Toni Servillo è la personificazione di quanto imprevedibile possa essere la carriera di un attore.
Malgrado sia, senza alcun dubbio, uno dei più celebrati e importati volti cinematografici italiani degli ultimi 30 anni, non si può di certo dire che il suo destino artistico sia stato limpido sin dall'inizio.
[Toni Servillo e suo fratello Peppe nel loro habitat naturale, a teatro, per Le Voci di Dentro di Eduardo De Filippo]
Questo fenomenale interprete, che di recente ha addirittura ricevuto l'onore di essere inserito dal New York Times al settimo posto in una - pressoché instilabile - classifica dei Migliori Attori del XXI secolo ha, infatti, vissuto buona parte della sua vita lontano dai set e dalle cineprese.
Come sarà forse noto ai più, il suo primo grande amore è il Teatro.
Un amore che lo stesso Toni Servillo ha rappresentato, in occasione di una masterclass tenuta al Bif&st 2016, usando una frase tratta da Ragazze folli, film del 1938 diretto da Marc Allégret:
"L’amour n’est pas photogénique"
[L'amore non è fotogenico]
In quest'opera, Louis Jouvet interpreta il Prof. Lambertin - un maestro del Conservatoire, la scuola arte di drammatica di francese - e si congeda così dagli allievi dell’ultimo anno, raccomandandosi che i loro cuori vengano squassati dall'apertura del sipario come lo sarebbero dal più folle degli amori.
Questo è il Teatro per Toni Servillo.
Un modo per offrire speranza, trasmettere il pensiero.
Esattamente ciò che fa Jouvet, uno dei suoi modelli sia a Teatro che al Cinema, nell'opera poc'anzi citata.
Il suo amore è lì, davanti al pubblico: talvolta arruffato e imperfetto, ma sempre spontaneo e tremebondo.
Un amore purissimo ed emozionante "come stare in equilibrio sul filo", che per Toni Servillo è sbocciato malgrado la sua famiglia fosse completamente estranea al mondo della recitazione.
Un sentimento coltivato da autodidatta, assieme a suo fratello Peppe, musicista, futuro vincitore del Festival di Sanremo come frontman degli Avion Travel, anch'egli finissimo interprete prima a teatro e poi al Cinema.
[Il Teatro e il Cinema, l'amore e il lavoro secondo Toni Servillo]
Dopo gli inizi nell'oratorio salesiano della sua Caserta, un neanche maggiorenne Toni Servillo contribuì alla fondazione del Teatro Studio della cittadina casertana, assieme a un collettivo che svolgeva le proprie prove dapprima nella soffitta della Reggia e poi nei locali di un palazzo in Via Maielli.
Un inizio umile a cui farà seguito una carriera monumentale, plasmata sulle orme di Eduardo De Filippo, che lo stesso attore ha sempre definito un modello paradigmatico e irraggiungibile nell'analisi delle dinamiche sociali, comparabile in tutto e per tutto alla grandezza di Molière.
Nella sua formazione convergono anche, oltre all'inscalfibile apprezzamento l'impatto di Luigi Pirandello, le opere di Luigi De Roberto, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Vincenzo Consolo, Leonardo Sciascia e Vitaliano Brancati, il suo prediletto.
In più, coltiva una passione viscerale per la musica classica.
Intanto, il suo nome comincia a divenire sempre più noto anche fuori dai confini nazionali.
Nel 1986, una volta avvicinatosi al gruppo napoletano Falso Movimento, conobbe l'uomo che per la prima volta gli proporrà di comparire sul grande schermo: Mario Martone.
I due, assieme al compianto Antonio Neiwiller, sulle ceneri di Teatro Studio, Falso Movimento e Teatro dei Mutamenti, fondano nel 1987 Teatri Uniti, laboratorio permanente per la produzione e lo studio dell'arte scenica contemporanea.
[L'intero panorama recitativo italiano è grato a Mario Martone, Antonio Neiwiller e Toni Servillo:i tre sono le menti dietro la nascita di Teatri Uniti]
Nessuno dei tre, probabilmente, avrebbe potuto immaginare che quell'esperimento così coraggioso sarebbe potuto divenire pietra angolare non solo per il mondo del Teatro ma anche per il Cinema italiano.
