Posizione 8
Le beau Serge
Claude Chabrol, 1958
Il titolo che inaugurò ufficialmente il filone della Nouvelle Vague.
#top8
Iniziare un percorso cinefilo di crescita e avventurarsi nel mondo della Settima Arte prescindendo dalla conoscenza, ma soprattutto dalla consapevolezza del ruolo che ha avuto la Nouvelle Vague lungo tutta la storia del cinema, sarebbe un po’ come acquistare una bellissima e costosa autovettura senza prima sapere quale sia il pedale della frizione e ignorando le basi del codice stradale.
Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, gli scrittori dei leggendari Cahiers du Cinéma realizzarono qualcosa di rivoluzionario, che avrebbe posto le basi per il cinema moderno, influenzando decine e decine di registi a venire, nel vecchio come nel nuovo continente: da Brian De Palma a Quentin Tarantino, da Martin Scorsese a Richard Linklater, da Abel Ferrara a Bernardo Bertolucci.
Questa nuova ondata cinematografica (Nouvelle Vague in francese significa proprio “Nuova onda”, letteralmente), i cui rappresentanti erano prima di tutto fervidi cinefili ancor prima che registi, nasceva e via via si sviluppava con la convinzione che fosse possibile un nuovo modo di girare i film, che ribaltasse le convenzioni classiche e che si ponesse alla stregua di letteratura e musica, rafforzando cioè un’idea già nata nella seconda metà degli anni ’50 per mano di altri importanti cineasti europei (Ingmar Bergman e Robert Bresson su tutti) e a quel punto definitivamente esplosa: il cinema come arte, il regista come autore.
Sono diversi gli aspetti che contribuirono alla codificazione di un nuovo linguaggio del cinema, che si poneva dunque in netto contrasto con il passato: i ritmi di narrazione sincopati, la voce fuori campo, lo sguardo in macchina volto ad abbattere il sacro muro della quarta parete, un découpage per molti aspetti destrutturato con la composizione della singola scena che viene completamente spogliata di qualsivoglia climax emotivo, la sterilizzazione del principio campo-controcampo, gli split screen, i jump-cut e la suddivisione narrativa in capitoli/quadri.
[Jean-Luc Godard e François Truffaut]
“Mi piaceva quest’idea di totale libertà, l’improvvisazione, il fatto che non ci fosse una vera sceneggiatura con le battute precise da imparare a memoria e che io potessi lasciarmi andare all’istinto, come veniva.
Il giorno prima delle riprese ho chiesto a Godard se almeno avesse un’idea di quello che voleva fare.
Mi ha dato una risposta che mi ha riempito di entusiasmo: No”.
La battuta del grande Jean-Paul Belmondo, uno degli interpreti di punta del cinema francese del secolo scorso, ben sintetizza lo spirito con cui gli autori del movimento decisero di avvicinarsi al cinema.
Se nel periodo americano classico la macchina da presa era invisibile e gli attori erano sì star di prima grandezza, ma pur sempre delle pedine sul set, splendidi e costosi burattini in mano a produttori e grandi major, nella nuova corrente francese la mano del regista/autore diventa ancor più decisiva nelle logiche di messa in scena e gli stessi interpreti acquisiscono una libertà di movimento e improvvisazione, che raramente si era vista fino a quel momento nelle sale.
Se un tempo le sceneggiature, predefinite e assolutamente consolidate ancor prima di iniziare le riprese, erano dunque una parte indispensabile dell'intero processo creativo cinematografico, nelle logiche della Nouvelle Vague esse perdono rilevanza e diventano al contrario abbozzate, provvisorie e suscettibili di continue modifiche ed evoluzioni, anche durante la stessa lavorazione del film.
Per la prima volta, in modo così esplicito e dichiarato, la forma assume la stessa rilevanza del contenuto.
Nei film della Nouvelle Vague, infatti, l’accento non viene posto tanto sulla storia, intesa nella sua accezione squisitamente classica, quanto piuttosto sul modo di raccontarla.
