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Hive - Recensione: sulle guerre che non finiscono mai

In programma nella sezione Nuovi Sguardi di Sguardi Altrove Women's International Film Festival 2025, la pellicola drammatica tratta temi di grande rilevanza sociale, come la violenza economica di genere e le conseguenze della guerra sulla vita degli esseri umani

Hive è il primo lungometraggio della regista albanese kosovara Blerta Basholli, nonché primo film della Storia del Sundance Film Festival a vincere tutti e tre i premi principali – Grand Jury Prize, Audience Award e Directing Award – nella sezione World Cinema Dramatic durante l'edizione del 2021.

 

Il film è stato inoltre selezionato per rappresentare il Kosovo ai Premi Oscar 2022 nella categoria Miglior Film Internazionale, venendo tuttavia escluso dalla cinquina finale dei candidati, ed è stato presentato in Italia nella sezione Nuovi Sguardi di Sguardi Altrove Women International Film Festival 2025.

 

Hive, di cui Basholli firma anche la sceneggiatura, è ispirato alla vera storia di Fahrije Hoti, vedova del villaggio kosovaro di Krusha e in seguito imprenditrice di successo nel settore alimentare. 

 

[Il trailer ufficiale del film Hive]

 

 

Nel sud del Kosovo, tra le città di Prizren e Peja, sorge un villaggio rurale chiamato Krusha. 

 

Durante la guerra in questo luogo si consumò uno degli episodi più tragici della Storia del paese balcanico: nel marzo 1999 i paramilitari serbi radunarono gli uomini e i ragazzi del posto per ucciderli, lasciando intere famiglie senza mariti, padri e figli. 

Molti cadaveri furono sepolti in fosse comuni o gettati nel fiume, privando le donne della possibilità di piangere i propri cari e alimentando in loro la speranza che questi ultimi fossero riusciti a fuggire.

Fahrije (Yllka Gashi) è una delle vedove di questa guerra, che durante il massacro ha visto la sua casa data alle fiamme e suo marito scomparire. 

 

Siamo all'inizio degli anni 2000 quando molti di quei cadaveri senza nome vengono riportati alla luce. 

Nella sequenza d'apertura di Hive si vede la protagonista aggirarsi furtiva tra i cadaveri ammassati nel retro di un camion alla ricerca di un corpo, guidata più dalla rassegnazione che dalla speranza. 

Oltre al dolore per la scomparsa dell'uomo, la famiglia di Fahrije affronta gravi difficoltà economiche anche a causa delle conseguenze del conflitto.

La donna non ha più lacrime da piangere, ma quello che non le manca è la forza di volontà: apicoltrice improvvisata, si prende cura dei figli adolescenti e accudisce il suocero anziano che si ostina a non accettare la morte del figlio; il miele che ricava lo vende al mercato: le api non ne producono molto ma è l'unica cosa che permette alla famiglia di procurarsi un po' di soldi. 

 

È proprio attraverso le api che Fahrije nel corso della pellicola si abbandona a pochi attimi di ricordo, concedendo allo spettatore la possibilità di conoscere suo marito: un uomo gentile che si prendeva cura dei suoi alveari con amore, riuscendo a non farsi pungere neanche una volta. 

In Hive le api simboleggiano non solo il legame della protagonista con la memoria, ma anche l'operosità e la determinazione dei tanti personaggi femminili. 

 

Fahrije e le altre donne infatti si riuniscono in un'associazione che assiste le vedove di guerra nel percorso verso l'indipendenza economica, scontrandosi con la mentalità arretrata di una comunità rurale che le vorrebbe chiuse in casa a piangere il ricordo dei mariti e a vivere di elemosina.

 

 

[Hive: Yllke Gashi interpreta la protagonista Fahrije]

 

 

Nel portare avanti il suo progetto Fahrije è silenziosa, granitica; non si scompone neanche davanti le provocazioni di chi non manca di ricordarle quale sia il suo posto in quella società.

 

Nonostante molti cerchino di convincerla ad abbandonare i suoi intenti, la protagonista di Hive non demorde e ripete rabbiosa che le donne del villaggio non hanno bisogno di assistenza, ma di lavorare; per questo è determinata a sfidare la tradizione patriarcale del suo villaggio pur di garantire alle vedove di Kursha l'opportunità di essere indipendenti. 

La sua intenzione è quella di avviare un'attività e vendere ajvar fatto in casa a un supermercato locale, coinvolgendo nella produzione di questa tradizionale salsa balcanica tutte le vedove del villaggio: donne sole e vulnerabili, sottoposte al costante controllo di suoceri e cognati. 