Oltre a esibirsi in tutto il mondo, divenendo una fucina inesauribile di grandi talenti recitativi, la compagnia rappresenta anche l'humus fertile in cui le ambizioni cinematografiche dei propri protagonisti possono sbocciare.
Nel 1992, infatti, Mario Martone coinvolge i suoi compagni di viaggio per il suo primo, memorabile, lungometraggio, Morte di un matematico napoletano.
In quest'opera fa il suo esordio sul grande schermo Toni Servillo, nel ruolo di Pietro, il compagno di partito del protagonista Renato Cacioppoli.
E che esordio fu quello: il film vince Leone d'Argento - Gran Premio della Giuria alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, rappresentando una Napoli plumbea, crepuscolare, lontana dagli stereotipi e dall'allegria che l'avevano caratterizzata fino a quel momento.
[Il film d'esordio di Mario Martone e Toni Servillo, rivissuto nel dettaglio attraverso le parole del suo autore]
Martone quindi non può fare a meno di richiamarlo per i suoi film successivi: Rasoi (di cui è anche sceneggiatore), l'episodio La Salita dell'opera collettiva I Vesuviani e Teatro di Guerra. Eppure, malgrado quattro film all'attivo, Toni Servillo aveva in mente solo il Teatro.
"Il Teatro è degli attori, il Cinema è dei registi e la televisione è dei residui"
Talvolta, negli anni, nel rilasciare qualche intervista si è anche divertito citando questa celebre battuta di Marlon Brando e rivendicando il ruolo degli attori, che a suo dire devono stare in intimità con il pubblico e soprattutto con i personaggi che interpretano.
Toni Servillo, malgrado le numerose esperienze di regia teatrale, ha sempre sentito l'istinto dell'attore, il richiamo della recitazione a contatto con un pubblico vivo.
A cavallo del nuovo millennio, ad esempio, era troppo preso dalla realizzazione de Il misantropo di Molièreper pensare di leggere quella sceneggiatura cinematografica scritta da un giovane aspirante regista e recapitatagli dal produttore Angelo Curti.
Finché lo stesso Curti e quell'esordiente, tale Paolo Sorrentino, non gli dissero di non leggerla perché era stato trovato un altro attore per il ruolo.
A quel punto Toni Servillo la lesse.
E ne rimase estasiato, accettando la parte.
[La peculiarissima genesi della carriera di Toni Servillo, raccontata da lui e Paolo Sorrentino]
Ebbene sì, la carriera cinematografica di Toni Servillo è nata sull'orgoglio.
Sull'orgoglio e sulla lungimiranza: l'aver lasciato all'alba dei 40 anni uno spiraglio aperto a una nuova, meravigliosa, esperienza.
Quel Tony Pisapia mattatore de L'uomo in più, il suo primo film da protagonista, si basa su queste premesse.
Così come tutta la sua carriera cinematografica.
A quel punto, però, Toni Servillo fece quello che fa sempre quando sceglie un ruolo: ci mise tutto sé stesso, al punto di coinvolgere suo fratello nella scrittura delle canzoni da lui interpretate.
Inutile dire che il successo del film fu travolgente e permise al Cinema italiano di conoscere una delle coppie più importanti della propria Storia recente.
Da quel momento in poi, Toni Servillo e Paolo Sorrentino hanno girato altri cinque film insieme, per un totale di sei: solo Mario Martone può fregiarsi di averlo diretto così tante volte.
[Tra le peculiarità della carriera di Toni Servillo c'è anche quella di aver interpretato grandi personaggi storici: ad esempio nel 2010 Mario Martone gli affida il ruolo di Giuseppe Mazzini in Noi Credevamo]
Se da un lato Martone è l'autore che l'ha portato a confrontarsi con il grande schermo dopo che i due hanno condiviso l'esperienza taetrale, d'altra parte il rapporto con Sorrentino è, per sua stessa ammissione, il fil rouge di tutta la sua carriera cinematografica.
Due rapporti di cui conserva alcuni aspetti e da cui trae insegnamento per ogni esperienza su altri set.
