Non esiste opera d’arte senza relazione autore-fruitore.
Anche il processo della mediazione dell’oggetto-film è del tutto essenziale.
Per quanto alcuni registi possano sostenere che affinché un film sia rilevante l’autore debba concetrarsi su di sé e sulle sue necessità espressive, questo non significa che anch’essi non riconoscano che è soltanto lo sguardo del pubblico a conferire il valore artistico, che è sempre un valore condiviso e negoziato.
Un film è dunque un’opera personale dove l’intenzione originaria dell’autore deve essere rispettata ad ogni costo nelle sue versioni per il pubblico straniero?
Oppure è innanzitutto un prodotto commerciale che sottostà a necessità comunicative orientate alla sua diffusione come lo sono i canoni grafici utilizzati nelle locandine promozionali?
[Forza e affidabilità, ecco l'impressione emotiva suscitata da questo titolo semplicemente descrittivo: il contrasto cromatico, il font e la composizione della locandina vi si adegueranno]
Il titolo riguarda l'ambito della scelta autoriale originaria e un suo adattamento è dunque meritevole di un’operazione di esegesi filologica? O si tratta di un aspetto che pertiene piuttosto ai professionisti del marketing?
Sulla base di come ci poniamo rispetto a queste domande è possibile stabilire una riflessione attorno al concetto di un buono o un cattivo adattamento italiano del titolo di un film.
Riconosciamo che l'adattamento italiano del titolo di un’opera cinematografica sia stato mal realizzato in due diverse occasioni:
- confrontando la versione italiana di un film direttamente con il titolo originale e osservando uno scostamento netto rispetto alla traduzione letterale;
- soltanto a visione terminata, confrontando il titolo con il contenuto del film o la sua pertinenza rispetto al tenore medio della pellicola da un punto di vista dei temi trattati o dell’impressione emotiva che il titolo tradotto ci suscita.
Il primo caso di cattivo adattamento è certamente chiaro; per meglio comprendere invece l’aspetto dell’impressione emotiva suscitata possiamo prendere ad esempio un ormai archetipico caso di cattivo adattamento: Eternal Sunshine of the Spotless Mind, il film del 2004 di Michel Gondryil cui titolo proviene come noto da un verso di una poesia del 1717 di Alexander Pope.
[Da titoli differenti derivano locandine differenti: un dramma sentimentale da un lato e una commedia disimpegnata dall'altro]
Tale verso suscita un senso di raffinatezza e di ricercatezza culturale e che mal si adatta con l’impressione suscitata dalla versione italiana che è stata scelta.
Se mi lasci ti cancello evoca piuttosto il filone delle commedie romantiche disimpegnate; l’impressione emotiva suscitata da questo adattamento è del tutto forviante rispetto al contenuto effettivo del film.
Terminata questa introduzione, che aveva lo scopo di precisare le forme del dibattito attorno a questo tema, eccovi ora 8 titoli italiani scelti dalla redazione che a nostro avviso mal si adattano all'opera originale.
Frank Costello faccia d'angelo [titolo originale: Le Samouraï]
di Jean-Pierre Melville, 1967
Le Samouraï: un titolo secco, diretto, enigmatico.
Due parole che restituiscono perfettamente l’eleganza del protagonista - d’altronde interpretato da Alain Delon - in un film che mescola il polar francese al noir, generi che Jean-Pierre Melville ha saputo rendere immortali.
Questo bellissimo titolo in italiano è stato adattato con Frank Costello faccia d’angelo.
Perché?
Semplice: il personaggio interpretato da Delon fa di cognome Costello e il suo nome originale (Jef) è stato cambiato in Frank.
Il rimando è quello al noto boss della malavita italoamericana, aspetto che non c’entra nulla con la natura e il lavoro del protagonista, dato che Jef è un sicario che ha fatto della propria solitudine il punto di forza.
Vengono meno anche tutti i rimandi alla filosofia samurai presenti nel film, in favore di un ammiccamento ai gangster-movie.
Un adattamento che si è rivelato un harakiri completo.
Non drammatizziamo... è solo questione di corna [titolo originale: Domicile Conjugal]
di François Truffaut, 1971
François Truffautè stato uno degli autori più bersagliati in termini di traduzioni italiane discutibili.
La peau douce è diventato La calda amante, pur raccontando la storia di un adulterio completamente privo di passione.
Le sirène du Mississippi è stato stravolto in La mia droga si chiama Julie, così come Une belle fille comme moi si è trasformato in Mica scema la ragazza!.
Uno dei casi più clamorosi è stato però Domicile Conjugal, distribuito in Italia con il nome Non drammatizziamo… è solo questione di corna.
Il film, incentrato sulla complicata vita coniugale di una giovane coppia della borghesia parigina e arricchito da due straordinarie interpretazioni - quelle di Jean-Pierre Léaud e Claude Jade - viene deformato a scopo commerciale, tradendo gli intenti originali dell’autore.
Nella versione italiana Domicile Conjugal ha sorprendentemente mutato forma, trasformandosi in quello che ricorda le commedie sexy all’italiana con protagonisti Lino Banfi e Edwige Fenech.
The Ungodly - I senza Dio [titolo originale: Speak of the Devil]
di Raphael Nussbaum, 1989
In una buona parte dei casi il titolo di un film può semplicemente essere descrittivo dei contenuti e la sua traduzione italiana non si discosterà particolarmente dal significato originale.
In altre occasioni, invece, nel nome attribuito all’opera originale vengono utilizzati riferimenti specifici di una cultura come giochi di parole, proverbi o tutto ciò che suscita un impatto comunicativo immediato a uno specifico target linguistico.
