso tempo più comiche di tutto il film su un totale di 5 nomination, tra cui Miglior Regia e Miglior Film. 

 

 

 

In un'annata spettacolare per il Miglior Film agli Oscar, forse una delle più belle di sempre: Nashville condivideva la nomination a Miglior Film con Qualcuno volò sul nido del Cuculo (che vinse), Barry Lyndon, Quel pomeriggio di un giorno da cani e Lo Squalo.

 

Avercene ancora, di annate così.

 

Ma al di là dei premi e delle nomination, Nashville resta a mio avviso un film imprescindibile, un Capolavoro degli anni '70 e non solo, uno di quei film che appena finirete di leggere queste righe dovreste assolutamente segnarvi sulla lista dei "film da vedere".

 

Poi, se lo vorrete, verrete qui a dirmi che ne pensate.  

 

 

E pensare che a me la country music non è mai piaciuta.   

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