Pierfrancesco Favino è universalmente riconosciuto come uno dei nostri attori più bravi e versatili.
Questa giusta considerazione, peraltro, è così radicata da non essere nemmeno rintracciabile nel tempo: non ci è dato conoscere quando nella considerazione generale sia passato dall'essere semplicemente "un bravo attore" all'essere "uno dei più bravi", fino a diventare spesso addirittura "il migliore".
A differenza di altri eccelsi interpreti nostrani come Toni Servillo ed Elio Germano, l'eccellente artista romano è infatti incredibilmente riconoscibile, trasversale, popolare.
Raggiunge tutti, conosce tutti i registri.
[Un grande momento di notorietà recente per Pierfrancesco Favino è stato rappresentato dal suo monologo portato in scena nella vetrina nazional-popolare per eccellenza: il Festival di Sanremo, nel 2019]
Pierfrancesco Favino è presente sui nostri schermi da oltre 30 anni con un'assiduità invidiabile, che trascende la recitazione e lo rende personaggio simbolo dell'Italia a tutto tondo.
Lo abbiamo visto ovunque: in televisione, al cinema, a teatro, nelle pubblicità, su YouTube, nelle vesti di conduttore e addirittura come volto di videoclip musicali.
Insomma: Pierfrancesco Favino è quasi onnipresente nel nostro immaginario.
[Il primo videoclip della carriera di Pierfrancesco Favino: Due Destini dei Tiromancino. Con lui un cast eccellente composto tra gli altri da Valerio Mastandrea, Paola Cortellesi e addirittura Ferzan Özpetek, che lo dirigerà qualche anno dopo in Saturno Contro]
Basta scorrere rapidamente la sua filmografia per rilevare come la sua carriera sia stata costellata di personaggi determinanti per la Storia del nostro Paese.
In televisione ha incarnato Gino Bartali, Giuseppe Di Vittorio e Giorgio Ambrosoli.
Al cinema si è calato nei panni di Giuseppe Pinelli, Tommaso Buscetta e Bettino Craxi.
Il suo volto è stato quello scelto per dar vita a personaggi-simulacro ispirati a eventi reali: uno dei boss fondatori della Banda della Magliana, un ministro privo di scrupoli, un vice-questore sfuggito a un attentato.
Si è persino profuso in un divertito sforzo vocale doppiando una statua di Giuseppe Garibaldi ne Il comandante e la cicogna.
Volendo ampliare l'analisi noteremmo come abbia preso parte a produzione dedicate in senso assoluto a una serie di eventi e personaggi chiave del "sentirsi italiani": le tristi sorti di GiovanniFalcone e Paolo Borsellino, le vite di Padre Pio ed Enzo Ferrari, la battaglia di El Alamein.
E ancora, ha ripreso il ruolo che fu di Vittorio De Sica in una versione televisiva de Il generaleDella Rovere ed è stato tra i primissimi attori italiani a collaborare con Netflix, interpretando il padre di Marco Polo nell'omonima serie televisiva.
[Una delle migliori prove televisive di Pierfrancesco Favino: Giorgio Ambrosoli in Qualunque cosa succeda]
Non a caso gli autori di Boris, ormai oltre un decennio fa, tirarono fuori una delle più famose citazioni dell'intera serie, prendendo proprio a riferimento questo eccelso interprete romano:
"'Na vorta ce stavano i ruoli pe' li attori, adesso 'i fa tutti Favino"
In qualche modo, nell'esagerazione grottesca della serie TV, la frase conserva un suo alone di veridicità: Pierfrancesco Favino è infatti un attore estremamente popolare, pertanto spendibile in diversi contesti, ma è al contempo un interprete dalle possibilità espressive illimitate.
Si tratta ormai di una faccia dotata della perfetta sintesi tra una riconoscibilità assoluta, quasi da star system, su cui costruire interi progetti, e una plasmabilità recitativa totale, di piena dedizione.
Si cala in ogni contesto narrativo con grande acume, cogliendo sempre una sfumatura in grado di impreziosire il suo personaggio e l'opera in generale.
Se c'è bisogno di dare un viso all'Italia o all'italianità, è a lui che si pensa.