Alfred Hitchcock diceva che il cinema fosse la vita con le parti noiose tagliate; ebbene, nel cinema della Nouvelle Vague il principio si rovescia e la realtà, così come ci appare, si fa oggetto di una rappresentazione priva di censure o forzature; tutte le parti di stallo, quelle cioè che nella nostra vita quotidiana costituiscono dei momenti di pausa, come di attesa di qualcosa tra un fatto e un altro fatto, tra un’azione e un’altra azione, vengono in questo caso non solo mostrate, ma anche e soprattutto esaltate.
Parlando della sua opera massima, I 400 colpi, François Truffaut spiega come fosse assolutamente necessario che l’attore principale dovesse comportarsi come se la macchina da presa non esistesse, come se il piccolo Antoine, protagonista della storia, si trovasse da solo in una stanza, senza operatori e regista intorno, a vivere semplicemente la sua vita e a fare cose che farebbe in quell’esatto momento, in quella stessa circostanza, solo senza la presenza di un pubblico pagante davanti a uno schermo.
“Ne 'I 400 colpi' bisognava evidentemente impedire a Jean-Pierre Leaud di sorridere, al contrario dell’adolescente beato di Louisiana Story che mi dà fastidio ancora oggi, tanto è evidente che recita per la macchina da presa.
Non si sorride quando si è soli”.
Mettendo l’accento su questo particolare aspetto, si capisce come al centro della corrente francese vi fosse il trionfo dell’antiretorica, dell’antigrammaticalità e della libertà scenica, quest’ultima svincolata dai dettami narrativi che avevano governato fino a quel momento la messa in scena tipicamente hollywoodiana.
È inutile negare che siano due o tre i nomi, più di tutti gli altri, dei veri iniziatori di quella corrente artistica rivoluzionaria e che quindi vengano ancora oggi indicati come i maggiori esponenti di quel nuovo periodo storico.
Inoltre, è altrettanto doveroso specificare come anche all’interno dello stesso gruppo dei nuovi registi siano comunque riscontrabili delle differenze stilistiche, che in un certo senso riescono a isolare le carriere dei singoli componenti e che fanno capire come ognuno di loro abbia avuto un approccio personale nella realizzazione delle proprie opere.
Basti anche solo pensare alle separate filmografie di quelli che sono unanimemente considerati come i Maestri assoluti della nuova ondata francese, Jean-Luc Godard e François Truffaut, bravi quanto distanti; i personaggi del primo, ad esempio, parlano, si muovono e si relazionano all’interno delle vicende in modo molto più teatrale rispetto a quelli del secondo.
Anche tenendo conto dunque di quest'ultimo aspetto e dell’ampia scelta di capolavori che quel cinema d'oltralpe ha offerto, ho deciso di stilare una Top 8 che fosse il più possibile eterogenea, con la consapevolezza di aver necessariamente lasciato fuori titoli altrettanto memorabili, il cui valore non è ovviamente in discussione: da Il segno del Leone di Éric Rohmer a Questa è la mia vita di Godard, da L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais a Effetto notte di Truffaut, passando poi per lo straordinario cortometraggio fantascientifico di Chris Marker, La jetée, che nonostante sia meno in linea rispetto alle opere dello stesso periodo, merita comunque di essere menzionato.
Se vi fosse capitato di leggere il mio articolo Gli spartiacque del Cinema, vi risulterà facile immaginare quale titolo abbia scelto per occupare il gradino più alto della classifica.
9 commenti
Tazebao
6 anni fa
Rispondi
Segnala
Pierluca Parise
6 anni fa
Rispondi
Segnala
Lasirenadelmississippi
6 anni fa
Rispondi
Segnala
Raff
6 anni fa
Rispondi
Segnala
Pierluca Parise
6 anni fa
Rispondi
Segnala
Lasirenadelmississippi
6 anni fa
Rispondi
Segnala
Charlie Shield
6 anni fa
Rispondi
Segnala
Pierluca Parise
6 anni fa
Rispondi
Segnala
Pierluca Parise
6 anni fa
Rispondi
Segnala