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Playing God è un film di Studio Croma, studio di animazione italiano formato dal duo Matteo Burani, regista e sceneggiatore (in questo caso co-sceneggiatore con Gianmarco Valentino), e Arianna Gheller, direttrice artistica dell’animazione e animatrice.
Playing God è stato selezionato alla 39ª edizione della Settimana della Critica, sezione indipendente della Mostra del Cinema di Venezia.
[Il trailer di Playing God]
Uomini di argilla si muovono compulsivamente, in attesa che un tormentato Scultore li modelli: è questa la premessa che apre Playing God, presentandosi come un affascinante e misterioso viaggio alla ricerca della propria identità.
Questa ricerca, sempre più vortiginosa e angusta, è mostrata attraverso creature di plastilina animate con la tecnica a passo uno (nello specifico caso, anche detta claymation) che danno una sensazione di costante claustrofobia.
Confusi, gli uomini di argilla si agitano e urlano in modo sgraziato, schiacciati dallo stesso destino, in attesa che lo Scultore/creatore trovi loro uno scopo, una ragione per proseguire.
Playing God è una riflessione su come vediamo la nostra esistenza e come la percepiscono gli altri, in cui sorge il dubbio dell’uomo di pirandelliana memoria: siamo come ci vediamo?
O siamo come sembriamo agli altri?
La natura frammentaria umana si decostruisce in una creatura che per un attimo sembra accorgersi di voler Essere, cioè esistere da sola, dopo essere stata creata.
Il mutamento avviene solo quando nota che le altre creature attorno a lei la percepiscono, forse volto al voler somigliare a loro.
Lo Scultore che crea le tormentate anime è anch’esso tormentato, pronto a smuovere la massa a suo piacimento per trovare il proprio Io, dividendo il Sé in tante altre piccole esistenze (per l’appunto, gli uomini d’argilla).
Playing God gioca con delle domande esistenziali e lo fa in modo a mio avviso eccellente, attraverso una maestria che raramente si trova in opere in stop-motion di studi di animazione così piccoli: l’attenzione ai dettagli visivi è meticolosa, così come lo è l’uso della materia prima.
[Una scena da Playing God]
Ho fatto qualche domanda allo Studio Croma su Playing God e mi ha risposto direttamente il fondatore Matteo Burani.
Eris Celentano:
Vorrei cominciare con una domanda, secondo me, fondamentale: cosa ti ha spinto ad approcciarti al mondo dell'animazione e, in particolar modo, all'arte della stop-motion?
Matteo Burani:
L'approccio è nato dal desiderio di esprimere in modo tangibile e artigianale idee e sensazioni che spesso sono impossibili da tradurre attraverso altri mezzi artistici.
La stop-motion, con la sua estetica unica e il suo processo meticoloso, permette di dare vita a oggetti inanimati, creando una connessione profonda tra l'artista e il materiale, creando un incredibile punto di unione tra diverse arti, skills e competenze artistiche e tecniche.
Inoltre, l'animazione stop-motion ha un fascino senza tempo che cattura l'attenzione in un modo particolare, quasi ipnotico.
È affascinante rendere visibile l'imperfezione, il tocco umano, e quindi di trasmettere una sensazione di autenticità e intimità.
EC:
Considerando la lavorazione che impiega soprattutto questo tipo di animazione, siete soddisfatti della gestione dei tempi per la realizzazione dell'opera oppure avete avuto imprevisti?
Matteo Burani:
Lavorare con la stop-motion è un processo complesso e, inevitabilmente, ci sono state sfide e imprevisti lungo il percorso.
Tuttavia siamo complessivamente soddisfatti della gestione dei tempi per la realizzazione di Playing God, nonostante le difficoltà.
Sapevamo fin dall'inizio che la stop-motion richiede una grande quantità di pazienza e attenzione ai dettagli: ogni singolo movimento deve essere pianificato con cura e anche piccoli errori possono portare a perdere intere giornate di lavoro, senza contare i tempi biblici di settimane oppure mesi solo per girare alcuni secondi.
Avevamo una visione chiara del progetto e abbiamo cercato di mantenere un equilibrio tra l'elevatissima ambizione artistica e le tempistiche di produzione.
Ogni ostacolo incontrato ha contribuito a rendere Playing God il cortometraggio che avevamo immaginato e siamo fieri del risultato finale.
EC:
Hai detto che la vostra scelta di utilizzare l'argilla rossa è un sincero omaggio a Bologna.
Oltre questa musa, cos'altro vi ha ispirato sul piano estetico?
Matteo Burani:
Ci sono stati diversi elementi che ci hanno ispirato sul piano estetico per Playing God.