[Silvio Soldini in Cosa voglio di più ha portato a uno dei suoi apici una nuance della presenza scenica di Pierfrancesco Favino: il suo lato al contempo romantico e passionale, che è emerso più volte negli anni]
Non male per un attore che, qualche anno fa, ha dichiarato di essere stato "cane come pochi" nei primissimi anni della sua carriera: quel giovane che si è mostrato all'Italia per la prima volta nel lontano 1991 con il film TV Una questione privata di Alberto Negrin ne ha fatta di strada.
Approdato al grande schermo con Pugili di Lino Capolicchio solo nel 1995, ha collaborato molto presto con due grandissimi nomi del nostro Cinema come Marco Bellocchio e Luigi Magni (ne Il principe di Homburg e La carbonara), ha raggiunto la notorietà nel 2001 con L'ultimo bacio di Gabriele Muccino, regista che per quanto resti in grado di polarizzare le opinioni ha senz'altro rappresentato una collaborazione in grado di incidere nelle carriere degli attori che ha diretto.
Non a caso Pierfrancesco Favino tornerà a recitare per lui anche in Baciami ancora, A casa tutti bene e ne Gli anni più belli.
Nel mentre l'attore ha inanellato un crescere continuo di collaborazioni importanti, tra le quali spiccano senz'altro quelle con Giuseppe Tornatore ne La sconosciuta e con Giuliano Montaldo ne L'industriale e ha anche intrapreso una - per ora - sporadica carriera da produttore nel 2014, quando ha prodotto ed è stato protagonista, dopo essere ingrassato 20 chili per la parte, di Senza nessuna pietà di Michele Alhaique.
Il tutto senza mai smettere di concedersi incursioni nella commedia e nel comico puro, spesso portandosi sulle spalle interi film non sempre perfetti con delle prove sempre piene di spunti di interesse.
[Nel corso della sua carriera Pierfrancesco Favino ha recitato anche per Carlo Verdone in Posti in piedi in paradiso: l'ennesima investitura per l'attore romano, data la ben nota dovizia con cui "Sor Carletto" sceglie i suoi collaboratori]
Piano piano Pierfrancesco Favino è diventato anche il perfetto compromesso tra l'italianità e l'internazionalità: potremmo simpaticamente definirlo "uno dei nostri prodotti meglio esportati all'estero".
Un uomo ormai entrato in maniera tanto radicata nel nosto tessuto connettivo da essere diventato anche un perfetto simbolo all'estero: è stato Cristoforo Colombo in Una notte al museo, Cley Regazzoni inRush e si è ormai perso il conto delle produzioni internazionali di ogni genere a cui ha preso parte.
Le cronache di Narnia - Il principe Caspian, Miracolo a Sant'Anna, Angeli e Demoni, World War Z, Rachel, Il ricevitore è la spia sono le tappe internazionali che l'hanno condotto al recente Promises, in cui è per la prima volta protagonista in una produzione non italiana e ha impressionato con una prova in un inglese pulitissimo e denso di sfumature recitative.
[Promises di Amanda Sthers è la prima prova estera da protagonista di Pierfrancesco Favino: vista la qualità dell'interpretazione potrebbe non essere l'unica]
Nel pieno di una carriera - ad oggi - scandita da 34 premi e 21 nomination, tra cui spiccano senz'altro una Coppa Volpi, 3 David di Donatello e 5 Nastri d'argento, e in attesa di conoscere i suoi prossimi lavori, cerchiamo di ricostruire quali siano state fino a questo punto le migliori prove attoriali di Pierfrancesco Favino.
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Tratto dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, Suburra è un film dal cast corale e dalle storie attigue, che si intersecano delineando i confini e i rapporti di forza tra stato e criminalità, mai come in quest'opera speculari forme di esercizio del potere e del sopruso.
Il personaggio di Pierfrancesco Favino, l'onorevole Malgradi, altro non è dunque che una delle facce più bieche e subdole di quel domino: intrattiene rapporti con la criminalità, ha amicizie losche, è pieno di vizi che lo portano a macchiarsi di crimini.
Le sue malefatte, però, sembrano quasi scomparire nella Roma dipinta nell'opera: una capitale sull'orlo dell'apocalisse, in cui tanto il governo italiano quanto lo Stato Vaticano stanno per conoscere la fine delle proprie rispettive stagioni.
