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Mufasa - Recensione: non si nasce né cattivi né re: lo si merita

Mufasa segue il principio secondo cui "nessuno nasce cattivo" e lo fa con una coerenza e un'emotività tali da lasciare a bocca aperta  

Premessa personale doverosa prima di recensire Mufasa, il nuovo film Disney diretto da Barry Jenkins: esistono tanti sequel (o prequel in questo caso) nati solo per essere tali, ovvero un prodotto per guadagnare con una fanbase già presente, una storia già conosciuta, un "vincere facile".  

 

Ovviamente chiunque quando realizza un film aspira a guadagnare qualcosa, ma nell'arte sappiamo che esiste anche un aspetto riguardante più "l'anima delle cose", per cui è possibile (e, a mio dire, preferibile) provare a coniugare l'aspetto del fondamentale guadagno economico con l'ambizione di realizzare anche qualcosa di valore, al di là del suo prezzo. Per i Classici Disney è stato così per molto tempo, specie per un cult come Il re leone dove l'anima, al di là del successo, c'è eccome. 

Non sempre, tuttavia, Disney riesce a unire il prezzo al valore. 

 

Ne sono un esempio i tanti live action che non reggono il confronto con l'originale, che grazie a scelte di casting originali mirano a fare scalpore ma forse non aggiungono nulla di nuovo oltre a questo. 

 

Un esempio è il recente Oceania 2, altro film dove non ho visto "l'anima".   

 

[Il trailer di Mufasa]

 

 

Tutto ciò a mio avviso non riguarda Mufasa.

 

Il prequel de Il re leone ha un'anima e un valore: la cosa stupisce soprattutto a fronte del predecessore del 2019, che sinceramente trovai alquanto superfluo per molte ragioni.

Se i live action avevano il pregio di rendere "umani" personaggi che erano solamente animati, la trasposizione de Il re leone non fu un live action, bensì un remake in CGI, dove non si andava ad aggiungere nulla se non a perdere.

Gli animali erano poco espressivi e ogni scena - trattandosi di un remake shot-for-shot lo si presuppone - viene inevitabilmente confrontata con l'originale. 

Altra nota dolente per la versione italiana sono alcune scelte nel cast vocale per il doppiaggio, dove perfino un grande professionista come Luca Ward doveva comunque reggere il confronto con Vittorio Gassman, la cui voce come Mufasa aveva segnato l'infanzia di molti nostri connazionali.   

 

Secondo me Mufasa prende tutti questi difetti e paradossalmente li corregge, innanzitutto grazie all'evoluzione della CGI che rende gli animali molto più espressivi. 

Trattandosi di una storia inedita inoltre non è necessario né possibile comparare qualcosa di già visto: è un discorso che sulla carta vale per qualsiasi prequel, ma Mufasa non è un prequel come gli altri. 

 

Forse perché, per quanto fosse una sfida enorme, nel profondo avevamo bisogno di conoscere la storia di Mufasa, perché insieme a Simba abbiamo vissuto il trauma di vedercelo portare via.

 

 

[Un frame di Mufasa]

 

 

Fin dall'inizio de Il re leone scopriamo questa figura di padre esemplare, re coraggiosissimo, che agli occhi di Simba così come ai nostri sembra perfetto in tutto. 

 

Capiamo perché Simba sceglie di scappare e anche se "Hakuna Matata" ci fa ridere non riusciamo a evitare di piangere quando Mufasa gli dice "Ricordati chi sei".

Questo è il motivo per cui Il re leone è secondo me un capolavoro: i personaggi sono realistici e, anche se animali, molto umani. 

Mufasa prende tutta questa umanità e la mostra allo spettatore attraverso il personaggio di cui parla: scopriamo che Mufasa non è sempre stato un re, ma è nato come un randagio educato dalle leonesse e andando a caccia con loro riceve un'educazione particolare. In questa tematica Mufasa ripercorre le orme non tanto del primo film, quanto del sequel Il re leone II - regno di Simba, uscito nel 1998 direttamente in home video: troviamo infatti Kiara, la figlia di Simba, e il tema dell'esiliato in quanto diverso ricorda la vicenda di Kovu, il fidanzato di Kiara.

 

Da un punto di vista psicologico Mufasa si muove sul confine tra Simba e Scar. Non è perfetto come sembrava nel primo film e lo dice lui stesso quando racconta di aver avuto paura di perdere Simba (ma un padre agli occhi di un cucciolo è perfetto e inarrestabile); in questo film non è il "migliore di tutti", anche se grazie alla sua diversità possiede delle caratteristiche uniche, come un innato coraggio, contrapposto a un fratellastro che invece fugge di fronte alle difficoltà. 

Al di là delle sue qualità naturali, tuttavia, Mufasa è quello che fa forse sempre la scelta giusta. 