 

All'inizio le donne sono diffidenti e trovare la loro collaborazione è difficile: per loro iniziare a lavorare vorrebbe dire andare contro le tradizioni e ciò comporterebbe uno stigma, una condanna peggiore che morire di fame. Fahrije però è risoluta: ottiene la patente, inizia a frequentare la città e a guidare un'auto propria, ma la gente di Krusha inizia a parlare e non ci vuole molto prima che al villaggio "donna che lavora" diventi sinonimo di malaffare. 

 

Dai pettegolezzi poi si passa alle minacce, alle intimidazioni e alla violenza, perché una donna intraprendente è un pericolo e va isolata, affinché non contagi con le sue idee anche tutte le altre.

Quella di Fahrije in Hive sembra una scelta imperdonabile, un peccato mortale. 

 

"Con che coraggio guarderai mio figlio negli occhi quando tornerà a casa?" – le dice il suocero, mentre ha su di sé gli sguardi disgustati di uomini anziani che decidono per lei cosa sia giusto e cosa sbagliato. 

Fahrije si è messa in testa di lavorare, di provvedere alla sua famiglia come un uomo, anche se la protagonista è ben lontana dall'esserlo, visto che in Hive gli uomini sono dei completi inetti: vecchi storpi piegati dalle malattie e dal peso delle tradizioni, capaci solo di giudicare il prossimo seduti fuori da un bar. 

 

Quello che ottengono gli anziani con le loro azioni deplorevoli è però l'esatto opposto di ciò che si aspettavano, perché invece di isolarla le altre donne si stringono attorno a Fahrije, spinte dal suo esempio e dal desiderio di ricostruirsi una vita.

 

 

[Hive: le protagoniste intente a produrre la salsa da vendere al supermercato]

 


Nell'opinione di chi scrive, la regia di Blerta Basholli si rivela sapiente e efficace, priva di orpelli e lontana dai sentimentalismi. 

 

In Hive, del resto, non servono troppe parole.

Chi parla nel film lo fa per lo più per proferire cattiverie, pettegolezzi e pregiudizi, chi lavora invece sta in silenzio e si dà da fare. Lo sguardo della regista segue le mani delle operaie e ne descrive con delicatezza ogni gesto; i movimenti sono lenti mentre i volti rivelano la fatica nei loro occhi. 

La violenza sulle donne che racconta Basholli è subdola, insidiosa ed endemica: gli uomini cercano di controllare i corpi femminili attraverso le tradizioni, i dogmi sociali e il senso di colpa. Le ricattano economicamente; qualcuno le giudica, altri fraintendono. 

 

La violenza che emerge in Hive però è anche fisica, brutale, spavalda e machista. 

Come è prevedibile che accada, infatti, l'indipendenza della protagonista viene scambiata per disponibilità e disinvoltura da chi, cresciuto in una società patriarcale, non ha i mezzi né l'educazione per comprenderne il significato. 

 

Le protagoniste femminili di Hive però prendono gradualmente coscienza della loro identità e fanno presto a smontare l'ipocrisia di quella società retrograda e conservatrice: "Se fossimo scomparse noi durante la guerra i nostri mariti si sarebbero risposati dopo un mese e con donne più giovani"

 

 

[Hive: da sinistra Blerta Ismaili, Kumrije Hoxha, Adriana Matoshi e Molikë Maxhuni, presenti alla manifestazione in onore delle vittime] 

 

In questo senso, la performance di Yllka Gashi si fa ancora più potente.

 

Con la sua interpretazione, a mio avviso notevole, l'attrice riesce a catturare l'attenzione del pubblico, consentendo a quest'ultimo di vivere ogni secondo addosso alla protagonista di Hive, in simbiosi con la sua sofferenza; l'attrice restituisce il ritratto di una donna solida che niente riesce a scalfire, neanche l'odio che i suoi familiari le riservano dopo essere stata ciò di cui avevano bisogno. 

Nonostante questo, Fahrije ha gli occhi tristi e il viso stanco, segnato dal peso della responsabilità di compiere un passo verso il nuovo, che forse sul finale neanche lei è davvero pronta a fare. 

 

 

Grazie al suo talento Gashi lascia trapelare un accenno di fragilità dietro la maschera di tenacia che la protagonista è obbligata a mantenere, conferendo al suo personaggio ancora più complessità e spessore.

 

Con il suo racconto Hive porta l'attenzione su una questione per lo più sconosciuta, quella delle vittime della guerra del Kosovo, sulla loro sofferenza e il calvario delle loro famiglie: la pellicola diretta da Blerta Basholli è anche e soprattutto un racconto di emancipazione e coraggio, il coraggio di alzare la testa contro norme secolari imposte da una società patriarcale, retrograda e diffidente. 

 

Una storia a cui viene dato un tempo e un luogo, ma che si rivela ancora attuale e tristemente universale.

___  

 

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