L'interpretazione fornita dall'attore romano deve, pertanto, restituire l'ambivalenza di un personaggio perfettamente a suo agio nella trasgressione, man mano in affanno mentre la vicenda si dipana, emotivo solo quando schiacciato dalla gravità delle situazioni in cui versa ciascun ambito della propria vita.
Pierfrancesco Favino riesce dunque con maestria in un compito non banale, impreziosendo l'opera seconda di Sollima con un personaggio che gli vale una nomination ai Nastri d'argento come Migliore Attore Protagonista.
Disponibile su Netflix, Prime Video e RaiPlay
Posizione 7
Giuseppe Pinelliin Romanzo di una strage
di Marco Tullio Giordana (2012)
Primo dei personaggi storici in questa lista, il Giuseppe Pinelli di Pierfrancesco Favino è un personaggio fortemente tratteggiato in sottrazione.
Romanzo di una strage, film di Marco Tullio Giordana sull'attentato di Piazza Fontana, è un film dominato da grigi e da interpretazioni cupe, tra le quali spicca senz'altro quella di un Favino che per questa prova si aggiudicò il David di Donatello come Migliore Attore non Protagonista.
Liberamente tratta dal libro Il segreto di piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli, l'opera è un puzzle di personaggi, eventi reali e ricostruzioni fittizie su uno degli eventi più traumatici della Storia repubblicana e sulle sue immediate conseguenze, tra le quali vi è senz'altro il triste destino dell'anarchico Pinelli.
La più grande finezza della prova di Pierfrancesco Favino sta nel restituirci il vissuto del personaggio senza aver bisogno di una grande comunicazione verbale: il linguaggio del corpo, il modo in cui si appoggia stanco, il tono delle poche battute che si ritrova a pronunciare, quel velo di rassegnazione a un clima socio-politico infausto che è possibile cogliere negli occhi del personaggio rendono questa interpretazione dell'attore romano una delle più riuscite performance "di supporto" prodotte in un'opera italiana in tempi recenti.
La cura dell'accento meneghino è, poi, come al solito perfettamente studiata da un attore ormai pienamente padrone delle modulazioni della propria recitazione: le pause del suo personaggio valgono tanto quanto i rarissimi momenti di fervore a cui può abbandonarsi.
Disponibile su Sky e NOW
Posizione 6
Celerino "Cobra" in A.C.A.B. - All Cops Are Bastards
di Stefano Sollima (2012)
A.C.A.B. - All Cops Are Bastards, film d'esordio di Stefano Sollima tratto dall'omonimo libro di Carlo Bonini, è ribollente di tensioni, così come il suo protagonista.
Il celerino "Cobra" interpretato da Pierfrancesco Favino è un agente della polizia di chiara fede neofascista, ossessionato dalla "fratellanza" con gli altri poliziotti, con la difesa dell'Italia dagli invasori e parecchio incline alla violenza sul lavoro.
Al contrario di quel che il suo identikit potrebbe dirvi, però, la sua rappresentazione scenica è molto ben studiata dall'attore romano che, anziché lasciar emergere questo cocktail corrosivo sulla superficie del suo volto abbandonandosi a facili momenti di overacting a denti digrignati, sceglie una via più cerebrale per interpretare un personaggio così subdolo e abbietto.
La sceneggiatura, peraltro, suggerisce chiaramente come "Cobra" sia convinto di essere un agente in grado di mettere l'uso del proprio cervello dinnanzi a quello della violenza bruta, assunto puntualmente smentito dalle sue azioni, ma non dalle sue espressioni.
Pur conservando un volto serio, rigido e rabbioso per l'intero film, Pierfrancesco Favino è in grado di far filtrare momenti di abbandono dietro gli occhi vitrei del suo personaggio mentre ricorda gli eventi della scuola Diaz o mentre si perde nella preoccupazione per il processo per aggressione a suo carico, inframezzandoli con pochi exploit scomposti ma ridotti nella propria durata.
Disponibile su Netflix
Posizione 5
Cesare Rocchi "il Libanese"in Romanzo Criminale
di Michele Placido (2005)
Se esistesse un "Bonini & De Cataldo Universe" sui mali che affliggono Roma, Pierfrancesco Favino ne sarebbe la star assoluta, questo è un dato di fatto.