 

Il tema della scelta è molto importante nella saga de Il re leone così come è fondamentale nel mondo shakesperiano a cui le vicende si ispirano - il primo film si basa, come è noto, sull'Amleto, mentre il secondo su Romeo e Giulietta - e anche in molta letteratura per ragazzi, basti pensare alla saga di Harry Potter dove Albus Silente dice al giovane mago "Non sono le nostre capacità a dimostrare quello che siamo, sono le nostre scelte"

 

Questa frase basterebbe a definire chi è Mufasa: uno che sceglie di non scappare e al contrario si ferma per aiutare, proteggere, dialogare con gli altri.

Di tutto questo Mufasa non ha nessuna "colpa"; il timore che mi ha preoccupata per tutta la visione del film era quello di vedere Scar come un bravissimo leone, con Mufasa che senza essere nato nobile arriva, fa un po' il figo e gli ruba tutto.

 

Per fortuna non è andata così.

 

 

[Un frame di Mufasa]

 

 

Qui entra in gioco l'ottima scrittura di questo film, perché per noi è difficile non avercela un po' con Mufasa, proprio con quel personaggio che abbiamo pianto anni fa e che pensavamo fosse perfetto.

 

Mufasa, infatti, non è da solo: è stato accolto come randagio in un branco grazie a Taka, che poi diventerà Scar.

I due sono fratelli per scelta, Taka sceglie Mufasa come fratello ma mentre l'amore ha contraddistinto l'educazione del futuro re, Taka ha un padre che gli insegna che il potere si raggiunge con l'inganno. 

Per quanto veloce e forte Scar è pavido e impacciato anche con le leonesse e non regge il confronto con Mufasa.

 

La contrapposizione tra i due è a mio dire scritta bene e funziona soprattutto nel primo atto.

Per onestà intellettuale devo specificare che ho una naturale predilezione per le bromance: Il principe d'Egitto, per esempio, al di là dell'ovvio significato biblico per me è un film d'animazione riuscito grazie alla contrapposizione interessante tra Mosé e Ramses, che ti porta a vederli prima giocare insieme e poi li trasforma in rivali. 

Anche Mufasa ha un'ottima bromance, anche se sapendo come andrà a finire per tutto il tempo gli spettatori si chiedevano che cosa sarebbe successo e quando, come Taka sarebbe diventato Scar: le aspettative erano altissime.

 

La nota dolente in tutto ciò è forse la celerità con cui avviene il cambiamento di Scar: accumula tutto per poi esplodere, ma lo fa per una leonessa e la cosa risulta estremamente banale. 

Se si pensa al primo film, però, fa ancora più "male" pensare a quando Sarabi dice a Scar "Tu non potrai mai essere Mufasa, lo sai".

Fa male perché Scar in questo film riusciamo a capirlo, non tanto perché seguendo il principio del "nessuno nasce cattivo" ne hanno fatto un santo - come è successo in Maleficent - bensì in quanto sono stati scritti due personaggi in maniera funzionale e interessante.

 

Mufasa non ha "colpe": è lui quello che davvero merita di essere re, se con ciò intendiamo non semplicemente la gestione del potere ma qualcuno che protegga e unisca le persone, eppure il destino di Scar arriva sempre secondo, rimane sempre nell'ombra e induce lo spettatore all'empatia.

 

Non si è "cattivi e basta", ma ancora una volta si è cattivi per scelta: occorre un'enorme forza d'animo per mettere da parte l'invidia, i complessi di inferiorità e per saper fare un passo indietro per il bene comune.

Scar non è coraggioso, Scar non ci riesce. 

 

Sceglie di non farlo e di farsi chiamare come la cicatrice che si è procurato.

 

 

[Un frame di Mufasa]

 

 

Mufasa è un film con tante idee: alcune rese molto bene, altre concretizzate in modo davvero troppo, troppo veloce.  

 

Le canzoni di Lin-Manuel Miranda sono interessanti, ma a parte quella del branco dei leoni bianchi nessuna rimane davvero impressa.

Il film cerca di far ridere insistentemente proprio nella modalità di narrazione, ma Timon e Pumbaa a volte sono troppo sopra le righe, mentre il personaggio di Zazu risulta essere spassoso.

 

In merito al doppiaggio italiano la scrittura del film aiuta a sopportare anche qualche battuta pronunciata non proprio "in tono", così come i momenti comici fuori luogo di cui parlavo prima.

Smorzare un po' il tono serioso aveva sicuramente senso, ma non a discapito dell'approfondimento, nel secondo atto, del mutamento di Scar.

Aggiungo però che personalmente non ne avrei mai avuto abbastanza di questa indagine dentro i complessi rapporti tra fratelli, che se pensiamo a un film destinato soprattutto ai bambini può essere a dir poco illuminante.

Era questa l'anima di cui parlavo all'inizio: Mufasa intrattiene, fa ridere, fa commuovere, ma ci mostra anche quanto possa essere difficile essere coraggiosi e valorosi.

 

In poche parole: quanto è difficile essere Mufasa. 

___  

 

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