Partendo da questo presupposto, dunque, nel proporvi una selezione delle migliori prove cinematografiche di Toni Servillo, ho scelto di limitare il numero di riferimenti alle opere dei suoi registi preferiti a un massimo di due.
[Che L'uomo in più e il successivo Le conseguenze dell'amore siano tra le più grandi interpretazioni di Toni Servillo è fuori di dubbio: la sua carriera è però piena di ruoli da scoprire e amare]
Già, perché malgrado lo sbocciato sentimento per il Cinema, questo fenomenale interprete campano ha sempre selezionato con grande cura le produzioni a cui prendere parte.
Lo stesso Paolo Sorrentino spesso scherza sul fatto che Toni Servillo sia stata la miglior scuola possibile per imparare a dirigere gli attori, essendo un interprete molto esigente.
La sua esigenza, però, è semplicemente quella di tradurre il grande studio del personaggio in un sentimento: rigettando l'etichetta di "attore creativo", si è più volte paragonato a una pila, che si carica e si scarica in funzione del trasferimento allo spettatore di ciò che di creativo c'è nel testo.
Ecco perché le sue scelte sono state alternativamente incentrate sulla potenza del copione propostogli o sulla grandezza dell'autore che lo ha scelto.
[Tra le prove meno note e più interessanti di Toni Servillo c'è quella fornita in Gorbaciof sotto la direzione di Stefano Incerti, altro regista formatosi all'interno dell'esperienza di Teatri Uniti]
Su queste basi sono nate alcune delle sue più belle prove da protagonista, anche se leggermente meno note, come quelle fornite in Gorbaciof per Stefano Incerti, in Una vita tranquilla sotto la direzione di Claudio Cupellinie in Viva la libertà di Roberto Andò.
O, ancora, dopo le esperienze da non protagonista già vissute con Mario Martone, così possono spiegarsi tanto la sua scelta di mettersi al servizio di Marco Bellocchio per un film corale come Bella Addormentata quanto la sua volontà di provare un'esperienza all'estero come avvenuto per Tre destini, un solo amore di Nicole Garcia.
Gli stessi desideri, probabilmente, lo muovevano quando cominciò a lavorare per un gigante come Theo Angelopoulos sul set de L'altro Mare, film incompiuto a causa di un tragico incidente che recise la vita dell'autore.
[Il gigantesco cast di Bella Addormentata, un film in cui Toni Servillo viene affiancato a mostri sacri come Roberto Herlitzka e Isabelle Huppert e a talenti emergenti come Alba Rohrwacher e Fabrizio Falco, che per questo film vincerà il Premio Mastroianni]
Insomma, la recitazione per Toni Servillo prima che un fatto di prestigio e studio del copione è e resterà sempre una questione di amore.
Anche se declinato attraverso il doppiaggio o l'interpretazione di un audiolibro, sue più recenti e prolifiche passioni.
Un amore che, dopo quattro David di Donatello, cinque Nastri d'argento, il record di due European Film Awards come Migliore Attore Protagonista (su altrettante nomination) e oltre altri 20 premi e 40 nomination, ci sentiamo di dire pienamente ricambiato.
Già, perché se i premi, come lo stesso Toni Servillo ama ripetere, altro non sono che un incentivo a continuare a lavorare - magari con più serenità - come si è sempre fatto, noi non possiamo che augurarci di poter continuare a scoprire la profondità del talento di un artista che, però, ama approfondire un concetto espresso dal suo amato Jouvet affermando:
"Cos’è il talento? È un’attitudine naturale, una facoltà acquisita, un peso, una moneta.
Per me è anche il risultato di un atteggiamento, di un comportamento, un modo di praticare il proprio mestiere, presunzione e umiltà conferiscono a ogni esecutore una sua latitudine, il grande attore oscilla fra questi due poli"
Su queste basi vi propongo, dunque, di scoprire insieme quali sono, a nostro avviso, le otto opere cinematografiche in cui questo sentimento è emerso con più forza, in ciascuna delle sue sfumature.
