Fine anno, tempo di bilanci anche cinematografici: questo 2018 che anno è stato per gli spettatori del grande schermo?
Ce lo siamo chiesti in redazione e, nonostante all'inizio la sensazione fosse quella di un anno 'povero' rispetto ad altri, pensandoci su e scegliendo i nostri titoli preferiti abbiamo notato che invece questi 12 mesi ci hanno regalato senza dubbio delle pellicole di valore assoluto.
Prima di iniziare con la classifica, che in quanto tale sappiamo perfettamente sia passibile di critica e di disaccordo, vi racconto come ci si è arrivati: ogni redattore che ha voluto partecipare alla stesura ha scelto i propri 10 titoli dell'anno e li ha classificati.
Le discriminanti erano queste:
- Il film doveva essere stato distribuito in Italia tra il 1° gennaio e il 31 dicembre
- Il film doveva essere stato distribuito in sala, quindi niente festival, niente anteprime stampa, niente Netflix o Amazon Prime Video
Ne è uscito un totale di 31 film e si è scelto di assegnare un punteggio da 10 a 1, dalla prima posizione all'ultima, per poi giungere agli 8 di questa classifica.
Per correttezza e trasparenza, e per la vostra eventuale curiosità, ecco le classifiche dei singoli redattori.
(The Shape of Water, di Guillermo del Toro - USA 2017)
Guillermo del Toro, dopo Il labirinto del fauno, torna ad essere autore di una fiaba che infonde la realtà storica di elementi fantascientifici e, appunto, fiabeschi.
Il film è una poesia che utilizza il linguaggio cinematografico per raccontare l’amore sincero e privo di pregiudizio.
Una storia che tratta molti temi, tra cui la discriminazione, in tutte le sue forme.
La cosa che colpisce immediatamente, come in tutta la filmografia di del Toro, è la scenografia che trasporta lo spettatore in un altro mondo, un posto che vive nella mente del regista.
Il film, oltre all’evidente ispirazione a Il mostro della laguna nera, racconta storie come La bella e la Bestia ed Edward mani di forbice, in cui un incompreso, considerato un mostro dalla società, viene emarginato.
La creatura però è pura d’animo, come la ragazza, la quale sarà l’unica a capirlo.
Anche se in apparenza i due sembrano diversissimi, in realtà sono molto più simili tra loro rispetto a chiunque altro e in un modo naturale, come se si fossero da sempre cercati, si innamorano.
Il film ha vinto moltissimi premi, tra cui i più rinomati: il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia e i premi Oscar per la Miglior Regia e Miglior Film.
Premi ricevuti non solo per la maestria con cui è stato realizzato il film in ogni suo minimo particolare, ma anche per le tematiche che raccontano la società contemporanea, anche se la storia è ambientata durante l’epoca della guerra fredda.
Inoltre, per certi aspetti, il film è rivoluzionario per quanto riguarda la sessualità femminile in un film d’intrattenimento rivolto a tutti, in quanto questo aspetto viene mostrato con completa naturalezza.
Guillermo del Toro realizza una delle sue pellicole migliori, riuscendo nuovamente a realizzare un film d’intrattenimento che, grazie alla sua bravura e sensibilità, diventa arte che rimane nella mente e nel cuore.
(Teströl és lélekröl, di Ildikó Enyedi - HUN 2017)
Orso d'oro e premio FIPRESCI a Berlino, candidato a Miglior Film Straniero agli Oscar e a Miglior Film Europeo agli EFA, dove ha vinto la miglior interpretazione femminile: Corpo e Anima racconta la storia d'amore tra Maria (Alexandra Borbely), nuova addetta al controllo qualità di un mattatoio, ed Endre (Geza Morcsanyi), direttore finanziario della stessa azienda.
Dopo un fattaccio sul lavoro vengono tutti obbligati a fare dei colloqui con una psicologa e lì i due scoprono di essersi incontrati all'interno di un sogno ricorrente in cui entrambi sono cervi in una foresta innevata.
Una classica storia d'amore tra personaggi timidi che faticano a scalfire il muro che si sono costruiti attorno: lui per i suoi problemi fisici - ha un braccio paralizzato - lei per quelli mentali, e che a poco a poco attraverso qualche battuta d'arresto riescono ad avvicinarsi.
