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Il surreale The Sweet East, presentato nella sezione Quinzaine des Cinéastes del 76° Festival di Cannes, è l'esordio alla regia di Sean Prince Williams, già direttore della fotografia per i fratelli Josh e Benny Safdie e Alex Ross Perry, impreziosito da un cast corale che conta tra i suoi membri Talia Ryder, Simon Rex, Ayo Edebiri e Jacob Elordi.
Un'opera prima libera, originale e senza compromessi, destinata allo status di cult movie, con la quale Williams e lo sceneggiatore Nick Pinkerton ci accompagnano per mano nel cuore della Tana del Bianconiglio Americano, alla scoperta dei suoi abitanti e del loro mondo, così bizzarro e così (inquietantemente) familiare.
[Il trailer originale di The Sweet East, nelle sale italiane dal 12 gennaio grazie a I Wonder]
La "Alice" di The Sweet East è Lilian (Talia Ryder), giovane studentessa del liceo che durante una gita a Washington si allontana dai compagni per imbarcarsi in un'avventura picaresca sulla costa orientale degli Stati Uniti.
Nel corso dei suoi peregrinaggi si unisce al gruppo di un attivista anarchico (Earl Cave, figlio di Nick), diviene la giovane protetta di un professore universitario neonazista (Simon Rex), si unisce al cast del film in costume di due entusiasti filmmakers afroamericani (Ayo Edebiri e Jeremy O. Harris), viene sequestrata in una comune islamica, trovandosi infine ospite di un prete che ha il ghigno malefico di Gibby Haines, cantante dei Butthole Surfers.
Una volta tornata a casa Lilian trova il suo mondo cambiato, ma a suo modo sempre uguale: è l'America baby, con le sue contraddizioni e i suoi orrori, un piccolo grande mondo a sé in cui alla catastrofe incombente si può solo reagire con un sardonico sorriso.
[Talia Ryder è Lilian, la giovane protagonista alla scoperta dell'America di The Sweet East]
Risulta difficile riassumere la densità di un'opera sfaccettata come The Sweet East, tramite la quale Williams ci conduce in una visione decostruita e immersa nel contemporaneo di Alice nel Paese delle Meraviglie: atipico coming-of-age, road movie senza strade e senza mappa ma, soprattutto, racconto picaresco che diventa favola morale, sempre sul punto di diventare satira ma con abbastanza consapevolezza da non superare mai il confine e risultare verbosamente predicatorio.
Williams si lancia nella sua personale avventura alla regia dopo aver osservato l'America per conto di altri, sempre con la capacità di rinnovarsi e forgiando uno stile visivo comunque riconoscibile nella sua bulimica originalità. The Sweet East è la sua grande allegoria dell'Incubo Americano, cercato e ritratto in quei luoghi che si alternano tra metropoli senza storia e spazi sconfinati, in cui ogni uomo è un'isola, ogni ideologia un nuovo pianeta.
Talia Ryder è la distaccata protagonista di questa episodica decostruzione carrolliana, più simile a un'odissea che a una favola: la sua Lilian, viso angelico e cool senza sforzarsi, è un'esponente della generazione Z e tramite la sua prospettiva, più annoiata che curiosa, facciamo la conoscenza di tanti personaggi tanto grotteschi in quanto espressione diretta di diversi ideali, modi diversi di sentirsi vivi nel contesto di un'Apocalisse che non ha manuale d'istruzioni, indifferente a quel teatro dell'assurdo che chiamiamo esistenza.
Gli stessi temi del romanzo di Carroll si possono trovare anche in The Sweet East, in particolare il processo di crescita in un mondo assurdo e la ribellione all'autorità, così come diversi elementi di Alice e di Attraverso lo specchio vengono citati esplicitamente: la fuga all'interno di un tunnel, portale verso un nuovo mondo, la canzone Evening Mirror e le sue surreali parole, gli abiti vittoriani indossati dalla protagonista e, soprattutto, le bizzarre creature che Lilian incontra sulla propria strada.
