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Per parlare de Il gladiatore II occorre fare un passo indietro, come spesso mi accade con gli ultimi lavori di Ridley Scott.
Bisogna dunque cercare di vedere il film al di là del comfort dello sguardo spettatoriale, provando a capire le motivazioni che stanno alla base di certe scelte aspramente criticate.
Quando nel 2000 uscì nei cinema Il gladiatore l’idea di eroe che aveva il pubblico era completamente diversa rispetto a oggi: l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York doveva ancora accadere e il concetto di fallibilità e vulnerabilità in relazione alla figura dell’eroe non era certo una prerogativa degli Studios.
Non è un caso che il primo supereroe post-11 settembre a scalare le vette del botteghino mondiale sia stato Spider-Man, personaggio pienamente newyorkese e quanto mai umano nella sua poetica.
Dopodiché tutto il filone del Marvel Cinematic Universe seguì la direzione intrapresa da Sam Raimi, giungendo al culmine con The Avengers, dove la battaglia per salvaguardare il futuro dell’umanità si svolgeva proprio a New York.
[Il trailer de Il gladiatore II]
Nel 2000, invece, Il gladiatore aveva come protagonista un generale carismatico in grado di spostare l’opinione delle masse, conquistare le folle, sedurre la figlia di Marco Aurelio, arrivando perfino a uccidere l’imperatore di Roma senza che i pretoriani muovessero un dito.
Un film, perciò, perfettamente ancorato a un’idea di Cinema statunitense come macchina fabbricante di miti.
Ne Il gladiatore II e, quindi, nel 2024 era auspicabile la riproposizione della stessa formula?
Sia da un punto di vista di scrittura sia da quello della scelta degli interpreti - a mio avviso - è evidente che Ridley Scott abbia voluto realizzare un film aderente al mondo contemporaneo, ponendo l’accento proprio sul concetto di vulnerabilità maschile e, di conseguenza, ribaltando la visione dell’eroe presente ne Il gladiatore.
In sostanza: interrogare il pubblico sul ruolo dell’eroe oggi e sulla sua effettiva necessità.
La scelta del protagonista de Il gladiatore II è caduta su Paul Mescal, attore irlandese che è forse l’icona contemporanea più rappresentativa della fragilità e instabilità emotiva maschile.
Esploso grazie alla serie TV Persone normali - tratto dall’omonimo best seller di Sally Rooney, autrice dei drammi della Generazione Z - Paul Mescal ha incarnato il volto delle paure di un futuro inesistente (Aftersun, Estranei) proprio perché ucciso da una mascolinità tossica figlia di una visione del mondo fortemente patriarcale.
Ne il gladiatore II Annone è cresciuto senza un padre e cova dentro di sé l’odio per Acacio, generale dell’esercito dell’Impero romano interpretato da Pedro Pascal.
L’attore cileno nell’ultimo lustro si è ritagliato uno spazio all’interno della serialità televisiva come figura paterna - seppur non necessariamente biologica (The Mandalorian, The Last of Us) - capace di accudire figli e figlie rigettate perché appartenenti a un’idea di futuro non indicizzato da uno sguardo del passato.
Lo scontro alla base de Il gladiatore II si potrebbe quindi definire generazionale, tra due tipologie di "maschio".
[La lotta tra Acacio e Annone ne Il gladiatore II]
La prima tipologia, quella di Annone, appartiene a un presente che non si rispecchia in Massimo Decimo Meridio - più volte durante il film lo stesso protagonista afferma di non essere in grado di fare “grandi” discorsi - mentre la seconda tipologia, quella di Acacio, rappresenta il cordone ombelicale con il passato; d’altronde il personaggio di Pascal veste il ruolo che fu di Massimo Decimo Meridio, oltre a essere il marito di Lucilla (Connie Nielsen).
Tra i due, però, c’è un terzo vettore: il trafficante di schiavi Macrino (Denzel Washington), rappresentazione contemporanea dell’ostinata conquista dell’American Dream, chiamato nel film sotto mentite spoglie Roman Dream.
Dal passato ignoto, Macrino attua con machiavellica astuzia un piano per salire le gerarchie sociali e politiche di Roma, servendosi dell’odio generazionale di Annone.
Un elemento esterno, dunque, che agisce nell’ombra per arrivare alla cima.
Ne Il gladiatore II il personaggio di Denzel Washington riesce a percepire la rabbia di Annone, che a più riprese uccide i propri avversari con cattiveria inaudita. Nell’economia del racconto infatti i due gemelli imperatori sono poco più delle pedine, anch’essi rappresentativi di due tipologie di personalità maschili differenti: Geta mira al controllo dell’impero con la forza - ci viene detto che è nato per primo - mentre Caracalla è visibilmente più debole e schiacciato dalla presenza del fratello.
La differenza sostanziale tra Il gladiatore e Il gladiatore II è qui sottolineata: Massimo, manovrato da Proximo, combatteva nell’arena per vendicare la moglie e il figlio brutalmente assassinati; Annone, invece, non vede in Acacio il simbolo di colui che ha ucciso la propria moglie, bensì l’uomo che lo ha privato del futuro: del Roman Dream.
[Denzel Washington ne Il gladiatore II]
Al culmine della lotta tra Annone e Acacio ne Il gladiatore II c'è la presa di coscienza da parte del protagonista del fatto che la reale colpa di un destino infausto non è dovuta ai padri assenti - sarà rivelato che Annone è Lucio, figlio di Massimo Decimo Meridio - bensì a prese di posizioni politiche patriarcali e perciò tossiche, lo scontro e lo sguardo spettatoriale cambia prospettiva.
Acacio viene infatti risparmiato dal protagonista, ma ucciso da alcune frecce scagliate dall’alto e perciò dal potere egemone.
Anche Lucilla, unica figura femminile a fare da fil rouge tra i due film, sarà giustiziata proprio in quanto simbolo della nascita di un mondo che non prevede nell’equazione la tirannia maschile.
La vendetta di Lucio si tramuta di conseguenza in una battaglia per la conquista di un nuovo futuro, per cercare di sradicare dal basso la piovra politica che inibisce ogni prospettiva di cambiamento.
La sceneggiatura de Il gladiatore II, firmata da Ridley Scott e David Scarpa con un occhio eccezionalmente contemporaneo, fa confluire in Macrino il male di una cultura votata al capitalismo più sfrenato, ponendo il personaggio di Denzel Washington come obiettivo principale della lotta di Lucio.
Nella battaglia conclusiva l’epica però non può esserci, proprio perché non è più il tempo di pensare e fare Cinema in quel modo.
In un finale volutamente anticlimatico il brano "Now we are free" risuona nell’arena e le parole sussurrate da Lucio diventano il manifesto di un intero film e del futuro che ci aspetta: "Parlami, madre".
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