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8 seducenti e ipnotici film di fantascienza intimista

E se non sapete cosa sia non vi preoccupate: ve lo spieghiamo noi 

La fantascienza può essere definita come la soluzione artistica a due dei bisogni atavici dell’umanità: da un lato il tentativo di immaginare (fanta) e comprendere (scienza) il futuro che la attende e che retroagisce sulle proccupazioni del presente, dall’altra un’indagine conoscitiva di sé che scaturisce dal rapporto con ciò che è alieno. 

 

Produrre e fruire fantascienza ha sempre significato occuparsi di ciò che è intrinsecamente altro e, con esso, descrivere con maggior profondità l'essenza umana. 

 

Lungo tutto il XVI secolo le esplorazioni mercantili hanno portato gli occidentali a lasciare la terraferma dirigendosi verso il resto del globo. 

Il viaggio oltreoceano moltiplicò i racconti esotici di contatto con le popolazioni native, vere e proprie forme aliene ai loro occhi. Gli occidentali dovettero misurarsi tanto con le distanze spaziali che con quelle antropologiche, i filosofi scrissero saggi sulla dignità delle forme di vita non eurocentriche ridefinendo, al contempo, le basi culturali dei nascenti stati-nazione per tutto il secolo dei lumi.  

 

Da ciò avrà origine un nuovo genere per la letteratura, quello del romanzo fantastico-avventuroso, del quale possiamo citare come rappresentanti illustri I viaggi di Gulliver (1726) e Robinson Crusoe (1719).

Spedizioni in luoghi remoti  e protagonisti soli alle prese con la riscoperta di sé alimentarono la fantasia dei lettori europei.  

 

Lungo il secolo successivo quasi tutti i confini del pianeta erano stati solcati: nacque allora il romanzo scientifico.

Trecento anni dopo Magellano, Jules Verne ci accompagnò in un nuovo Giro del mondo, fino al fondo dei mari e oltre, verso il centro della Terra.  

 

Il Cinema nacque qualche decennio più tardi; George Méliès raccolse l’eredità dello scrittore suo connazionale e segnò il passaggio a una nuova fase del genere fantastico: non più navi che solcavano i mari, ma navicelle che lasciano il pianeta e fluttuano nello spazio. 

 

 

[Viaggio nella Luna, del 1902: un ponte lungo 107 anni collega questo cortometraggio ad Avatar, entrambi accomunati dal genere Avventura/Fantascienza]

 

 

Fra Ottocento e Novecento la concezione della scienza subì una fortissima crisi nei suoi fondamenti; riprendendone il titolo, un libro piuttosto popolare di recente uscita suggerì essere stato quello il momento in cui Abbiamo smesso di capire il mondo.

fantascienza

Le speculazioni sulla Teoria della relatività e la Teoria quantistica erano a tal punto paradossali da assomigliare a una nuova forma di fede o di mitologia; ancora una volta la fantasia e l'immaginazione accompagnarono l'umanità nelle sfide cognitivamente più complesse da affrontare. Parallelamente a ciò lungo tutto il Novecento la filosofia parlò incessantemente della questione della tecnica e del controverso rapporto dell'applicazione delle nuove prese di coscienza scientifiche ridirette a scopo bellico, un tema che tristemente ci accompagna tutt'oggi. 

 

All’esplosione della bomba atomica su Hiroshima la fantascienza conobbe una nuova fase d’oro che durò vent'anni nel segno del lavoro di Philip K. Dick.

 

Si affrontò una nuova fase di scetticismo e spaesamento nei confronti del passato recente e delle sfide a seguire; il clima teso e il tentativo di chiarimento attraverso antiche e forse inattuali forme di diplomazia e dialettica sono stati ben tratteggiati da Stanley Kubrick nel suo Il dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba

 

Il 1982 fu un anno particolarmente significativo per il genere di fantascienza: cinque anni prima Steven Spielberg aveva mostrato l'umanità stretta in un abbraccio solidale a fronte di una comune minaccia nei suoi Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma è con E.T. l'extra-terrestre che viene proposta una nuova forma di escapismo spensierato, che il grande pubblico accoglie in massa. 

