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8 motivi per cui Boris è una serie TV imperdibile

Perché la "fuoriserie" italiana è ancora oggi a distanza di 15 anni un unicum nella produzione televisiva italiana 

Quindici anni fa usciva la prima stagione di Boris e mai sottotitolo fu più profetico. 

 

La "fuoriserie italiana" è stata infatti un notevole passo avanti per la produzione televisiva italiana che proprio in quegli anni, dopo un lungo periodo di stagnazione, si stava muovendo verso una direzione più internazionale e moderna, aprendosi al primo boom dei prodotti seriali internazionali.

 

Non è un caso che nel giro di pochissimo siano arrivate in Italia le prime stagioni di Lost, The WireDesperate Housewives (tutte nel 2005) e che pochi anni dopo sia uscita Romanzo Criminale (2008), diretta da Stefano Sollima e primo vero e proprio caso seriale tutto italiano.

 

 

[Una delle tante guest star (Cecilia Dazzi) di Boris insieme a Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti) e René Ferretti (Francesco Pannofino)]

 

  

Questo periodo d'oro della distribuzione delle serie TV in Italia, arrivato dopo i primi grandi casi isolati degli anni '90, raccontava un panorama televisivo e un mondo che stavano completamente cambiando: la fruizione nelle reti generaliste stava venendo contaminata dal mondo online fatto di forum, casi internazionali, sottotitoli e streaming. 

 

Una vera e propria rivoluzione che ci ha portato dai telefilm al mondo delle serie TV odierne. 

 

Così come Lost è stato un vero e proprio case study del cambiamento della promozione e della distribuzione di una serie TV su scala internazionale, allo stesso modo Boris è stato un piccolo esempio di rivoluzione, come ci racconta Marta Bertolini di Fox (primo canale su cui è stata mandata la fuoriserie italiana):

"Boris fu vittima, o forse è stata la sua fortuna, della pirateria.

 

Diciamocelo: Boris su Fox lo guardava pochissima gente ed è diventato un culto grazie al passaparola e alla pirateria."

 

Una serie incapace di catturare il - poco - pubblico di una piattaforma satellitare come Fox, ma che viene poco a poco riscoperta e apprezzata anche grazie allo streaming, al passaparola e alla sua capacità di essere iconica. 

Può sembrare un'era geologica fa, ma Boris ci stava indicando una via che oggi ci sembra sempre più consolidata e inalienabile per ogni prodotto mediale.

 

Un vero e proprio cambio di paradigma che ha investito tutto il mondo audiovisivo e che ancora si studia nei corsi di transmedialità e di teoria dei media.

 

 

[René e Itala (Roberta Fiorentini, scomparsa il 23 ottobre 2019) al monitor]

 

 

La serie di Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico e Mattia Torre è allo stesso tempo un segno del cambiamento che la serialità ha subito e uno spietato racconto del suo stesso mondo: Boris infatti è sia il primo caso di showrunner italiani, ma anche - e forse soprattutto - una fotografia amara e senza speranze sul sistema produttivo nostrano.

 

La serie racconta le vicende di Alessandro, giovane stagista sul set de Gli occhi del cuore, fiction in stile medical drama diretta da René Ferretti.

 

Se però all'inizio Boris sembra vertere molto sull'adattamento del suo protagonista al mondo sgangherato delle produzioni televisive italiane, ben presto il racconto diventa a tutti gli effetti corale e le vicende di produttori, attori, registi, sceneggiatori e membri della troupe si intrecciano tra di loro.

 

[Alcuni estratti di una serata in occasione dei 10 anni di Boris a Torino, grazie al festival Sotto18]

 

 

Un vero esempio di scrittura di un microcosmo più che del semplice percorso di un unico personaggio, tanto che Alessandro diventerà ben presto una delle tante voci narranti di insuccessi, magheggi e compromessi senza alcuna preminenza sulle altre.

 

Raccontata così Boris può sembrare una tragedia o al massimo un racconto amaro à la Effetto Notte, ma la serie dei tre showrunner italiani è un vero e proprio concentrato di comicità tra scrittura finissima e spazi in cui far interagire alcuni attori e comici di primissimo livello.

 

Una zona franca in cui attori di estrazioni estremamente diverse e varie tipologie di comicità si incontrano.

 

Questo la rende un prodotto capace di rimanere impresso anche in uno spettatore che non conosce quel mondo produttivo, diventando così non solo una serie di culto per una nicchia di filmmaker e aspiranti tali, ma un vero e proprio esempio di trasversalità in cui ogni spettatore potrà ritrovare - a seconda del suo livello di interesse - qualcosa di attrattivo e capace di intrattenere.