Fino a qui sembrerebbe un film tutt'altro che da consigliare, ma Corpo e Anima è un film di una bellezza sconvolgente, la regista Ildikó Enyedi riesce nell'opera difficilissima di rappresentare ciò che non si vede: un sentimento, un'alchimia, una sensazione.
Un film in cui l'onirico della foresta innevata, puro e celestiale come il bianco che lo ricopre, e la cruda realtà di un mattatoio, violenta e ostile, si uniscono creando il perfetto habitat per una poesia fatta di piccoli gesti, sguardi accennati, frasi ripetute e telefonate inaspettate.
Ulteriormente impreziosito dal brano What He Wrote di Laura Marling in una delle più belle scene dell'anno, in cui l'anima dolce e romantica che permea il film è scalfita dalla goffaggine e dalla profonda tristezza di un amore che sembra non riuscire a sbocciare, ingabbiato nei corpi e nelle menti imperfette dei protagonisti, freni per due anime unite fin dal primo di questi 116 minuti.
(The Man Who Killed Don Quixote, di Terry Gilliam - UK, SPA, FRA, POR, BEL 2018)
Una vita a rincorrere il Don Chisciotte, quella di Terry Gilliam, decenni di esistenza dedicata a realizzare a tutti i costi il film che voleva.
E la cosa nel film traspare perché L'uomo che uccise Don Chisciotte riesce a essere tutto ciò che Gilliam è stato finora. Pasticcione, commovente, divertente, surreale, simbolico e immaginifico.
Film che gioca con se stesso, con la sua genesi e con il cinema stesso, consapevole che se chi guarda ne conosce le vicissitudini allora ne apprezzerà ancora di più lo scherzo.
Adam Driver si conferma essere uno degli attori più in gamba della Hollywood contemporanea, riuscendo a vestire i panni di un regista che torna sui luoghi del suo primo film e trova che tutto è cambiato, così come è cambiato lui.
Il cinema lo ha cambiato perché "I film sono pericolosi" e quindi tutto il Don Chisciottegilliamesco si muove su piani differenti, passando da passato a presente e da immaginazione e realtà come in un sogno, forse anche per cercare di essere meno film e più Cinema; i mulini a vento contro i quali un ottimo Jonathan Pryce si trocva a combattere non sono altro che i produttori cinematografici e le aspettative del pubblico odierno, sempre più distratto e in altre faccende affaccendato.
L'uomo che uccise Don Chisciotte è una giostra che rappresenta l'animo dello stesso Gilliam, palesato nei titoli di coda, e una sorta di manifesto-lascito del regista che, volendo, potrebbe anche decidere di smettere ogni volta di fare una fatica tremenda per portare a casa le pellicole così come ce le ha in testa per poi venire punito al botteghino.
Perché questo film è pieno di tutto quello che da anni cerca sempre di raccontarci, con quel suo sguardo sbilenco dalle prospettive forzate, con quel suo gusto per l'eccesso e il circense, per le scenografie pompose e barocche, per la polvere metaforica e palpabile, quel suo amore per il suo Cinema che non ha mai tradito fin dagli esordi.
E perché, come dice il suo protagonista alla fine del film, "Io sono Don Chisciotte, e sono destinato a vivere per sempre".
Il 2018 ci ha regalato l’ennesima conferma che Matteo Garrone siede con pieno merito all’interno del salotto d’elite del cinema europeo.
Dogman, film attesissimo sin dal momento in cui l’autore napoletano ha dichiarato che il suo progetto su Pinocchio sarebbe slittato, si inserisce perfettamente all’interno della sua poetica in perenne equilibrio tra la rappresentazione di un’umanità bestiale e gli sparuti momenti di bellezza che in essa albergano.
A più riprese definito dai critici come una favola nera, l’ultima opera di Garrone condivide con il genere letterario a cui viene accostato la natura ferina di alcuni dei propri protagonisti e la voglia di rappresentare un mondo sospeso ma comunque pervaso da un forte realismo.