Commissario Giovanni Sanzio ne La ragazza del lago
di Andrea Molaioli (2007)
Tra i primissimi ruoli che Toni Servillo ha selezionato dopo aver intrapreso con costanza la propria carriera cinematografica c'è quello di Giovanni Sanzio, commissario chiamato a indagare sull'orribile omicidio di una ragazza, rinvenuta morta e nuda sulle sponde dei laghi di Fusine, vicino a Tarvisio.
Si trattava, per certi versi, di una scommessa: il film era diretto da un regista esordiente come Andrea Molaioli e scritto da un grande sceneggiatore come Sandro Petraglia ispirandosi al romanzo della scrittrice norvegese Karin Fossum, Lo sguardo di uno sconosciuto (Titolo originale: Se Deg ikke Tilbake!).
L'attore campano capitanava un cast ricco e in ottima forma che annoverava tra i suoi volti anche Valeria Golino, Anna Buonaiuto, Fabrizio Gifuni, Omero Antonutti e Giulia Michelini.
Il film, che si snoda tra i segreti e le meschinità di una piccola comunità chiusa nella propria illusione di perfezione sospesa, risultò una scommessa pienamente vinta.
Dopo essere stata presentata alla Settimana Internazionale della Critica della Mostra Internazione del Cinema di Venezia, valendo il Premio Pasinetti a Toni Servillo, l'opera divenne un autentico caso critico vincendo ben 10 David di Donatello su 15 nomination.
Tra i premiati non poteva, ovviamente, mancare Toni Servillo, che vinse per questo film il suo secondo David grazie a un'interpretazione pendente tra varie tensioni: l'indagine senza fine in cui è immerso, la meschinità dilagante della piccola comunità, un rapporto problematico con la figlia, l'amore paziente e ostinato per una moglie che a causa di una malattia neanche lo riconosce più.
Ciascuna delle emozioni scaturenti viene, però, espressa e convogliata da Toni Servillo con sobrietà e risolutezza.
Il successo del film porterà l'attore a collaborare nuovamente con Andrea Molaioli, nel successivo e meno riuscito Il gioiellino, una lettura romanzata di un evento fondamentale per la storia italiana come il Caso Parmalat.
Ma d'altronde ve l'ho anticipato: lo spessore del copione propostogli è conditio sine qua non per la sua partecipazione a un film.
Se si parla di spessore sostanziale, poche opere possono paragonarsi alla grandezza del teatro classico greco.
Luna Rossa, di Antonio Capuano, prende spunto proprio da una delle opere fondanti per la nostra cultura, l'Orestea di Eschilo, per tratteggiare i destini di una famiglia mafiosa, i Cammarano.
Toni Servillo non poteva, dunque, che accettare un ruolo direttamente tratto da un soggetto di tale spessore, oltretutto intriso in un contesto recitativo a lui profondamente familiare.
L'intero cast è, infatti, innervato di attori provenienti dal laboratorio di Teatri Uniti.
Su tutti una magnifica Licia Maglietta, la cui Irene si rivela una perfetta Clitemnestra trasposta in ambito mafioso e vincintrice del Premio Pasinetti per la sua interpretazione.
L'attore campano è, invece, Amerigo, l'alter ego di Agamennone all'interno di questa epopea criminale.
Il suo nome, che letteralmente vuol dire dominatore nella sua patria ne indica già il potere e la funzione drammaturgica.
In Luna Rossa difatti Toni Servillo è motore narrativo dell'intera opera, grazie alla sua capacità di generare odio e attrazione in chi lo circonda, di essere il tassello che fa crollare un intero mosaico di giochi di potere, di tramutare tanto la sua presenza quanto la sua assenza in una maledizione,
L'interpretazione è, pertanto, intrisa di quell'arroganza e sicurezza di sè che solo un uomo di potere nel pieno della propria Hybris può incarnare.
Seppur inserita da Capuano con sapienza all'interno di un cast corale, questa prova certifica l'esplosione all'interno del panorama cinematografico del magnifico interprete campano che, nel lontano 2001 faceva capolino alla Mostra di Venezia con ben due prove.
Oltre a Luna Rossa, infatti, in concorso, nella sezione Cinema del Presente era stato presentato L'uomo in più.