 

Ecco otto motivi, ma sicuramente se ne potrebbero citare altri, per cui ancora oggi Boris è un prodotto imprescindibile, capace di catturare costantemente nuove porzioni di pubblico e di rimanere allo stesso tempo una serie di culto e un punto nodale della Storia dei media audiovisivi nostrani.

 

E non solo.

 

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Posizione 8

Showrunning

 

La prima grande innovazione di Boris è stata l'essere uno dei pochi - se non il primo - grande esempio di showrunning in Italia.

 

Come ci insegnano i grandi capolavori della serialità come Breaking Bad o I Soprano, la riuscita di un racconto audiovisivo a puntate deriva in grandissima parte dalla capacità di tenere insieme le fila: proprio in quest'ottica si è andata configurando la figura dello showrunner

Non per forza la persona che scrive ogni episodio, né quella che li dirige, ma la mente dietro a tutta l'evoluzione della serie.

 

Vendruscolo, Torre e Ciarrapico in Boris non sono solo l'alter-ego degli sceneggiatori cani o i registi televisivi di alcune delle puntate, ma veri e propri factotum capaci di tenere insieme lo stile, la regia, la comicità e soprattutto la coerenza di tutta la serie: dal primo secondo del pilota provvisorio all'ultimo titolo di coda del film (e si spera anche della futura quarta stagione).

 

Un terzetto che, come Vince Gilligan o J.J. Abrams, è stato capace di dare una direzione a Boris talmente unitaria da far percepire allo spettatore la fuoriserie italiana come un corpo unico e inscindibile, caratterizzato da un tono che mischia la tragedia di un mondo marcio a un acume comico unico. 

 

Questo aspetto si è notato moltissimo nella produzione della quarta stagione: nonostante tutti la chiedessero a gran voce - attori inclusi - i tre autori di Boris sono rimasti fermi nella loro posizione:

"Finché non avremo qualcosa di nuovo da dire in questo universo non la faremo" e così speriamo sia andata. 

 

La profonda idea unitaria alle spalle delle serie sorregge perfettamente un impianto narrativo che cambia in corso d'opera: se prima - come abbiamo già detto nell'introduzione - i protagonisti sono facilmente riconoscibili, poco a poco Boris diventa sempre più un microcosmo in cui si muovono personaggi e comparse.

 

In questo racconto ogni dettaglio risulta perfettamente orchestrato: altro che la piccola bambina che parla solo con Nando Martellone

 

Posizione 7

Una fotografia amara

 

In un panorama normalizzante e accogliente come quello comico-televisivo italiano Boris è stato uno dei pochissimi esempi di violenza verso lo spettatore. 

 

Infatti la fuoriserie italiana viene sì ricordata come un prodotto genuinamente divertente, ma in realtà mette lo spettatore davanti a un'impietosa realtà senza alcuna via di fuga.

 

Questa negatività è avvalorata dal fatto che Vendruscolo, Ciarrapico e Torre - così come tutto il cast - stiano parlando di un mondo che conoscono perfettamente e di cui continuano a far parte.

 

Un concetto perfettamente figlio dell'epoca in cui Boris è stata scritta: un'Italia che sembrava arrovellarsi sui suoi problemi senza aver alcuna via di fuga se non la rassegnazione di "fare merda" ed in cui ogni tentativo di fare una "serie nuova e diversa" come Medical Dimension portava all'ennesima Gli occhi del cuore.

 

Per quanto grottesco, Boris racconta una televisione fatta di sfruttamento, agganci, magheggi e sotterfugi in cui è assolutamente impossibile cambiare qualcosa. Un mondo in cui ogni colpo di coda viene riassorbito e inglobato nel torpore generale senza alcuna speranza. 

 

Come tanti grandi esempi di serie comedy - il collegamento con The Office viene immediato, ma non è sicuramente l'unico - Boris fa ridere mentre racconta una tragedia che si affaccia tra le pieghe della commedia: lo sguardo sognante di un giovane stagista che sbatte sulla realtà sconfortante a cui dovrà abituarsi, il regista intorpidito che pur provando a cambiare qualcosa ritorna sul solito canovaccio e la rassegnazione di una routine inscalfibile.

 

Nonostante sia un prodotto che è stato capace di raggiungere un pubblico ampissimo, Boris è infatti una vera e propria denuncia del sistema televisivo fatto di "merda, locura e smarmellamenti". 