Nello stesso anno John Carpenter diede forma con La cosa alla paura di confrontarsi con un essere del quale non sappiamo rappresentarci alcuna immagine razionale, che sfugge a ogni possibile definizione e confronto. 

 

Un anno che si sarebbe detto già ricco per il genere della fantascienza non rinunciò tuttavia proprio alla sua versione intimista e fu rappresentato da Blade Runner.

 

 

[Fotografie e ricordi: la fantascienza e la memoria di chi siamo stati, che definisce la nostra identità di esseri umani]

 

 

Grazie a Ridley Scott tornammo a essere quei mercanti europei approdati sulle coste dell'America Centrale, posti di fronte a una forma antropomorfa che però sfugge alle nostre categorie interpretative e che per contrapposizione ci mette sulla difensiva, ponendoci di fronte alla definizione di noi stessi.

fantascienza

I Replicanti appaiono in tutto simili a noi: dare loro la caccia richiede una giustificazione e questa viene offerta da una nuova definizione di ciò che è umano e che, come tale, vogliamo difendere, siano essi la capacità di provare empatia, traumi e sogni autentici - "sempre che questo sia vivere".

 

Il terzo millennio è stato raggiunto e superato, il progresso tecnologico accelera e si moltiplicano gli orizzonti di un futuro remoto, nei confronti del quale saremo a nostro agio con gli strumenti di oggi e altri che non smettiamo di immaginare colmare i nostri limiti e nutrire i bisogni; l'autocoscienza umana evolve secondo altri ritmi e resta uguale il bisogno che abbiamo di confrontarci con l’arte per specchiarvicisi.

fantascienza

Il Cinema di fantascienza segue senza soluzione di continuità la tradizione letteraria: trovate di seguito 8 specchi che abbiamo selezionato dalla sua Storia per viaggiare sui loro fantasiosi contorni, senza dimenticare di guardarvi attraverso.

 

[Introduzione a cura di Sebastiano Miotti]

 

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Posizione 8

Solaris

di Andrej Tarkovskij, 1972

 

Non esiste cinefilo che non si sia mai imbattuto nel nome di Andrej Tarkovskij e in quello di una delle sue opere più celebri: Solaris.

 

Il film è ispirato all'omonimo romanzo di Stanislaw Lem ma ne è tutt'altro che una trasposizione fedele, tant'è che lo stesso scrittore accusò il regista russo di aver fatto, parafrasando, una trasposizione di Delitto e Castigo e non del suo Solaris: Tarkovskij infatti era dichiaratamente ben poco interessato alla fantascienza e ha lavorato di sottrazione affinché Solaris diventasse un film sull'essere umano e sulle possibili declinazioni dell'inconscio, assottigliando gli elementi tecnologici e futuristici fino a renderli trasparenti.

 

 

Solaris trascende la fantascienza e la adatta alla poetica e all'estetica di un autore che non solo è stato uno dei più grandi registi della storia del Cinema ma anche uno dei più importanti pensatori contemporanei. 

 

La trama parte da dei presupposti semplici: Kris Kelvin è uno psicologo inviato a esaminare lo stato mentale dell’equipaggio - decimato da 85 a due soli astronauti, rimasti in stato confusionario - di una stazione spaziale che orbita intorno al pianeta che dà il titolo al film.

 

 

Il pianeta Solaris si mostra intelligente: agisce con l'ambiente circostante per stabilire una comunicazione con gli estranei; l'immenso oceano che ne ricopre la superficie genera quelle che al principio sembrano allucinazioni, usando come modello i ricordi dell'equipaggio.

Kris non è esente dal fenomeno, tant'è che si troverà a interagire con il simulacro della moglie Hari, deceduta anni prima: la donna è un replicante che diventa sempre più umano. 

