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Nel 1998 quei matti dei fratelli Coen confezionano Il grande Lebowski, quello che forse può essere considerato il loro capolavoro assoluto - seppur all’epoca, al botteghino, non ottenne il successo sperato.
Il film arrivò due anni dopo Fargo, gelido noir di una geniale ironia nera, e due anni prima di Fratello dove sei?, il buffo musical ambientato nelle praterie del Mississippi negli anni '30.
Il grande Lebowski per il suo 25° anniversario torna in questi giorni al cinema in versione 4K, grazie alla Cineteca di Bologna e al suo progetto “Il Cinema Ritrovato. Al cinema”.
[Il trailer de Il grande Lebowski]
“Nel lontano Ovest conoscevo un tipo, un tipo di cui voglio parlarvi: si chiamava Jeffrey Lebowski, o almeno così lo avevano chiamato gli amorevoli genitori, ma lui non se ne serviva più di tanto, Jeffrey Lebowski si faceva chiamare “Il Drugo”…
Già, Drugo, dalle mie parti nessuno si farebbe chiamare così.
Del resto di Drugo erano parecchie le cose che non mi quadravano.”
Così esordisce la misteriosa voce fuori campo, sopra le note di "The man in me" di Bob Dylan, che presenta nei primi minuti del film il nostro protagonista: Drugo (Jeff Bridges), incorniciato in una perfetta “storia americana anni '90 della West Cost” tra sole, bowling e ville opulente di Los Angeles.
Non stupisce - o almeno non fino in fondo - che Drugo abbia ispirato una religione chiamata Dudeism (Dude è diventato Drugo nella traduzione italiana): uno stile di vita, a voler essere più precisi, basato sul rifiuto delle preoccupazioni e la promessa a se stessi di fare esclusivamente ciò che va di fare, senza sforzi malvolenti.
[Il grande Lebowski: Jeff Bridges, Steve Buscemi e John Goodman nei panni di Drugo, Donny e Walter]
Drugo, intento a comprare del latte in un supermercato, si presenta a noi in tutta la sua essenza cool e sciatta contemporaneamente: i pantaloncini a quadri, le ciabatte, la vestaglia, gli occhiali da sole, i capelli scombinati, il latte sui baffi (che in realtà è White Russian, drink che beve costantemente per tutta la durata del film).
Nella sua superficiale mediocrità ironica si scorge una profonda, eroica resistenza a non cadere nei sincretismi della vita contemporanea.
Le due ingegnose ore di film sono un costante intreccio sfrenato di eventi dal sapore noir, a tratti drammatici, sempre spensierati, di una commedia raffinata, spinta ma mai di cattivo gusto, che guarda al John Landis di The Blues Brothers ma con un realismo decisamente più marcato, tipico degli anni ’90.
[Il grande Lebowski: Jeff Bridges nei panni di Drugo nel suo bagno]
I motori della narrazione sono due, consequenziali l’uno all’altro: il tappeto di Drugo sporcato di urina per un’incomprensione, che il nostro protagonista vuole riavere nuovo “perché dava un tono all’ambiente”, e il rapimento di Bunny Lebowski (Tara Reid), ex stella del porno, ora moglie del magnate Lebowski.
Questi due pretesti porteranno il nostro Lebowski a essere sbalzato da una parte all’altra della città, tra il suo ricco omonimo paraplegico (David Huddleston), sua figlia Maude (Julianne Moore), artista estrosa e sensuale, le follie dell’amico reduce del Vietnam Walter, la polizia, i nichilisti tedeschi (che, come dice Walter “sono peggio dei nazisti”) e i brutti ceffi dell’industria pornografica capeggiati da Jackie Treehorn (Ben Gazzara).
Poco importa se alla fine del tappeto non si è saputo più nulla e Bunny non era stata, in realtà, neanche rapita.
Questi eventi creano ripercussioni, nuove situazioni, doppi giochi, rivelazioni, climax, tutti fini a se stessi, mai campali, fungono da carburante per muovere Drugo, personaggio estremamente coeniano, tendente alla stasi e reso agente della realtà, elemento comico da non sottovalutare.
In tutto questo movimento continuo Drugo resta sempre fedele a se stesso, così come tutti i personaggi del film, che sono tendenzialmente superficiali, a-sentimentali, grotteschi, comici nella loro essenza, tradizionali.