 

Non è un caso che gli stessi showrunner, quando è stato chiesto loro perché non avessero ancora fatto una quarta stagione sull'onda del successo postumo di Boris, abbiano risposto a più riprese che ciò che avevano raccontato era ancora troppo attuale perché ci fosse qualcosa da aggiungere.

 

Posizione 6

La comicità

 

Se da un lato Boris è stata un'impietosa fotografia della produzione audiovisiva nostrana, dall'altra è una serie capace come pochissime altre in Italia di entrare nel cuore del pubblico per la sua comicità dirompente e soprattutto per la sua iconicità. 

 

Tutti i fan della serie - ma ancora di più chi si sia mai trovato su un set italiano - sanno benissimo quanto alcune delle citazioni di Boris siano entrate in pianta stabile nell'uso comune.

 

Da "smarmellare" a "la qualità c'ha rotto il cazzo", da "daidaidai" a "troppo italiano" passando per la famosa frase di Stanis La Rochelle su Stanley Kubrick, la locura, il gioieiere a decine di altri esempi che tutti abbiamo perfettamente in mente.

 

Un sintomo di come Boris sia stata in grado di entrare nell'immaginario comune in maniera trasversale attraverso una comicità sagace, impietosa e amara.

 

Non solo il pubblico interessato a quel mondo, ma tutta la platea televisiva italiana ha assorbito i picchi di un contesto comico capace di unire grande scrittura a eccezionali menti della risata (a partire da due dei fratelli Guzzanti, passando per Ninni Bruschetta, Francesco PannofinoPaolo Calabresi e tanti altri).

 

Questo ci racconta molto dei due binari che la serie porta avanti: da un lato la scrittura dei tre autori e dall'altro un impianto di ottimi interpreti messi in uno spazio in cui poter dar sfogo liberamente alla propria comicità: gli esempi di improvvisazione sono infatti moltissimi.

 

 

La formula ci riporta a un altro grande esempio di comicità seriale come The Office: la serie statunitense era allo stesso tempo la perfetta cornice per esaltare Steve Carrell, Ed HelmsRainn Wilson, ma anche un grande esempio di scrittura comica televisiva.

 

I tre autori risultano bravissimi nel dosare in scrittura trame orizzontali e verticali, gag e comicità più costruita, interpreti dai background più disparati e guest star.

 

Posizione 5

Autoironia

 

Un'altra grande arma di Boris è quella dell'autoironia: è verissimo che la serie condanna il contesto televisivo italiano, ma non bisogna dimenticare che alcuni dei suoi interpreti arrivavano proprio da quel mondo o lo hanno calcato negli anni successivi.

 

È il caso di Pietro Sermonti, insieme a Margot Sikabonyi (Marta, la fidanzata di Alessandro), che arrivava direttamente da Un medico in famiglia - vero e proprio prototipo de Gli occhi del cuore - ma come il volto di Stanis La Rochelle anche molti altri componenti del cast hanno continuato a lavorare su decine di produzioni che potrebbero sembrarci, per loro stessa ammissione, fatte un po' "a cazzo di cane".

 

Come il passato degli attori anche tutto il contesto della serie gioca molto con se stessa: dai tre sceneggiatori cani allo scimmiottamento dei set hollywooodiani, dall'anarchia sul set alle figure della troupe riutilizzate all'interno del cast (il caso di Arianna Dell'Arti risulta estremamente rappresentativo).

 

Due casi emblematici sono quelli di Nando Martellone, interpretato da Massimiliano Bruno (regista e sceneggiatore salito alla ribalta con la recente Trilogia del Crimine), e della locura.

I due espedienti sono un modo da un lato di irridere le derive caotiche di certi prodotti televisivi e dall'altro di stigmatizzare l'abuso di tormentoni e punchline ricorrenti; entrambi i peccati vengono però utilizzati anche da Boris, basti pensare a tutte le citazioni che l'hanno resa così iconica e alle derive sregolate che prendono sia la terza stagione sia l'epilogo del film.

 

Tutto questo dimostra implicitamente una delle tesi di Boris, ovvero che il problema risiede sempre nella qualità con cui si fanno le cose, più che nelle semplici scelte prese acriticamente: lo spazio per cambiare quel mondo così amaramente messo in scena è nell'abnegazione e nel rispetto per la propria arte, non nella velleità di fare qualcosa di diverso come Medical Dimension

Questa capacità di non prendersi sul serio si sposa perfettamente con la dimensione meta-seriale di Boris; sarebbe infatti molto facile scadere nella supponenza di chi crede di avere tutto da insegnare a un mondo che sembra irrimediabilmente marcio: la fuoriserie italiana però non fa questo.