 

Nel film la negazione degli elementi della fantascienza si traduce nell'accettazione del mistero: solo abbracciando il caos e negando l'onniscienza del logos è possibile sopravvivere al mistero del proprio inconscio, di fronte a cui ti pone il pianeta Solaris, e il film stesso.

 

 

Nel rapporto tra l'uomo e la Natura si materializza un mistero che fa impazzire l'uomo di scienza che tenta di di afferrarlo; nel rapporto tra l'uomo e se stesso, quindi dell'interiorità come nuovo e labirintico enigma, interferiscono colpa, desiderio e amore.

 

Disponibile su CG Collection (canale Prime Video) e FilmBox+ 

 

[a cura di Lorenza Guerra

 

Posizione 7

Il mondo sul filo

di Rainer Werner Fassbinder, 1973

 

Per chi conosce poco il Cinema di Rainer Werner Fassbinder può essere normale intendere Il mondo sul filo come un'anticipazione contenutistica di opere à la Matrix e/o una ripresa tardiva della caverna platonica.

 

 

Su un altro versante, il film potrebbe essere poi concepito come il sintomo di un orizzonte politico-culturale che avrebbe determinato (deterministicamente) il clima paranoide che invade ogni fotogramma. 

 

In entrambi i casi, tuttavia, si rischierebbe di rendere eccessivamente eteronomo un film che, già collocato in una filmografia riconoscibilissima nonostante l'incombere di più numi tutelari, cerca sempre di parlare altrimenti e di parlare contro.

 

 

Unico confronto con il genere di fantascienza da parte del regista, Il mondo sul filo è un film (per la TV) che si inserisce nel discorso (camp) sul noir e sul melodramma per ragionare sui modelli mediali di rappresentazione e di fruizione e sugli archetipi, senza per questo impiegare la fantascienza in maniera meramente strumentale. 

 

Partendo dal romanzo Simulacron 3 di Daniel F. Galouye, il film è ambientato per la maggiore all'interno di un istituto di ricerca tedesco in cui si sta sviluppando un supercomputer in grado di simulare la realtà, di creare un piano inferiore materialmente dipendente dal superiore.

 

 

Lo snodo drammaturgico centrale è intuibile (e consunto), ma Fassbinder non si limita come suo solito a ricamare attorno a uno schema dai risvolti politici e gnoseologici peraltro discutibili, né insiste riflettendo su quello che Friedrich Nietzsche chiamerebbe il "bisogno metafisico". 

 

Uno dei punti di maggiore interesse del film è la formidabile tensione estetica tra il disordine sovraccarico, il sovra-pensiero, e il geometrismo imposto/impositivo, una tensione riecheggiata tanto in rapporto al filmico quanto al profilmico: il discorso di Fassbinder vive nelle contraddizioni e si appoggia a un metalinguismo che, a differenza di ciò che accade in alcune sue opere precedenti, non appesantisce l'opera.

 

 

Più di tutto, la lettura modernista del Velo di Maya evita la deriva del complottismo cieco e l'abisso del misticismo, facendo intravedere prospettive ideologiche valide anche per il contemporaneo. 

 

Disponibile a noleggio su Chili

 

[a cura di Mattia Gritti]

 

Posizione 6

Sul globo d'argento

di Andrzej Żuławski, 1977

 

Se cercate un'opera di fantascienza in grado di esplorare la natura umana avete trovato uno dei vostri Sacri Graal.

 

Sul globo d'argento di Andrzej Żuławski è un film del tutto unico nella Storia del Cinema, a partire dalla sua travagliata produzione: girato quasi integralmente tra il 1976 e il 1977 e censurato dalle autorità polacche prima che potesse essere completato, ha trovato una compiuta realizzazione e distribuzione solo nel 1988, grazie all'inserimento del commento audio del regista in sostituzione delle sequenze mancanti. 

