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La parola al Giurato numero 2: un uomo pronto a mettere in discussione il concetto di verità, scavando nella propria coscienza per fare luce sulle ombre di una nazione piena di contraddizioni e dilemmi morali.
Il giurato in questione è Clint Eastwood stesso, sebbene il protagonista del film sia un bravissimo Nicholas Hoult, e il mondo contemporaneo non è nient'altro che il processo - morale, ma non moralistico - che lo vede in questo film tra le dodici persone designate a giudicare la vita di un uomo.
[Il trailer di Giurato numero 2]
Giurato numero 2 è un film essenziale, di una sintesi formale e autoriale commovente che appartiene solo ai più grandi registi della Storia del Cinema.
Un film rappresentativo della mitografia di una visione di mondo che prende il Sogno Americano come ideale utopico di civiltà, un mondo dove al centro c'è la libertà dell’individuo che porta all’opportunità di auto-realizzazione e alla democrazia come patto sociale condiviso; un’idea antropocentrica raccontata con il nitore etico di altri grandi narratori degli Stati Uniti sempre fedeli al proprio pensiero, come Cormac McCarthy o Philip Roth.
Per Clint Eastwood la coscienza individuale è sempre al di sopra della legge quando quest’ultima è fallace: la conseguenza è una repulsione verso i sistemi del potere - L’ispettore Callaghan nasce proprio da qui - e di giudizio.
Se in Fino a prova contraria un giornalista era pronto a dubitare della condanna a morte di un uomo, in Giurato numero 2 la situazione si complica ulteriormente, dato che in questo caso è il reale carnefice a porre domande sulla colpevolezza dell’imputato, conoscendo in cuor suo l'identità di chi ha commesso il vero crimine, con la complicità del sistema giudiziario statunitense.
È una costante del Cinema spettrale di Eastwood quella di immedesimarsi nella vittima o, come in questo caso, nel carnefice: i rimorsi individuali e collettivi - quante volte il regista ha riflettuto sulla guerra? - non smetteranno mai di esserci se non vengono prima sconfessati e la giustizia reale diventa perciò un fantasma dall'oltretomba, al pari del pistolero ne Lo straniero senza nome o come lo è la procuratrice distrettuale di Giurato numero 2, capace di suonare il campanello della porta giusta nonostante il crimine avesse già il suo colpevole ideale.
Per Eastwood la legge è una questione morale, non politica.
La politica, cieca e approfittatrice, appartiene agli arrivisti pronti a servire al pubblico il colpevole ideale su un piatto d'argento - un fidanzato rissoso ex spacciatore - senza approfondire, senza porsi dei dubbi, senza cercare una seconda possibilità.
[I dodici giurati di Giurato numero 2 ricordano quelli del capolavoro di Sidney Lumet de La parola ai giurati]
In Giurato numero 2 il dramma di un individuo e di una nazione si fa giudice di un mondo soffocato dalla velocità e dalla voglia di puntare il dito su un colpevole per non guardare la Luna.
Clint Eastwood lo mette in scena attraverso i dodici giurati, con una precisione di scrittura invidiabile, a cui basta una singola linea di dialogo per scoperchiare l’indifferenza sociale mascherata da progressismo (fate caso alla scelta degli interpreti e a cosa dicono: già da questo si può capire perché Donald Trump ha nuovamente trionfato) ed è allora che si percepiscono candidamente le contraddizioni statunitensi di un "conflitto tra collettivismo democratico ed egoismo capitalista", da sempre cifra della poetica di Eastwood, come sostenuto in passato dal critico Dave Kehr.
Fondamentale notare anche come il dialogo tra l'accusa e la difesa sia completamente assente, aspetto alquanto singolare per un dramma processuale, in un film dove ognuno è interessato a esporre la propria versione dei fatti senza il contraddittorio.
Il genere - in questo caso il courtroom drama - è dunque rivisitato conservando le forme e le regole drammaturgiche, salvo poi rimescolarle per una visione più ampia del mondo.
Il concetto stesso del vedere è al centro di Giurato numero 2, che si apre con l'immagine di una donna bendata come presagio di quello che accadrà: la macchina da presa assume di conseguenza i connotati di un detective che indaga i dilemmi morali dei personaggi, alternando i punti di vista e moltiplicando le situazioni che ne derivano.
Il ponte dove è stato compiuto il delitto (volontario o meno) richiama il fiume di Mystic River, con le ombre che mascherano i volti - ogni taglio di luce è studiato - la pioggia che oscura la visuale e la paura che genera morte.
Si chiede giustizia, si pretende la verità: da una parte la procuratrice distrettuale di nome Faith, dall'altra il giurato numero 2 di nome Justin.
[Nicholas Hoult e Clint Eastwood sul set di Giurato numero 2]
In Giurato numero 2 però non ci sono spari virtuali come nel finale di Mystic River, perché il gesto che sospende il giudizio dello spettatore è dato semplicemente da un campo e controcampo di monolitica bellezza e importanza.
Il “sogno americano” che promette il trionfo della giustizia e della verità, soggetto rappresentato ideologicamente da uno sguardo dall’alto (dio o dea bendata) - da notare il lento zoom sulla scritta In God We Trust dopo la sentenza - viene sottoposto a un’analisi critica implacabile.
Ancora una volta, con quello che potrebbe essere il suo film-testamento, Clint Eastwood si conferma essere a mio avviso tra i più grandi di sempre.
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