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Godland - Nella terra di Dio - Recensione: ci sarà del sangue in Islanda

Godland di Hlynur Pálmason, tra Il petroliere e Luci d'inverno, conferma che il regista islandese è uno dei più interessanti del panorama europeo

Hlynur Pálmason è ormai innegabilmente uno dei registi più interessanti del Cinema nordeuropeo e più in generale dell'intero vecchio continente: Godland - Nella terra di Dio è senza dubbio la sua consacrazione. 

 

Selezionato prima per la sezione Un certain regard della 75ª edizione del Festival di Cannes e successivamente presentato fuori concorso nella 40ª edizione del Torino Film Festival è ora nelle nostre sale.

L'opera prima di Pálmason, Vinterbrødre, venne premiata nel 2017 a Locarno con il Pardo d’oro per l’interpretazione maschile e la menzione speciale della Giuria Ecumenica.  

Due anni dopo A White, White Day - Segreti nella nebbia entrò nella selezione della Settimana internazionale della critica a Cannes e in seguito vinse il premio principale al 37° Torino Film Festival, concorso di lungometraggi che da sempre è dedicato alla scoperta di talenti in quanto riservato alle sole opere prime, seconde e terze.  

 

Con Godland - Nella terra di Dio il trentottenne regista islandese torna tra gli adulti in quello che un tempo si chiamava Festival Internazionale Cinema Giovani: da emergente nel concorso principale il neo-direttore Steve Della Casa lo colloca come autore affermato nel fuori concorso.

 

Agli European Film Awards, di cui è ormai un presenza costante, è stata inoltre riconosciuta la sua grande abilità nella direzione degli attori e la centralità degli interpreti nella sua poetica: ai cosiddetti Oscar europei è infatti arrivata prima la candidatura di Ingvar Eggert Sigurðsson per A White, White Day - Segreti nella nebbia e poi quella di Elliott Crosset Hove, suo corrispettivo in Godland.

 

[Il trailer di Godland - Nella terra di Dio]

 

 

Due attori che ci raccontano come quest’ultima fatica sia anche la chiusura di un cerchio che comprende i primi lungometraggi di Pálmason i protagonisti dei due film precedenti qui si incontrano e si scontrano come simboli delle diverse anime dell’Islanda rurale. 

 

Da un lato la bestialità indomabile del personaggio di Sigurðsson, dall’altra l’anima continentale del giovane pastore luterano danese, interpretato da Crosset Hove.

 

Due volti scavati dal viaggio impervio e dal crescente smarrimento che man mano risultano sempre più provati e assorbiti dalle rispettive riflessioni e ossessioni: Pálmason ha deciso di girare tutto Godland - Nella terra di Dio in ordine cronologico e questa scelta si percepisce perfettamente nel disvelamento progressivo dell'ossessione del protagonista Lucas (Elliott Crosset Hove) e nel modo in cui quest'ultimo sia sempre più emaciato e provato dalla violenza di questo nuovo mondo.

 

 

[La comunità nel nord dell'Islanda in cui è ambientato Godland - Nella terra di Dio, con al centro il nuovo pastore Lucas]

 

Due figure che mostrano la natura duplice di un film fatto di contrasti, come dimostra già il titolo originale che all'interno dell'opera viene mostrato in entrambe le sue forme: Vanskabte Land in danese e Volaða Land in islandese, entrambi letteralmente "terra malformata" o "infelice" e che associati al titolo internazionale Godland ("terra di Dio" come da titolo italiano) generano già una prima interessante dissonanza. 

 

Il giovane pastore luterano Lucas è stato assegnato a un villaggio nel nord dell’Islanda dove dovrà supervisionare la costruzione della prima chiesa e successivamente guidarne la comunità; fin quando i lavori non saranno ultimati resterà ospite nella casa dove vive il referente danese del villaggio Carl (Jacob Hauger Lohmann), perfettamente inserito nelle dinamiche del paese, e le sue due figlie Anna (Vic Carmen Sonne) e Ida (Ida Mekkin Hylnsdottir, figlia del regista).

 

 

[Anna e Ida immerse nei bellissimi paesaggi mostrati da Godland - Nella terra di Dio]

 

La terra da evangelizzare però è lontana e il giovane prete idealista e appassionato di fotografia, munito di tutta l’ingombrante attrezzatura che la cosa richiedeva all’epoca, decide di attraversare tutta l’isola invece di arrivare direttamente al villaggio via mare: un’occasione per scoprire la magnificenza di un luogo quasi completamente inabitato e ostile rispetto a viaggiatori inesperti come lui.

 

Verrebbe da porsi il dubbio se, rispetto al titolo internazionale, in questa landa desolata Dio sia più o meno presente rispetto alla civilizzata Danimarca delle prime scene.

 

Godland - Nella terra di Dio è ispirato a una serie di lastre fotografiche ottocentesche ritrovate in una cassa in Islanda: il film unisce i puntini di un viaggio perduto che grazie alla sapiente penna di Pálmason prima si muove sui binari di un road movie lungo la traversata di Lucas, Carl e dei manovali islandesi che lo accompagnano - tra cui Ragnar (Ingvar Eggert Sigurðsson) che è sicuramente il contraltare del giovane pastore - e poi il difficile insediamento religioso, i dubbi di fede che questo porta con sé in tipico stile nordeuropeo e la discesa nell'ossessione del protagonista.