 

La pellicola rappresenta, in un futuro non meglio precisato, uno sparuto gruppo di esploratori spaziali che lascia un Pianeta Terra ormai distrutto alla ricerca di un nuovo mondo, in cui vivere felici e proliferare. Trovato un pianeta che sembra una copia speculare del nostro, però, gli istinti prendono il sopravvento in maniera pressoché immediata, portando anche sulla nuova terra intolleranze, culti e guerre. 

 

Tra dissolutezza sessuale, figure semi-divine, parabole cristologiche e la riproposizione di dinamiche pervicaci della natura umana, Sul globo d'argento presenta un vortice di eventi che si susseguono in maniera quasi anti-narrativa senza soluzione di continuità: malgrado il torrenziale svolgimento, in oltre 165 minuti di pellicola, al centro dell'opera c'è indiscutibilmente l'intento di mettere a nudo la cruenta fallibilità degli uomini.

Il film mette l'umanità allo specchio, la costringe a misurarsi con i propri difetti inestirpabili, con la propria mostruosità. 

Come spesso avviene nelle opere di fantascienza intimista contenute in questa rassegna, le dimensioni spazio-temporali vengono integralmente distorte, i protagonisti si imbattono in creature dalle fattezze umanoidi che si parano sul loro percorso, la morte è una presenza incombente.

 

Il maestro Andrzej Żuławski, adattando l'omonimo romanzo del suo prozio paterno Jerzy, ha pertanto diretto l'opera come se fosse accecato dallo stesso fervore dei suoi personaggi, lasciando che a un'introduzione dall'impostazione semi-documentaristica facesse seguito il costante uso della macchina a mano, l'uso impattante dei primi piani, una fotografia virata sui toni freddi del blu e del verde e lunghi e intricati dialoghi. 

Un'esplorazione spaziale che sembra portarci dritti all'inferno: in fondo cosa c'è di più intimista che guardare nell'abisso della follia umana e riconoscere la terrificante ciclicità della Storia? 

Il fascino del proibito, l'unicità della messa in scena di Żuławski e la potenza del soggetto sono un trittico di elementi troppo ammalianti per non sedurre chi ama guardare al cielo per comprendere ciò che abbiamo dentro.

 

Un film dal culto maledetto, che rappresenta l'ennesima dimostrazione di come il Cinema dell'Europa orientale degli anni '70 abbia fornito alcune delle più rilevanti opere di fantascienza, pur senza mai avvicinarsi all'immaginario spettacolare proliferato a occidente. 

 

Disponibile su Amazon

 

[a cura di Jacopo Gramegna

 

Posizione 5

Gattaca - La porta dell'universo

di Andrew Niccol, 1997

 

In un futuro nel quale è possibile generare individui geneticamente perfetti, Vincent - concepito tradizionalmente e considerato quindi inferiore - assume l'identità di uno di loro per poter sfuggire a un destino già scritto ed essere ammesso nel prestigioso programma aerospaziale. 

 

 

La rapida ascesa di Vincent verrà però messa a rischio quando la polizia troverà il suo DNA nei pressi della scena di un delitto, iniziando così a sospettare della presenza di un impostore tra i dipendenti dell'accademia di Gattaca.

 

Il debutto alla regia di Andrew Niccol (sceneggiatore di The Truman Show) è uno sci-fi abbastanza atipico e non solo per la mancata presenza di alieni, automi o scenari post apocalittici. 

 

Neanche lo sviluppo tecnologico appare infatti particolarmente distante dal nostro, mentre il tema dei viaggi interstellari viene affrontato e sviscerato senza però mostrarci l'effettiva esplorazione di altri pianeti. 

 

Partendo da una ricerca scientifica votata alla prevenzione di malattie ereditarie e malformazioni congenite, la degenerazione distopica viene qui rappresentata dalla possibilità di personalizzare i propri figli, scegliendone anticipatamente tratti somatici e capacità intellettive allo scopo di favorirli.

 

Chi come Vincent non accetta di giocare una partita truccata è costretto a vivere nell'illegalità, cancellando - letteralmente - le proprie tracce e a mantenere quei membri della classe dominante caduti in disgrazia in cambio di libero accesso al loro prezioso DNA.