[Jeremy O. Harris e Ayo Edebiri sono due ambiziosi ma ingenui filmmaker in The Sweet East]
Giovane, bella, tanto piena di vita quanto estremamente disincantata, Lilian viene di volta in volta presa sotto l'ala da persone che vedono nella sua innocenza una superficie bianca sulla quale proiettare a turno le proprie visioni del mondo, distorte proprio perché formulate per far fronte a un'epoca di post-verità, in cui il narcisismo e la volontà di controllo danno forma all'esperienza umana, sia personale che comunitaria.
Per questo motivo The Sweet East è costruito come una (non)partitura in forma free-jazz: il mondo che racconta è quello filtrato dall'esperienza di Lilian e dal suo sguardo strafottente su un manipolo di ideologie incarnate che pensano di controllarla quando in realtà sottovalutano la sua furbizia. La Lilian di Talia Ryder è un personaggio femminile atipico, una giovane che apparentemente si offre al male gaze solo per usarlo come superfice riflettente e rimandare al mittente il suo potere distruttivo.
Talia Ryder, già apprezzata nel gioiello Mai raramente a volte sempre, è solo la punta di diamante di diverse scelte di casting azzeccatissime, a partire dal confuso neonazista di Simon Rex, che dopo Red Rocket si conferma indie darling e nel pieno di una rivalutazione critica della sua carriera.
Il personaggio interpretato da Rex in The Sweet East esprime tutte le contraddizioni dell'America trumpiana, in cui politica e populismo si intracciano fino a perdere i confini, livellando e distruggendo persino l'apporto intellettuale (una Repubblica di Platone al contrario) e creando una nuova classe di elettori ben disposti a consegnare il proprio Paese nelle mani dell'incompetenza e della corruzione, solo per provare l'emozione di sentirsi parte del "team vincente".
[Simon Rex, qui nei panni di un intellettuale della nuova destra, e Talia Ryder in una scena di The Sweet East]
Nel cast di The Sweet East troviamo anche due attori lanciati nella stratosfera come Ayo Edebiri (The Bear, Bottoms) e Jacob Elordi (Euphoria, Priscilla): non è un caso che le due giovani star interpretino proprio delle caricature dell'industria cinematografica, con Edebiri nei panni di una giovane regista bohémienne di New York, tanto idealista quanto entusiasticamente ingenua, ed Elordi nei panni di un divo che vuole misurarsi con progetti indipendenti e "artistoidi", più in nome della vanità che dell'arte.
Completano il cast volti noti della scena underground come Gibby Haines, nei tanto inusuali quanto azzeccati panni di un predicatore che abita un castello vampiresco, e giovani in rampa di lancio come Jeremy O. Harris, Rish Shah e Earl Cave, rampollo di Nick Cave qui nei panni di un anarco-punk dal pene traforato di piercing.
La camera di Williams (anche direttore della fotografia), influenzato dal Cinema di genere low budget degli anni '70 e dal cinéma verité, si muove fluidamente seguendo i peregrinaggi di Lilian, sperimentando tra un feeling più realistico e illuminazioni innaturali, catturando i diversi paesaggi della costa orientale, da Washington a New York passando ai boschi del Vermont o all'architettura del Delaware. Williams viene ben supportato dal montaggio eclettico di Stephen Gurewitz e dalla musica dissonante di Paul Grimstad, che utilizza gli archi per sottolineare la natura distorta del viaggio di Lilian e del mondo che incontra.
La stessa Talia Ryder presta la voce al singolo Evening Mirror, performato nel film nel momento musical dei titoli di testa, mentre in colonna sonora trovano spazio band oscure come i Minimal Man, il cui brano Showtime chiude adeguatamente il film su una nota apocalittica.
[La canzone Evening Mirror, che accompagna i titoli di testa di The Sweet East, è stata scritta da Paul Grimstad e cantata dalla stessa Talia Ryder]
L'umorismo di The Sweet East potrebbe forse risultare troppo ermetico, quando non addirittura inospitale per chi non si trovasse in linea con la visione di Williams o sia restio ad abbandonarsi al peculiare surrealismo della sceneggiatura di Nick Pinkerton.
Ciononostante il film rimane una mosca bianca nel pur fervido panorama indipendente nordamericano, segnalando la nascita di un autore dalle idee chiare e dal modo deliberatamente caotico di metterle in scena.
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