Vi siete mai chiesti come vengano decisi i colori da utilizzare in una pellicola?
Quella che sembra una scelta dettata dal caso in realtà non lo è.
Sappiamo bene che i cineasti hanno la tendenza a perfezionare e a curare meticolosamente ogni possibile dettaglio di ciò che finirà sul grande schermo.
Per questo motivo, la teoria del colore contribuisce all’avere un approccio ancora più genuino al Cinema col fine di suscitare emozioni e sensazioni precise nello spettatore, dando un’ulteriore chiave di lettura.
[In Inside Out colori ed emozioni vanno a braccetto]
Prima di addentrarci nel discorso dev’essere chiarita una cosa fondamentale: è importante riconoscere che ci siano associazioni convenzionali tra colori e ciò che si vuole mostrare, ma che non sempre queste vengano rispettate in quanto non vi è niente che imponga di utilizzare per forza un colore in un dato modo.
Non vi sono norme, ma pure e semplici linee guida.
Anzi è bene ricordare che spesso, a seconda del film, del regista e/o direttore della fotografia, i significati convenzionali dei colori possano essere sconvolti o modificati per creare approcci sempre più innovativi.
I blockbuster sono espliciti su ciò: si gioca molto sulla “psicologia”, legando più facilmente lo spettatore a ciò che sta guardando anche tramite la scelta del colore.
Per fare un esempio di come sia importante il contesto narrativo, prendiamo i colori primari: il giallo può rappresentare la felicità, la speranza, la positività e, allo stesso tempo, la gelosia, il tradimento, la disonestà; il rosso la passione, l’amore, il desiderio ma anche la rabbia e la violenza; infine, il blu come calma, tranquillità e armonia contrapposto alla depressione e all’annullamento.
[In Matrix c'è una forte prevalenza di verde]
Questi colori, presi singolarmente, possono essere mescolati tra loro creando nuove forme e significati.
Di solito nel Cinema (così come nell’Arte in generale) ci sono vari schemi cromatici che vengono rispettati, di cui i principali sono circa cinque: analoghi, complementari, monocromatici, triade e complementari divergenti.
La seguente Top 8 però non vuole dare una lezione su come usare questi schemi, bensì si basa sul superarli e prendere in esame un ulteriore layer: qual è quel colore che, in un film, dà quel tocco in più e senza il quale sarebbe completamente stravolto?
La risposta che ci siamo dati, come sempre, è una selezione di otto film che possano dare un'idea generale dell'uso dei colori.
Solitamente viene associato alla spiritualità, al misticismo, al soprannaturale, nel Cinema lo si ritrova spesso nella fantascienza e in generale viene usato per definire una situazione o un personaggio fuori dai soliti schemi, laterale, un'eccezione rispetto a quanto lo circonda; basti pensare a esempi noti a tutti come Gene Wilder nei panni di Willy Wonka, a Samuel Jackson in Star Wars, a Jesus Quintana de Il grande Lebowski.
Il colore viola è il colore che mescola il rosso della passione e del pericolo con il blu della meditazione e della tranquillità ed è il titolo del romanzo di Alice Walker alla base del film di Steven Spielberg del 1985. Il film è il primo realmente drammatico diretto dal regista, il primo ancorato alla realtà della Storia, per uno Spielberg quasi quarantenne che in quel momento era già il re di Hollywood, dopo i successi de Lo squalo, E.T. l'extra-terrestre e i primi due capitoli di Indiana Jones.
Celie è una donna afroamericana cresciuta nelle zone rurali del Sud degli Stati Uniti nei primi decenni del secolo scorso, circondata da un mondo crudele: la prima volta che la vediamo è ancora bambina, mentre corre con la sorella in mezzo a dei campi di fiori viola.
Il dramma è dietro l'angolo, perché ci accorgiamo che la piccola Celia è incinta e poco dopo scopriremo che è stato il padre, che darà via il bambino come aveva già fatto in passato: il film affronta la discriminazione razziale, il sessismo, l'emancipazione femminile raccontandoci la crescita di Celia (Whoopi Goldberg), oppressa e maltrattata da un marito violento (Danny Glover).