 

 

La fantascienza è da sempre uno dei generi maggiormente utilizzati per riflettere criticamente e liberamente sulla modernità e Gattaca, a poco più di un quarto di secolo dalla sua uscita, risulta ancora incredibilmente attuale.

 

Il mondo proposto da Niccol è infatti fortemente classista e caratterizzato da un razzismo sistemico nel quale la discriminazione su base genetica - pur essendo teoricamente vietata - viene di fatto attuata regolarmente, impedendo alle persone nate senza modifiche di accedere alle migliori scuole e costringendole così a svolgere solamente i lavori più umili.

 

 

Il film, sfruttando il pretesto dell'eugenetica, ci mostra però anche le estreme conseguenze di una società governata da una competitività spietata e ossessionata della perfezione, attraverso il punto di vista di Vincent, incapace di accettare la sua presunta inferiorità e pronto a tutto pur di realizzare il proprio sogno.

 

Disponibile su Netflix e TIMVision

 

[a cura di Riccardo Melis]

 

Posizione 4

Moon

di Duncan Jones, 2009

 

È impossibile parlare di fantascienza intimista e non citare Moon, esordio alla regia di Duncan Jones, per dimostrare che non serve per forza un budget immenso per fare un ottimo film.

 

Nonostante sia stato un flop al botteghino il film viene infatti frequentemente citato da appassionati e critici quando si parla del tema. 

 

La pellicola si apre con la pubblicità di Lunar Industries, una società che si occupa di estrarre Elio-3 dalla superfice lunare per portarlo sul pianeta Terra; le estrazioni avvengono sotto la supervisione di Sam Bell (Sam Rockwell), il cui contratto di lavoro ha la durata di circa 3 anni. 

 

Sam vive sulla Luna svolgendo le mansioni che gli sono state affidate ma, pochi giorni prima che il suo contratto termini, subisce un incidente.

 

Quando si risveglia, l’Intelligenza Artificiale GERTY (Kevin Spacey) gli intima di riposarsi e sottoporsi a dei test, anche se sembra che l'uomo non abbia subito alcun danno. 

 

Da quel momento in poi le cose si fanno sempre più complesse e Sam scoprirà una verità terribile su se stesso. 

 

Moon riesce a parlare di molti temi lasciando il giusto spazio all’immaginazione, trovando soluzioni efficaci a livello visivo soprattutto grazie al concept di Gavin Rothery

 

Se da un lato pone quesiti etici sulla validità della vita e su come il singolo individuo sia realmente indispensabile per la società, dall’altro mette in evidenza i bisogni dell’uomo proprio in quanto essere sociale.  

 

Per i primi - evitando gli spoiler - si può dire che Duncan Jones critichi direttamente il modo in cui le multinazionali non si occupino del lavoratore ma solo ed esclusivamente del loro bisogno di forza-lavoro, affinché vi sia massimo profitto con minimi costi.

 

Per i secondi, forse i più interessanti, il regista decide di raccontare come la solitudine tenda a cambiare l’uomo, in positivo o in negativo che sia, progressivamente e dolorosamente, attraverso l’interpretazione magistrale di Sam Rockwell - la cui parte era stata scritta appositamente per lui e non vedeva possibili alternative. 

 

L’unica cosa che rimane da fare, nel caso di Sam, è dunque non dimenticare le proprie emozioni ma, anzi, viverle pienamente affinché alimentino la speranza di tornare a casa e rivedere i propri affetti.  

 

Disponibile a noleggio su AppleTV, Amazon Store, Google Play e Chili

 

[a cura di Eris Celentano

 

Posizione 3

Another Earth

di Mike Cahill, 2011 

 

La scoperta di Terra 2, un pianeta del tutto identico al nostro sempre presente nel cielo blu a vegliare e a condizionare ogni nostra scelta, causerà la rovina di due esistenze ma, al contempo, rappresenterà l'unica occasione per tornare a vivere dopo aver sperimentato il baratro più oscuro. 