[Il grande Lebowski: Jeff Bridges nei panni di Drugo intento a comprare del latte]
Alle caotiche disavventure di Drugo sono alternate le scene più iconiche del film, quelle nella sala da bowling.
Qui conosciamo i suoi due grandi amici: Walter (John Goodman), omone sconclusionato di elevata cultura e tendente alla rabbia e Donny (Steve Buscemi), mingherlino, stralunato e pauroso, sempre a cercare di capire di cosa si stia parlando intorno a lui, non riuscendoci mai.
Tra i tre si consumano dialoghi che sono capolavori di comicità, momenti aurei del film, come quello sull’incomprensione Lenin/Lennon di Donny:
Drugo: "È un clamoroso falso, amico. Sai cosa diceva Lenin? Tu cerca la persona che ne trae beneficio e… ehm… insomma…"
Donny: "Ob-La-Di, Ob-La-Da..."
Drugo: "Insomma… Avrai… Walter, capisci cosa voglio dire?"
Donny: "Ob-La-Di, Ob-La-Da"
Walter: "Quella fottuta puttanella!"
Drugo: "Già…"
Donny: "Ob-La-Di, Ob-La-Da"
Walter: "Quella è… Vuoi chiudere quella boccaccia?! Non Lennon! Lenin! Vladimir Il'ič Ul'janov!"
Donny: "Ma di che cazzo sta parlando!?"
Ma nella sala da bowling, come fosse un micro-mondo, conosciamo anche altri due personaggi che non possono lasciare indifferenti e che esistono narrativamente solo in quel luogo.
Il pederasta Jesus Quintana (John Turturro), talmente iconico negli atteggiamenti e nell’aspetto da aver ispirato il remake-spin off Jesus Rolls nel 2019, e soprattutto il comprensivo vecchio cowboy accreditato nei titoli semplicemente come Lo straniero (Sam Elliott), personaggio quasi divino che appare a Drugo al bancone del bar in maniera mistica, sapendo tutto di lui e dispensandogli criptici consigli.
[Il grande Lebowski: John Turturro nei panni di Jesus Quintana]
Capiamo essere sua la voce narrante del film e nell’ultima scena parla allo spettatore rompendo la quarta parete.
Curiosità: il personaggio è citato chiaramente anche nella terza stagione della serie TV Fargo, di cui i Coen sono produttori esecutivi.
Proprio nell’ultima scena, dopo l’unico momento emotivamente triste, la morte di Donny per un infarto dovuto alla paura, e quello più grottesco, lo spargimento delle sue ceneri, lo straniero chiede a Drugo come vada la vita e lui risponde:
“Qualche strike, qualche palla persa.”
Effettivamente la sala da bowling può essere vista come un luogo filosofico, ambiente del pensiero in cui regna la sincerità, con le azioni e le dinamiche del bowling che si trasformano nel senso della vita: la competitività, l’amicizia, vincere, perdere, le reazioni verso le ingiustizie, gli strike, le importanti partite del campionato.
[Il grande Lebowski: Drugo (Jeff Bridges), Walter (John Goodman) e le ceneri di Donny]
Lo stesso senso cosmico paiono avere le due scene oniriche del Drugo - quando viene malmenato e sviene e quando viene drogato - pregne di effetti speciali e coreografie squisitamente 50’s basate sul bowling in cui rientrano tutte le sfere esistenziali: quella sessuale, quella erotica, quella politica, quella interiore con tutte le sue sfaccettature.
In fondo è tutta qui la carica filosofica di Jeffrey Lebowski detto “Drugo”: la vita è come una partita di bowling, o a voler essere più precisi, una partita di bowling è come la vita, con la vita che imita la partita e non viceversa.
“Qualche strike, qualche palla persa”, senza agitarsi, senza disperare, senza perdersi d’animo, si può sempre rimontare o al massimo si viene sconfitti, ma poi si rigioca, i drammi passano, le gioie pure, è sempre un lancio dopo l’altro, un White Russian in mano (e sui baffi) e l’abbigliamento comodo.
Sembra così facile non farsi sopraffare.
[articolo a cura di Fabio Giagnacovo]
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