Il colore viene utilizzato in modo intelligente, passando in secondo piano ma lasciando delle tracce: il racconto passa dalle tonalità cupe e opache del primo atto, che rappresentano la triste esistenza di Celie, a sfumature più luminose e vivaci mentre la storia si evolve, simboleggiando la trasformazione interiore della protagonista.
Il viola appare all'inizio del film e alla fine, quasi a chiudere un cerchio nei 30 anni di vita raccontati nell'opera: una sfumatura di colore così forte e visibile, così protagonista da rimanere impressa nella testa degli spettatori per tutta la durata del film.
Un colore che quando compare sullo schermo ha il sapore di una riconciliazione con se stessi e con il proprio passato.
11 nomination ai Premi Oscar senza vincerne neanche uno: ancora oggi assieme a Due vite, una svolta del 1977 Il colore viola è il film che detiene il record negativo agli Academy Awards: negli USA è appena uscito il nuovo film tratto dal musical, a sua volta tratto dal romanzo, con Taraji P. Henson, Colman Domingo e Halle Bailey, vedremo se avrà lo stesso destino.
Disponibile su Sky e NOW
[a cura di Teo Youssoufian]
Posizione 7
BLU: Heat - La sfida
di Michael Mann, 1995
“Come ho già detto, il cosiddetto blu manniano l’ho inventato io. Perché a Michael piace il verde, ma fui io a suggerirgli il blu in Manhunter”.
(Dante Spinotti in "Michael Mann - Creatore di immagini", di Pier Maria Bocchi)
Il verde per Michael Mann è un colore che inquieta, che si avvicina al nero usato spesso nella pittura espressionista.
La virata cromatica verso il blu a partire da Manhunter e che raggiunge l’apice visivo in Heat - La sfida ha perciò un significato che si lega indelebilmente alla poetica di Michael Mann.
Il regista di Ferrari usa le immagini per determinare il sentimento che lega i propri personaggi l’un l’altro.
Non parliamo quindi di Cinema epidermico à la Adrian Lyne, bensì di immagini usate come infiltrazione viscerale nel pensiero dei corpi che vediamo.
Il blu quindi è figlio di uno stato d’animo che si congiunge al sentimento romantico che traspare lungo il film.
Ma il romanticismo in Heat è malinconico, di chi è consapevole di aver finito il proprio tempo.
Un colore usato come se fosse una sorta di bianco e nero appartenente ai melodrammi del Cinema hollywoodiano classico, che si nutre di una speranza vanificata dall’impossibilità di scelta, dovuta proprio alla tirannia del tempo (uno dei grandi temi del Cinema manniano).
Dopo aver scoperto la terribile violenza fisica e sessuale subita dalla loro amica/fidanzata/ex fidanzata Alex (Monica Bellucci), Marcus (Vincent Cassel) e Pierre (Albert Dupontel) iniziano a cercare ossessivamente l'aggressore per vendicarsi.
Irréversible è da alcuni considerato mero esercizio provocatorio di violenza gratuita, scandalismo e pornografia, e in effetti rimane ancora oggi il film di Gaspar Noéche sconvolge e disturba in misura maggiore.
A influire sulla difficoltà di visione è certamente anche la scelta dei colori: il rosso infatti domina quelle che sono da ritenere le due macrosequenze del film, entrando in contrasto con i toni del giallo e del verde scelti invece per le sequenze minori.
Tradizionalmente associato al sentimento incontrollabile, alla passione e alla sessualità proibita, al controverso e alla brutalità, il rosso colora le inquadrature dell'interminabile piano sequenza dello stupro, ma è anche padrone indiscusso del percorso claustrofobico che trascina Marcus e Pierre verso il raggiungimento della più o meno agognata giustizia privata.
Dunque il realismo traumatico di Noé esprime le sue potenzialità anche a partire dall'utilizzo di tinte cromatiche particolari, dal ricorso al neon e dalla psichedelia delle tonalità sintetiche.
Il risultato, insieme a una regia anarchica e sconnessa, è un'esperienza scioccante e immersiva che cancella il tempo e lo spazio all'esterno, lasciando sprofondare lo spettatore in una condizione di ipnosi costante, faccia a faccia con la bestialità dell'essere umano.
L'immersione di due giovani uomini nella foresta thailandese, alla scoperta della magia, del folklore e, soprattutto della propria identità: così potremmo introdurvi a Tropical Malady.