Come stiamo per scoprire, però, la sua abitudine di presenziare nei festival con più di una pellicola non resterà circoscritta al 2001. Anzi, troverà almeno due espressioni ancora più fulgide e prestigiose.
Tra gli anni di grazia della sua produzione artistica non si può, di certo, che annoverare il 2021.
Sul finire dell'estate, Toni Servillo ha infatti presenziato alla Mostra del Cinema di Venezia con ben tre film.
SeÈ stata la mano di Dio ha strabiliato il concorso principale vincendo ben due premi, Ariaferma di Leonardo Di Costanzo - pur essendo fuori concorso - ha fatto rumore grazie alla sua caratura artistica e morale.
Accolto dalla critica italiana come un capolavoro, il film riesce finalmente nell'impresa di affiancare a Servillo un compagno di recitazione che fornisca accanto a lui una prova di pari levatura e profondità, in un ruolo di comparabile importanza.
Dopo i tentativi esperiti da Roberto Andò - che ne Le Confessioni lo aveva portato al confronto con Pierfrancesco Favino e Daniel Auteil - e da Donato Carrisitantone La ragazza nella nebbia quanto ne L'uomo del labirinto, Leonardo Di Costanzo ha finalmente centrato l'impresa.
Al contrario degli scostanti duetti, ravvicinati e a distanza, concretizzatisi con Jean Reno e Dustin Hoffman sotto la direzione di Carrisi, in questo film il rapporto tra il suo personaggio, l'Agente Gargiulo, e il detenuto Carmine Lagioia, intrepretato da Silvio Orlando, è cuore narrativo: un elemento costante e risolutore.
I due sono due facce della stessa medaglia, figli di un medesimo contesto, risultati opposti del lancio di una stessa moneta.
E sono costretti a vivere a stretto contatto, in un ambiente asfissante come quello di di un carcere in via di chiusura.
Il lavoro di sottrazione effettuato dagli interpreti, restituisce la forza del rapporto attraverso gli sguardi, i sospiri, le pause nei radi - e tavolta scomposti - scambi di battute.
Anche nel rapporto con gli altri agenti, Servillo riesce a personificare senza mai eccedere tanto il senso di difficoltà nel perseguire l'autocontrollo quanto la necessità di convivere con le tensioni interne a quelli che dovrebbero essere "uomini di legge".
E, invece, sperimentano un'altra forma di prigionia.
La prigionia fisica non è, pertanto, l'unico stato di costrizione a cui Toni Servillo era interessato quando ha scelto questo film.
A dimostrarlo ci sono, difatti, diverse altre posizioni di questa rassegna.
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Posizione 5
Nicola Cirauloin È stato il figlio
di Daniele Ciprì (2012)
Tra le varie occasioni in cui Toni Servillo si è presentato con successo sul Lido, spicca senz'altro anche l'edizione del 2012 della Mostra di Venezia.
Oltre al già citato Bella Addormentata, questo meraviglioso interprete si trovò in concorso con È stato il figlio, altro film che in quell'annata lo vide affiancato a un più che mai ispirato Filippo Falco.
L'opera, che porta la firma di un nome importantissimo del nostro Cinema, Daniele Ciprì, vinse il Premio Osella per il Miglior Contributo Tecnico e fece scalpore per la sua capacità di mostrarci un Toni Servillo naturalmente a suo agio coi registri del comico e del grottesco.
Il film narra della povera e umile famiglia Ciraulo che, a seguito della morte della figlia minore Serenella, colpita da un proiettile vagante, ottiene il risarcimento previsto dallo Stato per le vittime di Mafia.
La famiglia, una volta risolti alcuni debiti con degli strozzini, sceglie di investire la restante parte dell'indennizzo per l'acquisto di una macchina, una Mercedes che diviene autentica croce e delizia del nucleo familiare, al punto di incidere direttamente sul destino di più di un suo componente.
Toni Servillo interpreta il patriarca conformandosi perfettamente al tono grottesco dell'opera e tramutando numerosi aspetti di disagio provenienti dal contesto di riferimento, ben più assimilabili al tragico, in spunti comici di ottima riuscita.