L'argilla rossa rappresenta anche una materia prima che simboleggia la terra, la creazione e l’imperfezione umana. Volevamo che il materiale stesso fosse parte del racconto, con la sua consistenza grezza e malleabile, che riflette il tema centrale del film.
La natura, quindi, ha giocato un ruolo importante nella nostra ispirazione. I colori terrosi e le texture irregolari ci hanno aiutato a creare le composizioni, creando quasi un paesaggio di corpi di plastilina all’interno dello studio dello Scultore.
Dal punto di vista estetico, ci siamo ispirati a diversi artisti, autori e film che hanno esplorato la materia e la forma in modo innovativo, come non citare il celeberrimo filone body horror di David Cronenberg, Society - The Horror di Brian Yuzna, la pittura inquietante ed evocativa di Francis Bacon e la matericità introspettiva di Lucian Freud.
Il Cinema di animazione stop-motion di registi come Jan Švankmajer e i fratelli Quay ha influenzato il nostro approccio visivo. La loro capacità di infondere vita in oggetti e materiali inanimati, creando atmosfere surreali e inquietanti, ci ha ispirato profondamente per Playing God.
[Arianna Gheller lavora agli omini in plastilina di Playing God]
EC:
Nei progetti affrontati nel tempo vi siete ritrovati a modellare i più disparati materiali (lana cardata, legno, tessuti di vario genere, carta...) e nel caso di Playing God vi siete cimentati sulla plastilina: com'è lavorarla?
Quali difficoltà e/o vantaggi comporta?
Matteo Burani:
Abbiamo optato per una plastilina professionale molto performante (color terracotta) che non si asciuga mai e permette un livello di dettaglio impressionante!
Partiamo con il principale vantaggio della plastilina: la sua malleabilità.
È un materiale che può essere facilmente modellato e rimodellato, andando letteralmente a scolpire ogni singolo fotogramma per ottenere un infinito spettro di espressività alle emozioni dei personaggi… fun fact: Playing God ha un totale di 23000 scatti!
Questo è stato un enorme vantaggio per dare un’emotività unica ai puppet, difficilmente raggiungibile in produzioni “low budget” di animazione stop-motion.
Ovviamente il contro di questo materiale è anche il suo principale vantaggio, il tempo spropositato che necessita in animazione.
Dover riscolpire ogni frame per animare un’espressività facciale o tenere in shape le parti del corpo durante i movimenti richiedeva da un minimo di 20 minuti a un massimo di 2 ore di animazione.
EC:
Playing God ci lascia con un punto interrogativo sul rapporto tra il Sé e l'Altro: su chi siamo, su come siamo percepiti e su come vorremmo essere percepiti.
A cortometraggio terminato, senti [e sentite, come Studio ndr] di avere qualche risposta in più sulla vostra identità e sul percorso cinematografico che state affrontando?
Matteo Burani:
Playing God è stato un viaggio intenso e riflessivo, non solo nella nostra evoluzione artistica e lavorativa ma anche nella scoperta di noi stessi, e la nostra evoluzione spirituale come essere umani.
Come tu accenni, il tema del rapporto tra il Sé e l’Altro (Uno, nessuno e centomila di Pirandello), attraversa difatti tutto il cortometraggio ed è stato per me il punto di partenza, la necessità nel voler raccontare questa storia.
Realizzare questo cortometraggio ci ha costretto a confrontarci con le nostre percezioni e insicurezze, ci ha fatto riflettere su come vediamo noi stessi e su come siamo percepiti e giudicati dagli altri, specialmente in un contesto creativo dove l’immagine e la reputazione hanno un peso significativo, mettendo a nudo l'artista, dove il giudizio rischia di minare l'essenza stessa dell’artista.
Per quanto riguarda il nostro percorso cinematografico, Playing God ha sicuramente segnato una tappa fondamentale, ci ha aiutato a definire meglio la nostra voce e il nostro approccio all’arte, confermando la nostra volontà di esplorare tematiche profonde e complesse attraverso un linguaggio visivo originale e personale.
Se da un lato il film ci ha lasciato con più domande che risposte, dall’altro ha rafforzato la nostra convinzione che il Cinema, e in particolare l’animazione, sia uno strumento potente per indagare l’identità e parlare un linguaggio espressivo più alto.
In definitiva, ci sentiamo più consapevoli del percorso che stiamo intraprendendo, il progetto Playing God ha chiarito alcune delle nostre priorità creative, mostrandoci l’importanza di restare fedeli alla nostra visione e di continuare a esplorare le sfumature dell’identità.
Playing God è un punto di partenza per nuove ricerche e scoperte, sia personali che professionali.
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