 

 

Questo l'assunto di Another Earth, opera prima di Mike Cahill, regista, sceneggiatore, produttore, direttore della fotografia e montatore statunitense che ha edificato l'intera carriera sull'utilizzo del genere fantascientifico come mezzo per scandagliare l'animo umano.

 

In Another Earth, vincitore del premio Alfred P. Sloan al Sundace Film Festival 2011, l'elemento sci-fi è un pretesto per raccontare una storia di annullamento e rinascita, di perdita e riacquisizione; una seconda opportunità travestita da corpo celeste ma, invero, realizzabile esclusivamente attraverso la coesistenza autentica. 

 

 

Terra 2 è allo stesso tempo causa e soluzione indiretta del dramma della protagonista, Rhoda (Brit Marling): scappare su una Terra in cui la sua vita potrebbe aver preso un'altra direzione sembra l'unica via possibile per fuggire da un'esistenza divenuta ormai inautentica, governata dal senso di colpa e dalla paura. 

 

L'elemento fantascientifico è però soltanto un mezzo per ragionare sull'esistenza dell'uomo e sulle sue possibilità, quindi non può rappresentare la soluzione ultima. L'unico modo per salvarsi è quello di salvare

 

 

Che si tratti del nostro doppio su un pianeta gemello o del nostro opposto sulla Terra, è possibile ricominciare solo nel momento in cui si instaura un vincolo, in cui si cerca il contatto con l'altro.

 

L'intuizione della Terra gemella sembra avere degli intenti simili a un altro film uscito nello stesso anno: Melancholia di Lars von Trier.

 

 

Nell'opera del regista danese l'incombere del nuovo pianeta coincide con la progressiva e ineluttabile perdita di ogni speranza da parte del genere umano, lo sguardo di Cahill in Another Earth sembra invece essere più ottimista nel tracciare un elemento fantascientifico che conferisca all'uomo la possibilità di lavorare su se stesso e di espiare il proprio senso di colpa.

 

Disponibile su Disney+

 

[a cura di Nadia Pannone]

 

Posizione 2

High Life

di Claire Denis, 2018 

 

Il genere cinematografico fantascientifico è sempre stato terreno fertile per lo sviluppo di prospettive intimiste, essenzialmente perché mette l’essere umano al centro del difficile rapporto tra contesti macro (l’infinitezza e la vastità dell’universo) e contesti micro (tutto ciò che riguarda l’esistenza di un singolo individuo o di una comunità). 

Il luogo dove si sublima questo confronto non può essere che lo Spazio profondo, dove le due parti sono agli antipodi sia per forma sia per sostanza. 

Lo sa molto bene la regista francese Claire Denis, che sceglie proprio questa ambientazione per High Life, il suo quindicesimo lungometraggio e il primo interamente in lingua inglese.

Nel suo continuo studio della condizione umana l’autrice - assieme allo sceneggiatore e collaboatore di lunga data Jean-Pol Fargeau - immagina il protagonista Monte (Robert Pattinson) e un gruppo di ergastolani in una missione spaziale per estrarre energia da un buco nero. Nel programma di questa spedizione è compreso anche un esperimento sociale e scientifico guidato dalla dotoressa Dibs (Juliette Binoche), volto alla procreazione: si vuole testare la fertilità dei partecipanti nonostante l’esposizione alle continue radiazioni provenienti dall’ambiente circostante, sottoponendoli allo stesso tempo a uno stretto regime in cui ogni tipo di interazione emotiva viene completamente proibita e ogni desiderio sessuale deve essere sfogato in un’apposita stanza.

Successivamente, tutto lo sperma necessario viene raccolto e utilizzato attraverso l'inseminazione artificale con i membri femminili dell’equipaggio. 

High Life si presenta quindi come un’altra prova in cui Denis misura le caratterisitche umane in determinate condizioni, da quelle individuali a quelle sociali.

