#articoli
Nightbitch è il nuovo film di Marielle Heller con Amy Adams e Scoot McNairy distribuito su Disney+.
Differentemente da quanto affermava - anzi: dipingeva - quell’oscuro visionario di Francisco Goya, non il sonno della ragione quanto piuttosto la maternità sembra in grado spesso e volentieri di generare parecchi mostriciattoli, siano esseri puramente metaforici o, come in Nightbitch, talmente concreti da cacciar fuori artigli, pelliccia e zannuto musone con cui ululare in faccia alla luna.
Ne sa certamente qualcosa Amy Adams, protagonista di Nightbitch: sfiancata mater familias ormai non più di primo pelo - tuttavia pronta a combattere, suo malgrado, con il manifestarsi di ben altra e misteriosa peluria - costretta ad appendere l’amato pennello al chiodo per inforcare tiralatte e biberon dandosi anima e soprattutto corpo per crescere quella nuova vita che che “non aspetta altro che pisciarti in faccia senza troppi complimenti”.
[Il trailer di Nightbitch]
“Sono stata una giovane, una sposa, una madre e ora una bestia!”
Questa l’apparentemente cinica e fatalista morale alla base della grottesca fiaba che è Nightbitch, con la quale Marielle Heller pare intenzionata ad accantonare l’aneddotica underground di Copia originale così come il melanconico family friendly di Un amico straordinario per allinearsi con una tendenza di un certo Cinema di genere contemporaneo che, attraverso titoli assai peculiari quali Clock di Alexis Jacknow, Madres di Ryan Zaragoza, La Husera di Michelle Garza Cervera e Riposo forzato di Lori Evans Taylor, impiega il genere stesso quale filtro attraverso il quale parlarci, dentro e fuor di metafora, di quanto difficile e, a volte, letteralmente dis-umano possa essere generare e prendersi cura del frignante e incontinente miracolo della vita.
A differenza dai sopracitati titoli che horror più o meno puri lo sono eccome, Nightbitch impiega una curiosa struttura da dramedy venata di una surrealtà a tratti quasi lanthimosiana, ma opportunamente epurata da quel gelido e ombroso ermetismo così tipico dello spietato cineasta greco.
Un surrealismo che l’algida fotografia di Brandon Trost e l'ellittico montaggio di Anne McCabe riescono a rafforzare ancor più della stessa solida seppur non certo eclatante regia, impegnata piuttosto a dar spazio a una sceneggiatura nella quale la letteralmente stra-lunata portata provocatoria non si dimostra sufficientemente mordace e graffiante quanto i novelli licantropici attributi della sua première dame.
[Amy Adams madre a tempo pieno in Nightbitch]
Un impianto volutamente sdrammatizzante - per non dire assai indeciso se porre un piede nel serio piuttosto che nel faceto - ma che, così come già fu per quel piccolo e genuino esordio di Diario di una teenager, permette a una particolarmente ispirata seppur a tratti pedantemente didascalica Heller di prendere di peso il romanzo omonimo di Rachel Yoder per dar vita con Nightbitch a un coming of (maternal) age nel quale l’idea di una maternità vissuta "brutalmente" abbandona ben presto il cordone ombelicale dell’allegoria per farsi a tal punto carne, sangue e pelliccia da perdere progressivamente gran parte della propria forza significante.
A voler essere onesti fino in fondo Nightbitch non è affatto l’ennesima storiella di licantropi come tante ne abbiamo sentite e come altrettante a breve ne saggeremo, anche perché non è un horror in senso stretto, tanto contenuta è la quantità di sangue e orrore che gli danno forma e sostanza, né tantomeno un'allegoria ferina fine a sé stessa, quanto piuttosto una cagnesca metafora di quanto primordiale e catartico sia il beneamato istinto materno.