Per la prima volta al cinema emerge un talento umoristico che, in seguito, tornerà a esplorare con sfumature differenti tanto in Lasciati andare di Francesco Amato quanto in È stata la mano di Dio.
La recitazione in dialetto siciliano risulta a dir poco mirabile: l'accento è riprodotto in maniera eccelsa e la gestualità, volutamente caricata, fa eco agli stereotipi ormai consolidati sul meridione.
Chissà che nella scelta del ruolo non possa ritrovarsi un omaggio alle radici di sua moglie, il cui padre era originario del paesino siculo di Roccella Valdemone, ma anche al suo profondo amore per il Sud Italia.
L'ambientazione è, infatti, assolutamente co-protagonista dell'opera, grazie alla rappresentazione quasi sospesa e senza tempo di questa estate siciliana, in cui - per parafrasare alcune opere successive - i peggiori orrori prendono forma anche in contesti apparentemente insignificanti.
Curioso come il film non sia, in realtà, stato girato a Palermo ma a Brindisi e dintorni.
L'ulteriore conferma che l'ambientazione del film è quasi riconducibile a un non-luogo metaforico e assoluto.
Sono queste le magie che solo il Cinema e i suoi interpreti più bravi riescono a confezionare.
Stando a quanto rivelano alcuni rimasticati adagi popolari, sono gli uomini in giacca e cravatta ad aver distrutto il mondo.
Franco, personaggio interpretato da Toni Servillo in Gomorra, è l'estrema rappresentazione del concetto.
Il più corrotto dei colletti bianchi, il più ripulito dei criminali.
Una delle facce più subdole e spaventose della mafia, quella che avvelena il mondo sorridendo e stringendo mani, non di certo sparando ed estorcendo denaro.
Il suo compito, da imprenditore, è quello di operare nel settore dello smaltimento dei rifiuti tossici, proponendo a suoi colleghi del Nord Italia uno smaltimento a costi dimezzati e dotato di tutte le certificazioni conformi alla legge.
Quando i suoi operai decidono di protestare e non lavorare, li fa sostituire da dei bambini; quando le famiglie dei luoghi in cui smaltisce il suo veleno si ammalano, li paga pochi euro in più e ottiene di smaltire ancor più rifiuti.
Franco, apparentemente, risolve problemi, in realtà ne crea di nuovi, stavolta irrisolvibili.
Il suo apprendista, Carmine, prima ne resta affascinato, poi non regge le aberrazioni di quel mondo e scappa.
Franco reagisce con un ghigno beffardo e un breve monologo benaltrista, connotato da una venatura di esperta superiorità che non lascia scampo allo spettatore.
Toni Servillo si immerge nel tono dell'epocale film di Garrone, vincitore del Grand Prix du Jury al Festival di Cannes 2008, di ben 5 European Film Awards e 7 David di Donatello con insospettabile naturalezza, pur proveniendo da un'esperienza di regia completamente diversa.
Chissà come dev'essersi sentito quell'attore abituato al rigore sorrentiano quando ha visto per la prima volta lo stesso autore romano imbracciare la telecamera e seguirlo "alla ricerca del suo film".
Il dubbio, ad ogni modo, non regge più di qualche secondo: la prova di Toni Servillo impreziosisce innegabilmente uno dei film più importanti degli ultimi 25 anni di storia del nostro Cinema.
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Posizione 3
Jep Gambardella neLa grande bellezza
di Paolo Sorrentino (2013)
Chi vi scrive ha scelto di conformarsi alla deontologia professionale che questo personaggio espone nel suo confronto con Talia Concept.
Urge dirvi subito la verità e far cadere ogni artificio.
Le prime tre posizioni di questa classifica sono, di fatto, un ex aequo.
Con queste tre prove si tocca il pinnacolo assoluto della recitazione negli ultimi 15 anni di Storia del nostro Paese e, pertanto, la scelta dell'ordine è del tutto formale.
E non potrebbe essere altrimenti: Jep Gambardella è diventata, nel sentire comune, la maschera di Toni Servillo par excellence.