La sua visione passa soprattutto dal sesso e dalla sessualità, dal corpo e dalle sue funzioni, dalle emozioni e dai sentimenti. 

Anche in questa riproduzione di una società il sesso è strettamente legato al potere: l’unico componente del gruppo che ha accesso al piacere sessuale (in un confine tra scienza e stregoneria) è la dottoressa, detentrice di anestetici o altri oppiacei per placare i dolori della sopravvivenza, vera forma di controllo di tutto l’equipaggio. Gli altri corpi vengono considerati come prede di impulsi sessuali repressi oppure come cavie da laboratorio; il sesso si delinea quindi come l’altra faccia della medaglia della natura umana, quella governata solo dall'impeto, quella più irrazionale e quindi animalesca. 

Come contrappeso a questo aspetto, tuttavia, Claire Denis presenta una funzione biologica: la riproduzione come continuazione della specie, la vita che nasce anche a seguito di quelle determinate pulsioni e istinti. 

D’altro canto, la navicella non è altro che una metafora di un grande grembo materno o comunque di una Madre Terra, se vogliamo, vista la forte presenza naturalistica al suo interno (deliziose le scenografie di François-Renaud Labarthe, storico collaboratore di Olivier Assayas).

Come conseguenza di quest’ulitima componente emerge però un altro lato della condizione umana, negativo o positivo a seconda dei punti di vista: la nascita intesa come Futuro, e l’amore che deriva dalla maternità e/o dalla paternità. In High Life l’essere umano è stato spogliato di qualsivoglia dignità fino alla rivelazione della propria essenza, ma la creazione di una nuova vita si pone prepotentemente come bilanciamento a ogni tipo di autodistruzione, come succede al resto dei membri dell’equipaggio quando capiscono di essere vicini alla propria fine. 

L’amore di un padre per una figlia, infatti, rimette in sesto un equilibrio umano che sembrava ormai perduto. 

 

Disponibile a noleggio su AppleTV

 

[a cura di Jacopo Troise]

 

Posizione 1

Prospect

di Zeek Earl e Chris Caldwell, 2018

 

Cee e suo padre atterrano su un pianeta in cerca di alcuni minerali alieni di grande valore - chiamati Aurelac - che potrebbero garantire una nuova vita.

 

 

La missione sulla carta dovrebbe essere semplice, ma l’incontro con altri esploratori minerà il loro cammino. 

 

Fantascienza e western: due generi che se ibridati con la giusta dose possono creare un immaginario cinematografico dal quale è difficile non venire risucchiati. 

 

Prospect riesce egregiamente in questo mix, dove il budget piuttosto risicato (4 milioni di dollari) diventa il punto di partenza per un world building che fa dell’analogico un punto di forza.

 

Nel film non si ha mai la sensazione di un’asfissia digitale dovuta all’invasione della CGI, bensì il contrario; nonostante infatti il mondo ostile in cui si muovono i personaggi, la voglia di chi guarda è quella di esplorare l’ecosistema, di vivere l’atmosfera western del film. 

 

Il parallelismo con il genere statunitense per eccellenza vien da sé - cercatori d’oro, frontiera da esplorare, incontro fra diverse culture - come per dire che l’avanzare della tecnologia ci porterà ben presto a un regresso umanitario.

 

 

Come spesso accade nella fantascienza intimista, però, il fulcro centrale dell’opera risiede nei rapporti affettivi e non.

 

In Prospect il legame che unisce Cee e l’esploratore Ezra diventa ombelicale, anche oltre la metafora dato che i due per sopravvivere all’inizio sono costretti a camminare usando lo stesso filtro respiratorio.

 

 

Un rapporto che vede Pedro Pascal (Ezra) fare le prove per The Last of Us e The Mandalorian, mostrandoci ancora una volta un personaggio sfaccettato, un secondo padre che con il passare del tempo e dei ruoli sta piano piano diventando anche nostro.  

 

Disponibile su Prime Video 

 

[a cura di Emanuele Antolini]

 



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