È proprio questo il caso di questa commedia-horror, il cui titolo in lingua originale - Speak of the Devil - riprende l'omonima espressione idiomatica inglese.
L’adattamento in lingua italiana risulterà più complesso.
In un caso come questo è bene applicare una forma di traduzione creativa, che abbia come fine quello di ricreare in una nuova lingua target di riferimento il medesimo impatto emotivo che possedeva il testo pensato in originale per il suo pubblico.
Una proposta di migliore adattamento, fedele alle intenzioni originali e in grado di trattenere il tono scanzonato del film, sarebbe potuta essere Parli del diavolo, e...
Il tradimento traduttivo operato sul titolo di Unforgiven - 17° lungometraggio da regista di Clint Eastwood e vincitore del Premio Oscar come Miglior Film - non è eclatante.
Non fa gridare allo scandalo o stracciare le vesti, eppure risulta comunque svilente e grossolano nei confronti di un film che esprime tutt’altro rispetto a quanto promesso da Gli spietati.
Unforgiven (letteralmente: senza perdono) è un racconto mirato a distruggere il mito romantico del vecchio West e ad uccidere l’icona del cowboy come eroe senza macchia e senza paura.
È un affresco decadente di sbandati senza onore, uomini spezzati pieni di rimpianti e peccati immondi: individui che, per l’appunto, non avranno mai l’assoluzione per le malefatte commesse.
Gli spietati suggerisce allo spettatore l’immagine di bounty killer indomiti dalle pistole fumanti e di un western classico: nulla di più lontano dal messaggio proposto dal vecchio Clint con questo film.
Piccoli omicidi tra amici [titolo originale Shallow Grave]
di Danny Boyle, 1994
L'esordio sul grande schermo di Danny Boyle è un thriller con sfumature da black comedy.
Protagonisti tre amici che decidono di liberarsi del corpo del loro nuovo coinquilino - morto di overdose - per spartirsi i suoi soldi, nascosti dentro una valigia.
Shallow Grave fa riferimento alla buca poco profonda scavata per seppellirlo, così come a questo segreto mal celato destinato a rovinarli e innescare una lunga scia di sangue.
Il titolo Piccoli omicidi tra amici, probabilmente una vaga citazione al romanzo Dieci piccoli indiani di Agatha Christie (sua volta liberamente "tradotto" dall'originale And Then There Were None), tende invece a dare più l'idea di una commedia nella quale il tema viene trattato in maniera più leggera.
Se non addirittura demenziale.
Disponibile con pubblicità su VVVVID, Pluto TV e Rakuten TV
Prima ti sposo poi ti rovino [titolo originale: Intolerable Cruelty]
di Joel Coen (2003)
Crudeltà intollerabile.
Semplice, diretto: un titolo che restituisce perfettamente il gioco al massacro tra Miles Massey, ricco avvocato interpetato da George Clooney, e lo spregiudicato personaggio di Catherine Zeta Jones: Marilyn Rexroth.
Un intreccio caustico tutto composto da accordi matrimoniali, inganni, sentimenti infranti e nuove impreviste spinte vitali: per adattare al meglio il titolo, forse, sarebbe bastata un'operazione meno barocca.
Soprattutto considerando l'animo nerissimo del film, firmato da due maestri come i Fratelli Coen.
Prima ti sposo poi ti rovino, invece, oltre a rappresentare un piccolo spoiler sull'andamento del film, ci rimanda al volto più industriale delle rom-com hollywoodiane.
Come un tuono [titolo originale: The place beyond the pines]
di Derek Cianfrance (2012)
Schenectady è una città americana di circa 65000 abitanti nello stato di New York, il suo nome in lingua mohawk significa per l'appunto "il posto dietro (o vicino) alla pianura dei pini".
Non solo una traduzione che mantiene la poesia della lingua dei nativi americani, ma un vero e proprio manifesto del Cinema di Derek Cianfrance: americanità e perifericità.
Un titolo che ci racconta di amori nascosti, margini della società e nerissime ombre che oscurano la vista: un titolo che rende onore al regista americano e allo sceneggiatore Darius Marder.
Poi è arrivato un adattatore, ha sentito un dialogo ("Sai una cosa, Luke? Se guidi come un fulmine, ti schianti come un tuono"), ha visto Ryan Gosling motociclista e forse ha pensato "Perché non estrapolare una bella frase ad effetto che lo faccia sembrare un film sulle corse su due ruote"?
Kubo e la spada magica [titolo originale: Kubo and the Two Strings]
di Travis Knight (2016)
Gli adattamenti italiani nei titoli dei film d’animazione di Laika Studiosnon brillano certo di fantasia.
Tre su cinque presentano all'interno la parola “magico”, sicuramente inserita con la finalità di attirare un giovane pubblico attraverso l’illusorio paradigma secondo il quale un film animato è spesso collegato a un “mondo magico”.
In alcuni casi la parola può risultare superflua, nei casi gravi inappropriata soprattutto associata ad altri elementi: è questo il caso di Kubo e la spada magica.
Nel film sono presenti una spada e un’armatura magiche che rendono possibile il proseguimento dell’avventura di Kubo:entrambi gli strumenti sono tuttavia ben lontani dall’essere un punto cardine.
Senza fare spoiler, si può dire che two strings sarebbe stato necessario mantenerlo non solo perché queste “due stringhe” sono elementi materialmente fondamentali per la risoluzione della storia principale, ma anche per il peso emotivo che possiedono, rappresentando gli affetti più cari al protagonista: quei legami che, attraverso fili indissolubili, superano anche la morte.
Teo Youssoufian
2 anni fa
il titolo italiano credo abbia ucciso il film, che al contrario ritengo sia un gran bel film!
Rispondi
Segnala