Un film così fondato sul cambiamento e sulla scoperta di sé e del destino non poteva che essere pervaso dal verde, colore che simboleggia esattamente tali concetti.
L'opera, infatti, narra la storia d'amore tra il soldato Keng e l'umile Tong, è dominata dalle gradazioni di verde della vegetazione e della divisa militaresca del suo protagonista: lo spettatore, avvolto dai ritmi ipnotici dello stile di ApichatpongWeerasethakul è ben presto pervaso dalla sensazione di star compiendo un'esplorazione nella flora tropicale.
Man mano che il verde prende il controllo sulla palette cromatica dell'opera, i personaggi mutano fino quasi a far perdere le proprie tracce all'interno dei quadri e della narrazione.
Tropical Malady ha rappresentato il film della consacrazione internazionale del proprio autore dopo la vittoria del premio Un Certain Regard per Blissfully Yours: il Premio Speciale della Giuria del Festival di Cannes e il primo posto nell'annuale Top 10 dei Cahiers du Cinéma per il 2004 sono stati il perfetto volano per presentare al mondo il Cinema di uno degli autori più importanti e peculiari della sua generazione.
Un cineasta che non ha mai smesso di usare il verde delle foreste per dipingere su schermo storie magiche, di tradizioni e cambiamenti.
Il colore bianco brilla in tutti gli spazi della pellicola.
Nell’arredamento della casa vacanze della famiglia, all’interno della quale i due sadici ragazzi dai visi angelici penetrano, e nella sua struttura esterna in legno; la casa è uno spazio centrale in cui si svolge l’azione del film e la scelta di presentarlo come un luogo asettico è certamente ponderata.
L’altro elemento che rifulge è il vestiario dei due antagonisti: camicia e polo bianco brillante e candidi guanti.
In occidente siamo abituati ad associare questo colore ai valori di innocenza, purezza, verginità, e soprattutto assenza di colpa.
Immacolato, senza macchia è il colore bianco.
Essere disconfermati nei confronti di queste istintive aspettative è precisamente l’obiettivo del regista Michael Haneke.
Funny Games è un film frustrante per la mentalità hollywoodivora occidentale a cui, nel suo stesso statuto di remake, il film è dichiaratamente rivolto. Il film è stato pensato per gli appassionati di film dell’orrore che all'inizio degli anni 2000 vedeva trionfare i sottogeneri splatter e gore.
Ben rappresentativa fu l’espressione torture porn che descriveva la brama voyeuristica degli spettatori nel ricercare dettagli visivamente sempre piu’ fotorealistici e macabri.
Ciò che accade invece in Funny Games è che l’apice della violenza è sempre sistematicamente censurato e tutto il peggio avviene fuori campo, negando in questo modo la catarsi purificatrice delle ansie (anche sociali) che aneliamo e proviamo noi spettatori nel poter finalmente vedere l'atto realizzarsi sullo schermo, a distanza di sicurezza dai nostri corpi.
Di fronte a questo film veniamo dunque disorientati su più fronti e non per ultimo proprio sul piano fotografico e cromatico, posti di fronte alle aspettative suscitate da un viso angelico e dal luminoso candore che avvolge scenografia e costumi di scena.
Funny Games, lo osserviamo fin dall’iconica introduzione, è musica classica e hardcore, il bianco con tocchi di giallo (purezza e allerta), uno schiaffo tirato con guanti immacolati.
Alla disperata ricerca della perfezione, Nina (Natalie Portman), la ballerina protagonista del thriller psicologico di Darren Aronofsky, discende lentamente in una spirale di ossessione, paranoia e psicosi, nel tentativo di realizzare l'interpretazione ideale nella produzione del balletto "Il lago dei cigni", in cui ricopre il ruolo principale.
Raffigurata come una donna innocente, timida e fortemente inibita, Nina lotta per creare la sua versione del “Cigno Nero”, un personaggio conturbante, sensuale e travolgente che, al di là delle sue abilità da ballerina, non riesce a catturare per via della sua natura remissiva.
In un film estremamente allegorico, che fa dell'uso dei colori il veicolo principale del suo simbolismo, il nero rappresenta il percorso della protagonista verso la trasformazione psicologica.