Il film che ci ha dato la certezza di questo assunto è Romanzo Criminale, tratto dall'ominimo romanzo di De Cataldo, in cui Favino interpreta Cesare Rocchi, detto "il Libanese", la trasfigurazione romanzata di Franco Giuseppucci detto "Er Fornaretto" o "Er Negro", uno dei membri originari della temutissima Banda della Magliana.
L'opera di Michele Placido è divenuta ben presto un caso critico, diventando uno dei capostipiti del ritrovato interesse verso il Cinema di stampo gangsteristico in Italia.
Malgrado l'importanza del ruolo Favino non dispone di un ampio screen time, ma fornisce una prova d'eccellenza all'interno di un cast in grandissima forma, vincendo un David di Donatello come Migliore Attore Protagonista e condividendo un Nastro d'argento come Migliore Attore Protagonista con i colleghi Claudio Santamaria e Kim Rossi Stuart.
Ancora una volta, oltre all'estremizzazione del suo accento romano, il lavoro di Pierfrancesco Favino è del tutto incentrato sulla gestualità del boss: la spavalderia affamata e priva di grandi orpelli inizialmente, la zoppìa sofferta dopo, la discesa nell'oblio graduale sotto il peso dei tentativi di tenere in piedi una banda sul perenne orlo del disgregamento.
Disponibile su Netflix, Prime Video, Sky e NOW
Posizione 4
Felicein Nostalgia
di Mario Martone (2022)
Un attore romano come protagonista di un film in cui Napoli e la nostalgia per la città partenopea ricoprono un ruolo del tutto dominante: vi sembra una cattiva scelta?
Nostalgia di Mario Martone, tratto dall'omonimo romanzo di Ermanno Rea, ci fornisce una risposta sorprendente.
Pierfrancesco Favino è ormai padrone di ogni lingua che si ritrovi a dover imparare per il grande schermo: in quest'opera deve addirittura fare un solido uso dell'arabo e fingere di dover imparare nuovamente l'italiano, prima di cimentarsi con il napoletano.
Nel mentre, deve essere travolto da un vortice di ricordi e rimorsi per un passato che lo ha visto scappare dalla sua città, dalla sua famiglia, dalle sue amicizie per crescere e creare il proprio piccolo impero altrove.
Il suo Felice è, pertanto, un uomo sospeso: senza una vera casa, senza una reale famiglia, i suoi occhi sembrano perennemente carichi di lacrime mai scese, i suoi gesti sono molto più insicuri di quel che dovrebbero essere per un uomo con la sua posizione sociale, ogni sua esternazione sembra nascondere il peso di un segreto.
Per questa prova si dice abbia sfiorato il Prix d'interprétation masculine alFestival di Cannes, andato poi a Song Kang-ho per la sua interpretazione ne Le buone stelle - Broker.
Poco importa: ormai Pierfrancesco Favino è un nome noto del panorama festivaliero, a prescindere dai riconoscimenti.
Poc'anzi si parlava di Festival e premi: il più importante riconoscimento della carriera di Pierfrancesco Favino è arrivato nel 2020 alla Mostra del Cinema di Venezia, quando è stato premiato con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile.
Il soggetto di Padrenostro è ispirato a un vero attentato subito dal padre del regista Claudio Noce, il vicequestore Alfonso Noce, da parte dei Nuclei Armati Proletari, in cui persero la vita il poliziotto Prisco Palumbo e il terrorista Martino Zicchitella
Il film, però, sotto una superficie da thriller nasconde un dramma di formazione puro, incentrato sui rapporti tra il giovane Valerio Le Rose, il suo amico Christian e suo padre Alfonso, interpretato da un Favino che dell'opera è anche produttore.
Alfonso Le Rose è un uomo di giustizia, ovviamente di origine meridionale, degli anni '70, come quelli di cui sono piene le nostre pagine di giornale, i nostri libri di storia e anche i nostri film del periodo.
In quest'opera, però, Pierfrancesco Favino ha un interlocutore fondamentale, che ne sublima perfettamente la prova: la sua stessa assenza.
Complice un primo atto in cui il protagonista è il piccolo Valerio e di suo padre percepiamo solo la presenza, lo spettatore brama la comparsa in scena dell'attore romano e trova, pertanto, importante e solenne ogni suo gesto.
Favino, come ormai ci ha abituati a fare, non accentua però questa necessità, non carica troppo la parlata calabrese, non si ammanta di orpelli: resta asciutto ed efficace, in perfetto equilibrio tra la figura istituzionale e la bonarietà paterna.
