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Pain Hustlers - Recensione: i soldi creano più dipendenza degli oppioidi?

Il nuovo film di David Yates, a metà strada tra The Wolf of Wall Street e La grande scommessa, è una pellicola di denuncia sul business del dolore che non riesce però a dare il giusto peso alle conseguenze della drammatica emergenza sanitaria che ha colpito gli Stati Uniti negli ultimi vent'anni

Pain Hustlers - Il business del dolore, da poco disponibile su Netflix, ci immerge a pieno nella crisi degli oppioidi che ha fortemente colpito gli Stati Uniti dalla fine degli anni ‘90 in poi.  

 

Il regista David Yates, dopo il live action Tarzan, lascia il mondo magico dalla saga di Harry PotterAnimali Fantastici per consegnarci un’opera che, basata sul libro The Hard Sell, è invece ispirata a fatti di cronaca tragicamente reali. 

 

Pain Hustlers ci racconta di questa particolare emergenza sanitaria mostrandocela però non tanto dalla parte delle vittime, quanto piuttosto dal punto di vista di chi i farmaci li vende e li prescrive.

 

[Il trailer internazionale di Pain Hustlers - Il business del dolore]

 

 

La protagonista Liza Drake (Emily Blunt) conduce un’esistenza precaria, lavora in uno strip club per mantenere sua figlia Phoebe (Chloe Coleman) affetta da epilessia e vive nel garage della sorella che cerca esplicitamente di fargli capire quanto sia una fallita. 

 

È proprio nello strip club che conoscerà l’uomo destinato a sconvolgergli la vita: Pete Brenner (Chris Evans). Rappresentante di una startup farmaceutica, l’uomo intuisce subito le capacità da venditrice della donna e gli propone di lavorare con lui.  

Liza, ritrovatasi di colpo senza lavoro, decide di accettare la proposta di Brenner che riesce a farla assumere dalla società per cui lavora, capitanata dal dottor Jack Neel (Andy Garcia). 

Neel aveva perfezionato il Lonafen, un farmaco a base di oppioidi che sembra destinato a stravolgere il mercato dei farmaci del dolore grazie all’immediatezza del suo effetto e i suoi minori effetti collaterali rispetto ai medicinali concorrenti.  

Attirata quindi dalle promesse di compensi stellari, Liza si butta a capofitto nella vendita di questo farmaco ai medici della zona.

 

La moralità con cui la protagonista di Pain Hustlers si approccia al suo nuovo lavoro è perfettamente esemplificata nella sua battuta “Volevo i soldi e il rispetto così tanto che non mi importava come ottenerli”

Se soldi e successo non tarderanno quindi ad arrivare, con essi inizieranno però anche a presentarsi i problemi dovuti all'eccessiva leggerezza con cui si prescrive il farmaco e all’abuso del Lonafen da parte dei pazienti. 

 

I farmaci sono anche un business e il fascino abbagliante del potere e del denaro che da essi possono derivare si trasforma prontamente in dubbi morali e sensi di colpa, che iniziano ad affliggere Liza verso la parte finale della pellicola. 

 

 

[Liza Drake (Emily Blunt) e Pete Brenner (Chris Evans) mentre svolgono dei colloqui per i loro nuovi collaboratori]

 

 

Sulla scia dei diversi film che avevano denunciato i problemi del sistema finanziario americano (come La grande scommessa di Adam McKay), pur mantenendosi piuttosto fedele agli avvenimenti reali su cui si basa Pain Hustlers non riesce a mio avviso a dare il giusto peso al dramma degli oppioidi che ha sconvolto gli Stati Uniti negli ultimi anni.  

 

Mentre tenta di criticare il capitalismo farmaceutico e la corruzione sanitaria il film preferisce spingere sul versante più guascone e scanzonato di questi venditori, pronti a tutto pur di ottenere successo e denaro. 

 

Avvicinandosi quindi alle atmosfere del ben più riuscito The Wolf of Wall Street, Pain Hustlers ci trascina in un mondo di eccessi ed esasperati discorsi motivazionali, dove mentre i medici a cui si vuole far comprare il Lonafen vengono storditi da festini, costolette e vino rosso i pazienti a cui il farmaco viene sottoscritto iniziano la loro discesa nella dipendenza.  

 

 

[Liza Drake (Emily Blunt) durante un party organizzato per convincere i medici ad acquistare il Lonafen]

 

 

Nella struttura di Pain Hustlers, che sulla carta si presenta come un film di denuncia, i dilemmi etici e morali di venditori e medici, come anche le problematiche dei pazienti che assumono questi farmaci, vengono trattate con una certa superficialità che non riesce davvero a colpire gli spettatori.  

 

Un film in bilico tra commedia e dramma, ispirato a fatti di cronaca che hanno avuto delle pesanti conseguenze nel mondo, non è di per sé sbagliato o inconcepibile: un'opera come il già citato La grande scommessa rappresenta infatti un fulgido esempio di come sia possibile costruire dei validissimi prodotti cinematografici in tal senso. 

 

Quello però in cui l'opera di McKay riesce, a differenza di Pain Hustlers, è trovare il giusto equilibrio tra queste due anime della pellicola, riuscendo a intrattnere e far ridere lo spettatore, ma anche a dare il suo spazio e la giusta rilevanza alle conseguenze dei tragici avvenimenti raccontati sia sui personaggi stessi del film sia sul mondo che li circonda.

 

 

[Liza Drake (Emily Blunt) estasiata dal successo che le sta fruttando la vendita di Lonafen] 

 

 

A mio avviso quindi la sceneggiatura di Wells Tower, famoso scrittore statunitense esordiente al Cinema, non sembra proprio valere i 50 milioni che è costata a Netflix.

 

Ho avuto infatti l'impressione che Pain Hustlers si limiti alla volontà di trattare un tema che non ha però il coraggio di affrontare di petto, cercando invece di stordire lo spettatore con un'impostazione molto più votata al semplice intrattenimento fine a se stesso. 

La regia di Yates si dimostra piatta e senza particolari velleità artistiche, tranne forse per le riuscite sequenze in bianco e nero in cui i principali personaggi del film parlano degli avvenimenti che li ha visti coinvolti. Più riuscita secondo me risulta invece l’interpretazione di Emily Blunt che, nonostante un personaggio non particolarmente ispirato, riesce comunque a consegnarci un’ottima performance. 

Stesso discorso per Chris Evans, che riesce a calarsi bene nei panni dell’avido venditore che lentamente perde il controllo della situazione.   

 

Pain Hustlers è quindi un film che, sebbene non risulti un totale fallimento e non risenta di particolari momenti di stanca, non è mai riuscito a entusiasmarmi davvero, spingendo inutilmente sul versante della comicità grottesca e sacrificando invece la profondità che ci si potrebbe aspettare da un film con una tale tematica. 

 

[articolo a cura di Stefano Romitò]

 

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