Davanti ai nostri occhi in Dogman si alternano, senza soluzione di continuità, il sudicio e il tenero, il brutale e il commovente.
Le eleganti ma lineari scelte registiche dell’autore napoletano sono tutte volte a seguire con discrezione la parabola di un uomo debole costretto a fare scelte forti.
Marcello Fonte, senza dubbio la vera rivelazione di quest’annata di cinema europeo, fornisce una prova indimenticabile portando il suo volto scavato a mostrarci senza eccessi l’intero range emotivo che un essere umano può provare prima di cadere nel baratro della follia.
Dopo un’accoglienza calorosissima al Festival del Cinema di Cannes, culminata con il Prix d'interprétation masculine per il minuto attore calabrese, Dogman ha raccolto ben otto Nastri D’Argento e tre European Film Awards: un trionfo continentale che lo inquadra certamente come film italiano di maggior successo in questo 2018.
Un successo che, però, contribuisce ad amplificare la delusione per il mancato ingresso in short list per l’Oscar al Miglior film in Lingua Straniera.
Sappiamo di non poter competere con il prestigio di una nomination dell’Academy, ma ci piace immaginare che il bravissimo regista napoletano possa un po’ consolarsi con il meritatissimo inserimento del suo lavoro nel novero delle migliori opere di questo 2018.
[Jacopo Gramegna]
Posizione 4
Roma (id., di Alfonso Cuarón - MEX 2018)
Cuarón si carica in spalla l'intero film e realizza un personalissimo e intimo racconto di un quartiere di Città del Messico, riportandoci negli anni '70.
Il regista qui è anche produttore, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore (coadiuvato da Adam Gough) e Roma gronda cuaronismo da ogni inquadratura: la macchina da presa non giudica e non interviene, le lunghissime inquadrature alle quali il regista messicano ci ha già abituati qui diventano delle fotografie di Sebastião Salgado in movimento, con un passo morbido, delicato, che dà modo allo spettatore di contemplare tutto ciò che vi è racchiuso.
La storia della domestica Cleo a servizio di una famiglia piccolo borghese viene sconvolta da un uomo, così come viene sconvolta anche quella della madre della famiglia, a causa del padre. Le differenze di classe, evidenti, non vengono dipinte come un giogo bensì come una naturale situazione, e i tumulti che stanno per scuotere il paese fanno da sfondo a un racconto che si muove in punta di piedi.
La tecnica è il punto più alto raggiunto da Cuarón, sia dal punto di vista dell'immagine che da quello del suono: in sala le immagini in 65mm sono talmente vivide da poterci entrare dentro e il lavoro fatto sul Dolby Atmos immerge letteralmente lo spettatore dentro la storia.
Non è facile dimenticarsi di Roma dopo averlo visto, è un film che lavora dentro dopo la visione, che lascia qualcosa e che spinge a continuare a pensarci, come fossimo dei sopravvissuti che hanno avuto la fortuna di assistere a un qualcosa di straordinario. Ma la straordinarietà del film sta proprio nel fatto di raccontare qualcosa di assolutamente ordinario.
Un tranche de vie difficilmente riscontrabile, per forma e contenuto, nel cinema odierno. Ed è proprio questa sua originalità che fa riflettere sulla situazione attuale della cinematografia, anche di quella più mainstream: il film di un premiatissimo autore che resta solo pochi giorni in sala e finisce poi per accumularsi nel catalogo di una piattaforma streaming, tra cartoni animati e la diciottesima stagione di una serie tv.
Una perla nel fango che spera di essere notata, ripulita, guardata e amata perché se è vero che il Cinema è Arte, Roma è uno dei suoi rappresentanti più importanti e affascinanti degli ultimi anni.
È Cinema, è Arte, è un autentico atto d'amore verso i propri ricordi d'infanzia e le proprie radici, è un gioiello curato in ogni singolo fotogramma.
(Three Billboards ouside Ebbing, Missouri, di Martin McDonagh - USA, UK 2017)
Terzo, straordinario lungometraggio dell’irlandese Martin McDonagh, che sfruttando una storia cruda e disincantata, ambientata nel profondo sud degli Stati Uniti, pone una lente d’ingrandimento sui temi più cari alla Hollywood neopuritana: la discriminazione razziale, le falle del sistema di polizia, l’anarchia della provincia americana, la tempra femminile.