 

In modo estremamente umile infatti Boris prende in giro tanto se stessa quanto il mondo da cui cerca di affrancarsi: grazie a questa onestà nei confronti del proprio pubblico e a un sincero amore per la buona scrittura e il buon Cinema riesce a suscitare molta più simpatia di chi invece, irridendo, si eleva su un piedistallo.

 

Posizione 4

Il gruppo di lavoro

 

Nei contenuti extra dei DVD di Boris è stata inserita la canzone Ciak cantata da Francesco Pannofino, il cui video è formato da spezzoni di backstage sulla realizzazione della serie.

In queste clip diventa lampante ciò che qualsiasi spettatore ha notato sin dal primo secondo della serie, ovvero l'incredibile coesione e unione d'intenti di questo gruppo di lavoro.

 

È lampante in ogni intervista - e in ogni progetto in cui attori e autori si sono ritrovati - come su quel set si respirasse un'aria unica e una volontà non solo lavorativa, ma di vera e propria lotta contro un sistema. 

La forza di Boris è stata infatti la voglia di fare qualcosa di nuovo, una serie per cui tutti erano pronti a combattere affinché arrivasse al pubblico e in cui tutti volevano mettere qualcosa di proprio, come uno di quei collettivi artistici di cui anni dopo si capisce il valore.

 

Questo lo dimostrano in parte le carriere di alcuni degli interpreti come Massimiliano Bruno, Ninni Bruschetta, Valerio Aprea o Karin Proia: tutti arrivavano o sono andati verso il Teatro, la stand-up comedy e mille altre forme che ne dimostrano a posteriori l'impegno. 

 

Dall'altra è un caso emblematico quello di Arianna Dell'Arti, non il personaggio interpretato da Caterina Guzzanti, ma la vera assistente alla regia sul set di Boris, che in parallelo alla sua carriera tecnica porta avanti anche quelle di attrice e di comica.

Non svolge solo il suo ruolo all'interno della produzione, ma la si può notare anche in svariati camei (come quello della fonica all'interno della serie): questo ci racconta quanto tutti volessero e si spendessero perché Boris ce la facesse e quanto quell'esperienza abbia significato per ognuno di loro.

 

La stessa cosa capita anche con Vendruscolo, Ciarrapico e Torre o con molti altri membri della troupe vera e propria. 

Una piccola isola felice in cui tante guest star sono volute approdare, in cui in ogni rimpatriata (come quella già citata a Torino per il decennale) si è visto quanto la coesione, l'affetto e il rispetto per il lavoro dei tre showrunner fosse ancora vivido.

 

Come spesso capita tutto questo traspare anche nelle interpretazioni ed è sicuramente stato tra i motivi che hanno portato alla deriva corale di cui abbiamo già parlato. 

 

Posizione 3

Le guest star

 

L'ambiente e il mood di cui si è parlato nella posizione precedente sono ancor più avvalorati dalle figure di spicco della televisione e del Cinema che hanno voluto entrare a far parte di Boris.

 

Paolo Sorrentino, Valerio Mastandrea, Laura Morante, Marco Giallini, Pietro De Silva, Roberto Herlitzka, Valentina Lodovini, Luisa Ranieri, Cecilia Dazzi, Sergio Fiorentini, Corrado Guzzanti, Emanuela Grimalda, Sergio Brio, Giorgio Tirabassi, il Trio Medusa, Filippo Timi e Andrea Purgatori sono solo alcuni dei nomi più famosi che hanno voluto essere accostati all'universo di Boris.

 

Discorso che vale anche, ad esempio, per la canzone dei titoli di testa della serie, firmata dagli Elio e le Storie Tese.

 

Non semplici camei, ma spesso apparizioni che acquisiscono valore e che impreziosiscono la produzione, regalandole parte del proprio bagaglio imprescindibile e sposandone la causa: un valore aggiunto.

 

Come per ogni personaggio ben scritto e integrato nella narrazione facciamo fatica a immaginarci Boris senza Glauco, Mariano Giusti o senza Orlando Serpentieri.

 

Tutto questo ci racconta di una volontà che non era solo quella dei tre showrunner o del gruppo di lavoro alle loro spalle, ma di tutta una fetta di mondo produttivo altrettanto interessata a lanciare un grido di protesta assieme a loro.

 

Se però la vicinanza del pubblico e degli altri addetti ai lavori era così trasversale con chi se la stava prendendo Boris?