Nightbitch è pertanto il racconto di una Donna ancor prima che di una Madre: il racconto di come essa abbia rinunciato ai propri artistici sogni di gloria per permettere al proprio indolente marito (Scott McNairy) di svolgere in piena libertà il proprio stereotipato ruolo di Maschio Alfa procacciatore di cibo e denari con i quali dar sostentamento a un’appesantita dolce metà e al di loro fresco figlioletto a carico.
[Amy Adams in Nightbitch]
Una Donna che fu Promettente e che ora, tra una seduta di baby yoga, infinite passeggiate al parco, faticosi cavallucci a rischio sciatica, religiosa economia domestica e nottate insonni passate a raccontar favole, giunta alle soglie dell’infingarda mezza età si ritrova con parecchi chili di troppo e altrettanti sogni lasciati ad ammuffire nel cassetto; con l'unica consolazione di una freudiana voce pensiero a esternare a favore di camera e senza peli sulla lingua le più schiette e inconfessabili verità, ben celate nelle profondità di un inconscio parecchio represso.
Di lì a poco i veri peli, più che sulla lingua, inizieranno a spuntare a tradimento da ben altre più occulte parti.
È una donna sedotta, ingravidata e per lo più abbandonata quella al centro di Nightbitch e che, così come la complessata casalinga forzata medio borghese mirabilmente impersonata da Jan White in quel piccolo gioiellino di orrore domestico che fu La stagione della strega di George Romero, lasciata sola in compagnia dei propri traumi e insoddisfazioni non potrà che trovare conforto in quel misterioso libro che a così molteplici sovra-umane risposte parrebbe aprire la strada.
Un volume suggestivamente intitolato Guida illustrata alle donne magiche - consigliato nientemeno che dalla fu Suspiriante e stregonesca Jessica Harper di argentiana memoria - che non a caso parte dal semplice quanto fondamentale assunto secondo cui le donne, proprio per quell’innato e miracoloso superpotere che le rende capaci di donare la vita, possono e devono essere considerata alla stregua di vere e proprie dee.
Un arcano, istintivo e potenzialmente pericoloso essere sovrumano: una dea.
[Amy Adams in Nightbitch]
In un certo qual senso la nostra innominata protagonista dea lo è eccome: una Beauty ormai sfiorita nelle cui svuotate e affaticate viscere si cela una Beast pronta a trasformarla, più che in una semplice Wolf (o più propriamente Dog) Woman, in un’autentica Nightbitch senza più inibizioni né timori che una buona scorpacciata di carne al sangue e un bel grido liberatorio al chiaro di luna non possano alleviare come già fu nel ben più ombroso Bloodthirsty di Amelia Moses.
Non è quindi affatto un caso che, dopo aver messo ben in chiaro come la vera felicità – tanto materna quanto puramente umana – dipenda in gran parte dal liberare e, dunque, accettare la primordiale natura che alberga in ciascuno di noi, Nightbitch abbandoni quasi del tutto la sua castissima e alla lunga stucchevole bestiale metafora per ricondurre il tutto entro i binari ben più comodi e rodati della Storia di un matrimonio alla deriva che deve essere necessariamente rotto e ricomposto nella reciproca accettazione e comune rispetto per poter condurre, senza troppe sorprese né veri scossoni, a un catartico e felice lieto fine all’insegna di una nuova (ri)nascita.
Peli, zanne, code e capezzoli in eccedenza se ne andranno così come erano arrivati, per lasciare il posto a una Donna Nuova - una Súperfrau l’avrebbe definita il buon Friedrich Nietzsche – ormai libera, emancipata e sopratutto ben conscia del fatto che, come già più volte ribadito, il segreto della felicità, forse e solo forse, sta proprio nella consapevolezza di come, in fin dei conti, non siamo altro che semplici animali.
Con o senza vello.
[articolo a cura di Matteo Vergani]
___
CineFacts non ha editori, nessuno ci dice cosa dobbiamo scrivere né soprattutto come dobbiamo scrivere: siamo indipendenti e vogliamo continuare ad esserlo, ma per farlo sempre meglio abbiamo bisogno anche di te!