Disponibile a noleggio su Chili e AppleTV
Posizione 2
Bettino Craxiin Hammamet
di Gianni Amelio (2020)
Quando un interprete è costretto a nascondersi dietro un trucco pesantissimo al punto di scomparire, il rischio di scadere nella mimesi e perdere il tratto interpretativo è sempre dietro l'angolo.
In Hammamet di Gianni Amelio, però, Pierfrancesco Favino aggira l'insidia con grande classe donandoci una prova dallo spessore monumentale.
Dopo aver collaborato con l'autore calabrese nel 2004 in Le chiavi di casa con un ruolo di supporto, Favino si è mostrato più pronto che mai a interpretare un ruolo dal peso specifico enorme come quello di Bettino Craxi, in un film in cui il nome dell'ex presidente del Consiglio e leader socialista non è neanche mai citato.
Un po' come Padrenostro anche Hammamet è una storia di relazioni-fantasma, ma in questo caso l'idea metafisica si estende all'intera sceneggiatura rendendo il film sull'esilio tunisino di Craxi un coacervo di momenti simbolici e personaggi fittizi.
In questo contesto, l'elemento di massimo realismo e sovrapponibilità a una figura nota è proprio Pierfrancesco Favino, riconoscibile solo mediante alcuni guizzi dei suoi occhi, dietro la maschera perfetta di "B", così come viene identificato il protagonista del film.
La parlata ampollosa, formale e talvolta auto-compiaciuta, l'ironia sul limitar del sarcasmo, la camminata spavalda prima e appesantita poi sono tutte screziature che impreziosiscono una prova al contempo fisica e vocale, talvolta rabbiosa, talaltra lirica.
Disponibile su Netflix
Posizione 1
Tommaso Buscettane Il traditore
di Marco Bellocchio (2019)
Più di una volta nel corso delle interviste promozionali de Il traditore, Pierfrancesco Favino ha dichiarato che l'elemento di maggiore difficoltà e interesse per l'interpretazione di Buscetta è stata quella di coglierne lo spirito malgrado non avesse un vero riferimento facciale perché "Buscetta ha dedicato la propria intera vita a cambiare faccia".
La grandezza della prova risiede proprio nella totale capacità di plasmare le incoerenze e l'inafferrabilità del più noto collaboratore di giustizia della sua epoca.
Sul resto, come al solito, non si può che restare strabiliati dall'assoluta padronanza dell'attore romano: in quest'opera deve cimentarsi con il siciliano e il portoghese ma, più che mai, sono le reticenze, gli errori espressivi e i cambi di atteggiamento del personaggio a segnarne la grandezza.
La parabola di Tommaso Buscetta in questo film tocca praticamente ogni punto immaginabile della sfera emotiva dell'essere umano: passa dall'essere un re al doversi nascondere, dal dolore per la perdita dei figli al mostrare remissività e rispetto nei confronti di Giovanni Falcone, si ritrova a essere torturato e a dover sopportare l'umiliazione pubblica di una deposizione incongruente.
Come il vero Buscetta, il suo traditore ha mille facce: complice la direzione illuminata di un Marco Bellocchio con cui è tornato a collaborare dopo oltre 20 anni, Pierfrancesco Favino regala una prova indimenticabile che gli vale un David di Donatello e un Nastro d'argento come Migliore Attore Protagonista, facendogli sfiorare per la prima volta la palma di miglior attore a Cannes, finita poi tra le mani di Antonio Banderas per Dolor y Gloria.
Poco importa, però: questa interpretazione di Pierfrancesco Favino è già nell'Olimpo del nostro Cinema.
Classe'96. Ex cestista a livello giovanile e minors ed ex Parlamentare Regionale dei giovani in Puglia, laureato prima in Giurisprudenza d'Impresa e poi in Scienze Economiche.
Pervenuto criticamente alla cinefilia, studioso di tattica sportiva, telecronista e opinionista, nutre una passione viscerale per i racconti che gravitano attorno ai campi da gioco e ai set cinematografici.
Innamorato della New Hollywood, degli attori di metodo e dei piani sequenza.
Ma non solo: attratto magneticamente da tutte le meravigliose diversità che il cinema può raccontare.
Redattore presso Cinefacts.it, curatore della rubrica Good & Bad