Due i principali punti di forza del film: la caratterizzazione dei personaggi, che offrono un motivo per essere ricordati, per il loro essere naturali e spogliati di un qualunque velo, così umani e imperfetti; e l’elemento di black comedy rintracciabile lungo tutta la narrazione, che non può non ricordare a tutti il cinema dei fratelli Coen e che è finalizzato ad amplificare ancora di più la riflessione di fondo, ridando in tal modo ossigeno a temi delicati quali ingiustizia sociale e paura del diverso, che sono sempre stati spremuti (forse troppo?) in lungo e in largo nel cinema americano.
Vincitore di due premi Oscar: Miglior Attrice Protagonista, Frances McDormand (in quella che è probabilmente la miglior performance della sua carriera) e Miglior Attore Non Protagonista, Sam Rockwell.
(The Killing of a Sacred Deer, di Yorgos Lanthimos - UK, IRL, USA 2018)
Il sacrificio del cervo sacro è la seconda opera statunitense del regista greco Yorgos Lanthimos, oltre ad essere la seconda pellicola a suggellare il fecondo sodalizio con Colin Farrell.
Il film è stato premiato, meritatamente, al 70° Festival del Cinema di Cannes con la miglior sceneggiatura ex-aequo con A Beautiful Day di Lynne Ramsay e racconta una storia pressoché horror che, nonostante la natura sovrannaturale, mira ad attuare un’autopsia minuziosa e distaccata del nucleo familiare.
Nonostante l’internazionalità del cast, in cui svetta con Farrel anche Nicole Kidman, Lanthimos porta ciò che renderà eterna l’eredità fornitaci dal suo Paese natale: il teatro, in particolar modo la tragedia.
Il titolo del film e la sua stessa trama fanno riferimento a “Ifigenia in Aulide” di Euripide e i temi trattati, opportunamente traslati nel contesto borghese, sono tópoi ricorrenti della tragedia: le colpe dei padri che ricadono sui figli, il desiderio di vendetta, i limiti serrati del libero arbitrio, le divinità indifferenti ed implacabili che non conoscono pietà o empatia.
Guardando questo film di Lanthimos la tensione è palpabile fin dai primi secondi: un minuto di buio sulle note di Schubert precede un’inquadratura su un intervento a cuore aperto.
Quando quasi ci si aspetta che la tensione fornita sia un esercizio stilistico, Il sacrificio del cervo sacro ci offre un'escalation di avvenimenti tanto violenti quanto conturbanti.
[Lorenza Guerra]
Posizione 1
Il Filo Nascosto
(Phantom Thread, di Paul Thomas Anderson - USA, UK 2017)
Che Il Filo Nascosto non sarebbe stato un film come gli altri lo abbiamo capito sin dal giorno in cui hanno annunciato l’avvio del progetto.
Che il ritorno di fiamma tra le sonorità di Jonny Greenwood, il genio di Daniel Day-Lewis e il talento di Paul Thomas Anderson potesse generare un’opera maestosa era chiaro a tutti, anche prima del triste annuncio del ritiro del fenomenale attore britannico.
E non si può certo dire che le elevatissime aspettative siano state disattese: la pellicola ha ricevuto ben sei nomination agli Oscar 2018 (pur riuscendo a vincere solo quella per i migliori costumi) e ha incantato i critici di tutto il mondo.
Anderson, sempre più focalizzato sulla rappresentazione dettagliata delle zone d’ombra e delle contraddizioni insite nella mente umana, ha ambientato la sua ultima opera nell’aristocrazia di una Londra anni ’50, portando così il suo film a vivere delle stesse liturgie ferree che regolano quegli ambienti.
È proprio nei tempi diluiti di una routine ossessiva e nella fredda eleganza di una casa dominata dal silenzio che si sviluppa la relazione tra Reynolds Woodcock e Alma, la donna senza passato che gli ruba il cuore.