 

Qui si torna alla questione già accennata in precedenza: una battaglia contro il torpore, contro l'abitudine all'approssimazione e contro una classe decisionale assolutamente estranea a ogni coinvolgimento produttivo.

 

C'è poi uno sguardo sull'alternativa a questo schema decisionale ed è ancor più impietoso, come si può vedere nelle poche puntate dedicate a Troppo Frizzante: se da un lato tutto è almeno mutuato dalla consapevolezza del "fare monnezza" dall'altra non esiste neanche la capacità di discernere con la deriva di un'automazione di quel sistema marcio.

 

Posizione 2

La qualità non c'ha rotto il cazzo

 

Nonostante il grande spazio per l'autoironia - e una certa dose di autoindulgenza - Boris è una serie che prende estremamente sul serio il proprio linguaggio: lo possiamo notare con la scrittura di cui abbiamo tanto decantato le lodi, ma loo stesso discorso vale anche per la messa in scena.

 

Pur giocando spesso con la parodia, il grottesco e l'esagerazione, quasi tutto nella fuoriserie italiana è estremamente curato e ben congegnato a partire dagli aspetti più puramente tecnici.

 

Non si è di fronte a particolari estetizzazioni o lirismi, ma il linguaggio di Boris è sempre incredibilmente funzionale al comparto narrativo, un legame che si riscontra nella scelta di affidare la regia delle prime due stagioni al solo Vendruscolo e successivamente ai tre showrunner.

 

 

Questo non si nota soltanto nello scarto visivo esasperato tra Gli occhi del cuore e Boris, ma anche nella capacità di suggerire attraverso movimenti, montaggio e sonoro la caoticità e la frenesia di un set cinematografico.

 

Un aspetto predominante nella messa in scena della serie e che sottende uno dei nuclei tematici: il vortice in cui tutti si trovano catapultati (fatto di incompetenza, fretta, ritardi e scelte scriteriate) è una delle vere ragioni per cui non esiste via di fuga per le produzioni come Medical Dimension e Gli occhi del cuore.

 

L'importante è "portarla a casa".

 

 

Un altro contesto in cui si nota una precisione e una capacità di direzione di assoluto livello è quello relativo alla gestione degli attori, delle guest star e dell'improvvisazione: come il già citato The Office insegna, non è assolutamente facile o scontato dare l'idea di immediatezza e caoticità quando non sai cosa stiano per fare alcuni dei tuoi principali interpreti. 

 

In Boris tutto ciò è gestito perfettamente, tanto che anche una scheggia impazzita come Corrado Guzzanti risulta perfettamente amalgamata nell'ossatura della serie.

 

Posizione 1

Viralità

 

L'ultimo grande aspetto da sottolineare in merito a Boris è osservare come sia stata in grado di entrare nell'immaginario collettivo e di cambiarlo completamente.

 

La fuoriserie italiana è stata infatti capace di raggiungere trasversalmente sia un pubblico interessato al mondo della produzione audiovisiva (in particolare gli addetti ai lavori che ne hanno adottato molte espressioni) sia un pubblico generalista.

 

Questo perché, come tanti prodotti confezionati per far ridere, la vera discriminante è sempre data dalla qualità della scrittura comica e, come abbiamo già detto, in Boris il livello è altissimo: si tratta infatti di una comicità che, nonostante i suoi quindici anni, raccoglie spettatori oggi come alla sua uscita.

 

La direzione artistica è stata in grado di unire aspetti situazionali, tormentoni e comicità più immediata al racconto di un universo, rendendo lo spettatore che si approccia a Boris sempre in grado di immedesimarsi, nonostante lo scorrere del tempo.

 

La capacità di Vendruscolo, Ciarrapico e Torre di relazionarsi in maniera estremamente onesta e genuinamente divertente con il pubblico è stata un'altra grande fortuna - anche distributiva - di Boris.

 

 

Se all'uscita non riscosse grandissimo successo, non appena il mondo del web e il passaparola hanno iniziato il loro inesorabile percorso è stato impossibile fermarla: la sfortunata prima messa in onda è stata subito eclissata dalla sua seconda vita, grazie alla messa in chiaro su Cielo e alla vita parallela sui nuovi media online.

 

Boris è stata un vero e proprio segno del cambiamento dei tempi: una serie TV che sembrava destinata a essere riscoperta postuma è invece sopravvissuta grazie alla sua fanbase solida e radicata e ai nuovi mezzi di comunicazione.

 

Un caso emblematico della direzione che stavano prendendo le serie televisive: non più prodotti di seconda fascia, ma media a sé stanti con un loro pubblico di riferimento.  

 

E dai dai dai!

 



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