 

 

[Ragnar, vero negativo del personaggio di Lucas, è il veicolo di tutte le tensioni culturali e religiose di Godland - Nella terra di Dio]

 

Una serie di fotografie unite dal regista islandese costruisce un’impalcatura narrativa esile e non invadente, dove resta lo spazio per mostrare tanto la violenta bellezza dell'Islanda quanto tutti gli scontri culturali e i dilemmi etici e religiosi dei suoi protagonisti: fotografie immobili riportate in vita dalla Settima Arte e unite in una narrazione capace di mettere insieme l’universalità del racconto di frontiera, l’intimità di una crisi mistica e la vocazione quasi documentaristica del viaggio herzoghiano nella natura selvaggia. 

 

L'Islanda diventa così protagonista di tutto il primo atto, con i suoi paesaggi mozzafiato e le sue condizioni climatiche e morfologiche impervie in cui Pálmason mette in scena la traversata dell'isola: quella che dapprima potrebbe sembrare solo una lotta tra l'uomo e i suoi limiti si trasforma ben presto in un'immagine del tormento interiore del giovane pastore e in un'astrazione del rigetto di questa Godland per coloro che non sono intenzionati a comprenderla e rispettarla.

 

 

[Lucas, nonostante le condizioni avverse e le crescenti difficoltà, non abbandona lo spirito documentaristico che segna tutta la sua azione all'inizio di Godland - Nella terra di Dio]

 

All’ovvio accostamento tra natura e civilizzazione - e alle barriere linguistiche tra danesi e islandesi - si aggiunge infatti tutto il bagaglio etico e religioso che da sempre caratterizza il Cinema scandinavo: un prete e la sua fede, come nel Cinema di Ingmar Bergman, aprono le porte a una serie di interrogativi tra lo spontaneo senso religioso di un individuo e le rigide liturgie imposte dall’esterno, tra l'ossessione e la vocazione. 

 

Quando Godland - Nella terra di Dio lascia la sua bellissima vena più documentaristica e di movimento, diviene infatti chiara la volontà di collocarsi nel solco del dramma religioso di Carl Theodor Dreyer e dell’autore di Luci d’inverno: Lucas è infatti fermo nelle sue monolitiche certezze, ma la rigidità che aveva imparato nel vecchio continente sembra incapace di rapportarsi con il nuovo istintivo mondo selvaggio che lo respinge sin dalle prime battute del suo viaggio. 

 

Fede e selvaggia terra di confine, in un connubio che ci racconta lo scontro tra un uomo e qualcosa più grande di lui, recuperando in parte, sia narrativamente sia tematicamente, il lavoro di Paul Thomas Anderson ne Il petroliere: il viaggio nell’inferno dell’ossessione e della violenza ricorda infatti molto quello di Daniel Plainview, altro uomo moderno trapiantato in un contesto violento e marginale come Lucas, anche lui costruttore e aggregatore di masse. 

 

Un esterno che macchia la verginità di una terra che non prova nemmeno a comprendere, finanche nella sua lingua, ma che pretende di imporvi nuove regole e di fermarne la genuina spinta aggregativa, tutto pur di salvaguardare i dogmi lontani e i riti ormai privi di legame con il reale.

 

La sporcizia e la violenza alla fine dell’arco narrativo di Lucas sarà emblematica del dilemma interiore che aveva tentato di tenere sopito sotto l'apparente inamovibilità, ma che una terra così pura e allo stesso tempo bestiale riporta a galla.

 

 

[Un matrimonio non celebrato perché la chiesa non è finita: il perfetto simbolo della rigidità di Lucas in Godland - Nella terra di Dio]

 

All’interno di questi contrasti si inserisce anche un racconto dell’immagine in senso assoluto e nelle sue due declinazioni (fotografica e cinematografica) che dialoga costantemente con la bellissima fotografia in 35mm di Maria von Hausswolff che sceglie di recuperare il formato 1,33:1 e lo riporta ai suoi antichi angoli arrotondati.

 

L'ossessione di Lucas per l'arte fotografica e il racconto dei segni del tempo attraverso lo strumento del time-lapse, già usato nell'opera precedente, sono solo sintomi di un sottotesto che permea tutto Godland - Nella terra di Dio

 

L'autore si interroga così sulla caducità dell'uomo e delle sue rappresentazioni, su come la carne si decomponga mentre le immagini, come resti, sopravvivono al tempo e su come tra pochi fotogrammi (per estensione tutta la narrazione di Godland - Nella terra di Dio) si muova qualcosa che oscilla tra la finzione e il divino, qualcosa capace di raccontare la natura umana e di metterne a nudo le debolezze.

 

 

[La cura per la composizione dell'immagine in Godland - Nella terra di Dio è spesso veicolo di un significato più profondo, come qui la terra inospitale guarda l'ospite inesperto e ne anticipa le vicende]

 

A rimarcarne l'importanza la fotografia è quindi centrale anche in tutto il percorso di Lucas all'interno di Godland - Nella terra di Dio e nella sua discesa nell'ossessione: tutte le interazioni che il protagonista costruirà all’interno del film saranno segnate dal filtro di un obiettivo e da pochi ingannevoli attimi immortalati, sarà così tanto in situazioni positive e romantiche come quelle con le figlie di Carl, tanto nel rapporto conflittuale e violento con Ragnar.

 

Godland - Nella terra di Dio risulta così un film visivamente e tematicamente densissimo, capace di tenere insieme la vocazione estremamente intima sulla bestialità umana, sull’individuo con i suoi dubbi e le sue ossessioni già presente in A White, White Day - Segreti nella nebbia a un'analisi universale sull'immagine, sul tempo e sulla fede estremamente lucida.

 

Un'opera che rende l'autore Hlynur Pálmason senza dubbio uno degli osservati speciali per i prossimi anni. 

 

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