Il regista statunitense, che per la prima volta si è destreggiato meravigliosamente anche come autore della fotografia, ha in questo modo potuto intessere attorno a Daniel Day-Lewis e a Vicky Kieps un’elegantissima storia di Eros e Thanatos, fitta di richiami cinematografici e implicazioni psicologiche.
Malgrado il mancato raggiungimento del quarto Oscar che gli sarebbe valso il record assoluto tra gli interpreti maschili, Day-Lewis ha salutato la Settima Arte con l’eleganza e quella capacità di generare al contempo inquietudine e attrazione che ne hanno contraddistinto l’intera carriera.
Il Filo Nascosto è un film che seduce in ogni suo più piccolo elemento: la redazione di Cinefacts.it, non certo immune al suo fascino, si è fatta ammaliare a tal punto da eleggerlo miglior film del 2018.
Figlio illegittimo del colonnello Kurtz e del tenente Ripley, folgorato sulla via di Dagobah mentre sul chopper di Zed filavo molto karaschò a 88 miglia orarie verso l'Overlook Hotel gestito da HAL9000.
Mi travesto da donna per fuggire da Charles Foster Palantine, con il quale suonavo blues in missione per conto della Tyrell Corporation, ma era tutto Top Secret.
Bevo White Russian, mangio torta di ciliegie stando in Silencio e non vado a letto presto perché canto sotto la pioggia.
Lavoro in TV, canto nei Dymama, sono il Direttore Editoriale di CineFacts.it e non dico mai la parola "morte".
Più vado avanti e più i miei arizzonti si stanno restringendo, ho visto talmente tante cose ripetute allo sfinimanto e spesso usate in film e serie tv senza giusto motivo (tipo zombi, viaggi nel tempo, re artù e soprattutto il dramma perché sì) che ormai ogni anno tiro via qualcosa dalla lista di cose che m'interessano.
Ormai l'unica cosa che considero degna di tempo è il cinema d'intrattenimento che almeno mi fa svagare senza troppe pretese e che ogni tanto riserva vere sorprese (soprattutto per i film disprezzati dal pubblico tipo The Predator, The Meg, Justice Legue, ecc).
Per questo spero che un'iniziativa come Il Re Leone vada in porto, mi piacerebbe un sacco rivedere tanti classici riportati in auge quasi pari a com'erano ma con una grafica rinnovata.
Tipo 2001 Oddisea Nello Spazio ridiretto da Michael Bay... STO SCHERZANDO!
Più o meno: Gilliam è stato in sala quasi un mese e mezzo tra il Romano, il Massimo ed il riaperto Greenwich e quello di Lee due/tre Settimane al Massimo e quasi di sicuro anche all'Ambrosio.
Purtroppo molti cinema hanno scelto di non appoggiarsi più a Google per gli orari quindi ti consiglio di seguire Agenda del Cinema di Torino in cui vengono riassunti tutti gli orari e gli eventi di Torino perchè si rischia di perdersi un filmone perchè non si sa dove lo danno...
Nuriell
5 anni fa
Ormai l'unica cosa che considero degna di tempo è il cinema d'intrattenimento che almeno mi fa svagare senza troppe pretese e che ogni tanto riserva vere sorprese (soprattutto per i film disprezzati dal pubblico tipo The Predator, The Meg, Justice Legue, ecc).
Per questo spero che un'iniziativa come Il Re Leone vada in porto, mi piacerebbe un sacco rivedere tanti classici riportati in auge quasi pari a com'erano ma con una grafica rinnovata.
Tipo 2001 Oddisea Nello Spazio ridiretto da Michael Bay... STO SCHERZANDO!
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Filippo Mariotto
5 anni fa
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Simona Lombardo
5 anni fa
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Simona Lombardo
5 anni fa
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Davide Bimadre
5 anni fa
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Fabrizio Cassandro
5 anni fa
Purtroppo molti cinema hanno scelto di non appoggiarsi più a Google per gli orari quindi ti consiglio di seguire Agenda del Cinema di Torino in cui vengono riassunti tutti gli orari e gli eventi di Torino perchè si rischia di perdersi un filmone perchè non si sa dove lo danno...
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Filippo Mariotto
5 anni fa
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Teo Youssoufian
5 anni fa
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