La sua interpretazione di questo scrittore in grado di dissipare costantemente il suo talento sull'altare della mondanità e di vivere una vita velata dalla malinconia è quel che si definisce un instant classic.
Il range attoriale dell'interprete campano viene, più che mai, messo a dura prova da una sceneggiatura che lo porta ad esprimersi tra sorrisi vacui e smorfie indecifrabili, profondi sguardi bassi e pause sceniche di sconfinata intensità, massime pronunciate con pieno sprezzo del senso del ridicolo - almeno per come viene costantemente inteso - e momenti di regressione infantile.
Toni Servillo cura nel dettaglio ogni aspetto di questo sensibilissimo dandy ultra sessantenne: dalla camminata, quasi perennemente caratterizzata dalle mani in tasca, all'impugnatura delle immancabili sigarette, fino all'iconico modo in cui si abbandona sui divani e sui letti della Roma bene.
Stilare l'elenco dei premi vinti e ricostruire la diatriba critica su La grande bellezza e sul suo protagonista risulta quasi un'operazione pleonastica.
Risulta, invece, più interessante notare come solo al Festival di Cannes 2013 il film non abbia raccolto un consenso pressoché indiscusso in ambito internazionale.
E in patria?
Beh, tra i 9 David di Donatello vinti manca il più prestigioso, quello al miglior film, vinto da Il capitale umano di Paolo Virzì.
Misteri del Cinema ai quali, senz'altro, Jep Gambardella, risponderebbe con uno dei suoi motti al vetriolo mentre tira l'ennesima boccata dalla sua sigaretta.
Toni Servillo, invece, ha reagito al successo dell'opera dedicandosi esclusivamente al Teatro per circa due anni: l'ennesima prova che i grandi attori riescono a far propri anche personaggi a loro antitetici.
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Posizione 2
Eduardo Scarpettain Qui Rido Io
di Mario Martone (2021)
Napoli, il Teatro, Eduardo Scarpetta.
E ancora: Mario Martone alla regia, un cast pieno di suoi vecchi compagni di recitazione, lo spirito benevolo della famiglia De Filippo che aleggia sull'intera opera.
Serve altro a spiegare perché Toni Servillo abbia fornito una delle sue migliori interpretazioni in Qui Rido Io, terzo dei suoi film presentati alla 78ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia?
Interpretando l'attore e commediografo napoletano Eduardo Scarpetta, capostipite della famiglia De Filippo e creatore della "maschera che uccise Pulcinella" Felice Sciosciammocca, ha probabilmente raggiunto la miglior fusione possibile tra il suo retaggio teatrale e la propria espressione cinematografica.
"Sciosciammocca è un'eredità e una rendita"
Dice, poco dopo l'inizio del film, un Eduardo Scarpetta che non perde mai di vista la dimensione economica e il prestigio sociale del suo ruolo, da cui discende un "dovere di fedeltà" da parte di chi lo circonda.
Per raccogliere un'eredità, però, dev'esserci un de cuius che se ne spoglia, oltre che un erede pronto a riceverla, ma Scarpetta non ha proprio voglia di mollare il passo. Nè per i suoi figli, nè artisticamente.
Qui rido io è, infatti, un grande film sulla paternità, tanto di un'opera quanto di un'intera dinastia, oltre che sulla fedeltà morale e artistica.
A fare da contraltare alle vicende familiari di Scarpetta coi suoi figli legittimi e soprattutto illegittimi, c'è anche la diatriba legale tra l'attore napoletano e Gabriele D'Annunzio sulla qualificazione come parodia dell'opera Il figlio di Iorio, rispetto alla quasi omonima tragedia dannunziana.
Toni Servillo tiene banco per l'intera durata dell'opera fornendoci il ritratto titanico e non privo di eccessi di un potente uomo italiano di inizio '900, nel pieno dei suoi vizi, che grazie alla prospettiva adottata da Martone quasi risultano pari alle enormi virtù.
Pur senza che un fattore contamini l'altro.
Siamo davanti a personaggio che sembra non poter mai fare un passo indietro.
Salvo nel momento più toccante, che si concretizza però fuori campo, a rappresentazione finita.