Le atmosfere cupe dominano le sequenze dell’opera cinematografica già dalle prime battute, ma sono in netto contrasto con Nina, che invece viene rappresentata sempre con colori tenui, simbolo della sua purezza in confronto all’ambiente che la circonda.
Con lo svilupparsi della trama, però, a rappresentare il decadimento psicologico della ballerina, il nero si insinua progressivamente anche nei fotogrammi che la vedono protagonista, fino a culminare con la messa in scena del Cigno Nero, in cui Nina tocca il punto più basso nella sua discesa verso la follia.
Disponibile su Disney+
[a cura di Giulia Polidoro]
Posizione 2
GIALLO: Antiporno
di Sion Sono, 2016
Il giallo è una tinta particolare e idiosincratica nella psicologia dei colori: se da un lato è associabile al sole, quindi all'allegria e alla spensieratezza delle stagioni calde - Gioia in Inside Out è gialla, per esempio - dall'altro è sgargiante e visibile, ottimo per segnalare il pericolo.
Una delle letture più interessanti di questo colore è quella che lo colloca come substrato della dicotomia saggezza/follia, due facce di una stessa medaglia: le prospettive ampie di una mente creativa aprono i cancelli di percorsi pericolosi, quelli del disturbo mentale.
Ecco che il giallo contiene all'interno spensieratezza e pericolo, l'assennatezza e il suo contrario.
È proprio nella sua connotazione più ambigua che il giallo tinge la maggior parte delle inquadrature di Antipornodi Sion Sono, film del 2016 in cui il regista nipponico fornisce rilettura in chiave moderna del pinku eiga, filone di pellicole erotico softcore a basso budget molto in voga in Giappone negli anni '60.
Il film, narrativamente frammentato e visivamente psichedelico, si alterna attorno all'interpretazione sopra le righe di Ami Tomite (già protagonista di un altro film del regista di Toyokawa, ovvero Tag).
La giovane è travolta dalla follia perché individua gli schemi soffocanti che la società impone alle donne, si riappropria della propria sessualità ma ne viene anche schiacciata; Eros e Thanatos si scontrano nella sua psiche che si deteriora, si frantuma come l'immagine riflessa negli specchi rotti, si riassorbe in una scenografica camp e nei colori splendenti della vernice.
Si tratta di metacinema allo stato brado: siamo sul set, ma la società benpensante è dentro e fuori, non può sfuggirne la protagonista e nemmeno lo spettatore, costretto a subire il giallo accecante dell'allegria imposta e dell'erotismo come antitesi della pornografia.
Nell’anno di Barbie, non potevamo che assegnare il rosa al film campione d’incassi diretto da Greta Gerwig.
Arrivato nei cinema nel luglio 2023, il lungometraggio sulla bambola più famosa dell’ultimo secolo non ha bisogno di presentazioni.
In un viaggio alla ricerca di sé stessa, Barbie (Margot Robbie), lascia Barbieland, un luogo ideale in cui non esiste il patriarcato e al centro di tutto ci sono, appunto, le Barbie, e approda nel mondo reale, dove dovrà confrontarsi con la dura realtà e le disuguaglianze di genere.
Nella commedia il rosa non è solo una scelta stilistica della regista, il colore è vero e proprio protagonista della pellicola, assumendo un profondo valore simbolico, al punto da diventare tema centrale anche di una canzone della colonna sonora, Pink di Lizzo.
A Barbieland, terra che, almeno per le Barbie, è perfetta, il rosa è ovunque: dipinge le case, le strade, le auto, gli abiti indossati dai personaggi del film e perfino la sabbia della spiaggia.
È nel mondo reale che, invece, sembrano mancare i colori, ma dominano atmosfere più cupe, rappresentative del pessimismo e la disillusione dei protagonisti.
Il contrasto cromatico accompagna anche l’arco evolutivo dei personaggi, raffigurando la contrapposizione tra male (nero) e bene (rosa).
Il rosa è quindi un faro guida, un lieto fine che guida il percorso di Barbie e tutti gli altri protagonisti alla scoperta di sé stessi.
Disponibile per acquisto o noleggio su Prime Video, Apple TV, Rakuten TV, Google Play e Microsoft Store
Andrea Zanini
9 mesi fa
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