Niente di più coerente con la sua natura di animale da palcoscenico.
Per quanto talvolta ribollente di sentimenti, l'interpretazione persegue un perfetto equilibrio tra i manierismi scenici e i momenti di forte perdizione, tra gli eccessi nel contesto familiare e i momenti in cui il personaggio è messo dinanzi alla sua meschinità.
Una prova sentita come pochissime, pur all'interno di una spendida carriera.
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Posizione 1
Giulio Andreotti ne Il Divo
di Paolo Sorrentino (2008)
" 'Lei ha sei mesi di vita', mi disse l'ufficiale medico alla visita di leva.
Anni dopo lo cercai, volevo fargli sapere che ero sopravvissuto, ma era morto lui.
È andata sempre così: mi pronosticavano la fine, io sopravvivevo, sono morti loro.
In compenso per tutta la vita ho combattuto contro atroci mal di testa. Ora sto provando questo rimedio cinese, ma ho provato di tutto.
A suo tempo l'Optalidon non accese molte speranze. Ne spedii un flacone pure ad un giornalista, Mino Pecorelli.
Anche lui è morto".
Se proprio dovessi selezionare l'elemento che mi ha portato a scegliere questa prova per il gradino più alto del podio, menzionerei senz'altro la perversa attrattività del mistero che questo personaggio emana.
Prima ancora di poter scorgere Il Divo Giulio Andreotti interpretato da Toni Servillo, ne siamo già stati irrimediabilmente rapiti, calamitati dall'incipit narrativo probabilmente più riuscito dell'intera filmografia di Paolo Sorrentino.
Quando lo vediamo, nascosto dietro un trucco perfettamente riuscito e una voce del tutto irriconoscibile per mancanza di accenti e inflessione, stentiamo a riconoscerlo.
Eppure lui è lì.
E mette tutto il suo talento al servizio della rappresentazione di uno dei più importanti uomini della Storia repubblicana italiana.
A ben vedere, Sorrentino non lesina battute esplicite: il suo Andreotti dice moltissimo.
Ma strega per quello che ancora non dice e che potrebbe dire. Quello che fa intuire, in maniera disorientante, con la propria prossemica.
La camminata lenta, la schiena ingobbita, la gestualità minimale ma curatissima e uno sguardo ai confini del demoniaco sono gli elementi che rendono, a nostro avviso, questa prova di Toni Servillo il più importante saggio di recitazione svolto in Italia nell'ultimo ventennio.
Lo spezzone di vita, più che mai intimamente rappresentato, che si snoda tra l'alba dell' ultimo mandato di Andreotti come Presidente del Consiglio e il processo per il suo presunto coinvolgimento con gli ambienti mafiosi, è il percorso perfetto per rappresentare luci e ombre di un intero Paese.
Una parabola al contempo particolare e universale sul potere.
Non a caso, l'opera vinse il Premio della Giuria nella memorabile edizione 2008 del Festival del Cinema di Cannes, quella in cui lo stesso Servillo e Matteo Garrone ottennero con Gomorra il Grand Prix Speciale.
Arrivarono anche ben 7 David di Donatello e un European Film Award, proprio per Toni Servillo, che fu premiato per i suoi due magnifici lavori di quell'anno.
Che poi, negli anni, questo film sia divenuto perfetto metro di paragoneper tutto quel Cinema mondiale che ha intenzione di parlare di potere, è sinceramente il meno stupefacente dei suoi effetti.
Il Divo e il suo protagonista sono Storia del Cinema.
Classe'96. Ex cestista a livello giovanile e minors ed ex Parlamentare Regionale dei giovani in Puglia, laureato prima in Giurisprudenza d'Impresa e poi in Scienze Economiche.
Pervenuto criticamente alla cinefilia, studioso di tattica sportiva, telecronista e opinionista, nutre una passione viscerale per i racconti che gravitano attorno ai campi da gioco e ai set cinematografici.
Innamorato della New Hollywood, degli attori di metodo e dei piani sequenza.
Ma non solo: attratto magneticamente da tutte le meravigliose diversità che il cinema può raccontare.
Redattore presso Cinefacts.it, curatore della rubrica Good & Bad