Diciamocelo: fare il critico cinematografico è una gran seccatura.
Lanciarsi in una recensione significa non solo comprendere un'opera filmica, ma anche padroneggiare - un minimo - la materia, conoscere la Storia del Cinema e gli stilemi degli autori che si sono avvicendati nel corso del tempo, sapere di tutto un po' (in proporzione, più vasta è la cultura generale del recensore, maggiore sarà l'accuratezza della sua tesi) e soprattutto essere dotati di un lessico che sia all'altezza delle aspettative dei lettori.
Essere un buon critico cinematografico presuppone inoltre la (rara) capacità di mettere mano all'oggettività, estraniandosi per quanto possibile dal proprio gusto personale e valutare un prodotto solo ed esclusivamente attraverso una serie di canoni valutativi che, giocoforza, si evolvono col passare del tempo, in accordo con il medium preso in analisi.
Il critico ideale è una sorta di Supereroe della penna: equilibrato, non aggressivo nelle analisi, rispettoso delle opere d'ingegno altrui (sempre che queste ultime rispettino il ricevente), preparato e in grado di tenere alta l'attenzione del lettore.
Da un punto di vista storico, se la critica cinematografica italiana nasce insieme al cinematografo - dopo un inziale fase di studio in cui le prime riviste di Cinema (La Cine-Fono, La Vita Cinematografica, Cinematografo) cercavano di comprendere il nuovo medium e riportavano le programmazioni e la nascita delle prime case di produzione - è solo negli anni '40 del Novecento che si ha l'affermazione del fenomeno dell'analisi filmica.
[Ricciotto Canudo. Letterato, critico cinematografico e teorico del Cinema: il creatore del termine "Settima Arte"]
Si posiziona a cavallo fra il 1930 e il 1940 il momento in cui, intellettuali, giornalisti e letterati - come Aldo Palazzeschi, Cesare Zavattini, Filippo Sacchi, Pietro Bianchi, Ennio Flaiano, Giacomo Debenedetti, Elio Vittorini, Leo Longanesi - e nuove riviste specializzate quali Cinema, Film, Bianco e nero, Lo schermo, cominciarono a proporre realmente la figura del critico quotidianista.
Il Cinema era diventata una realtà consolidata a livello mondiale, tanto da far realizzare ai quotidiani nazionali la necessità di concedere ai lettori uno spazio apposito dove si parlasse di film e delle star che vi recitavano.
Sono gli anni d'oro della critica, dove Tullio Kezich (se non avete amato i suoi Centofilm e Millefilm uscite subito da questo articolo), Callisto Cosulich, Morando Morandini, Ugo Casiraghi e Gian Luigi Rondi si imposero fra le colonne della critica quotidianista.
Il boom delle riviste di settore era ormai deflagrato: fra il 1944 e il 1948 nascono in Italia più di cento periodici di Cinema.
Gli anni '60 subiscono l'influsso di apporti teorici presentati da intellettuali come Alberto Asor Rosa, Pier Paolo Pasolini, Umberto Eco, i quali sostenevano l'utilizzo di strumenti propri dell'indagine sociologica e dell'analisi semiotica applicati all'oggetto filmico.
Il decennio iniziato nel 1970 segna l'abbrivo della critica militante, cioè quella che si legava ai luoghi, ai collettivi, alle rassegne organizzate, alle retrospettive.
Il film, da mezzo espressivo di intrattenimento, si trasforma in strumento di analisi critica e sociale che tende a rivedere prospettive storiche, teoriche e, di conseguenza, critiche.
Sono gli anni in cui la figura del critico si ibrida con quella del divulgatore, animato da una sacra missione: la promulgazione di quelle pellicole che segnano una rottura con il Cinema del passato.
[Dai, su, lo sappiamo che almeno una volta lo avete sfogliato]
In epoca moderna sono da segnalare i casi delle riviste Ciak, Duel (poi Duellanti), l'esplosione del nuovo format dei dizionari cinematografici (il Morandini, il Farinotti,il Mereghetti, il Davinotti...) e l'affermazione di programmi televisivi di livello come Fuori Orario. Cose (mai) viste, Le parole del Cinema e Il cinemaniaco.
La contemporaneità ci propone invece blog-multiautore, testate specializzate che si prodigano per un'informazione di qualità e libera da clickbaiting (poche, purtroppo) e youtuber/twitcher di razza (quale essa sia lo lasciamo stabilire a voi).
Con la locuzione polivalente di "critica cinematografica" si può idealmente evocare un format giornalistico, un mestiere, un'istituzione/fenomeno culturale o un articolo di giornale.
Il critico può essere indistintamente un giornalista, un letterato, un universitario (studente, professore o ricercatore), un appassionato amatoriale o, venendo finalmente al fulcro di questo articolo, un qualsiasi recensore del web.
Come abbiamo cercato di esemplificare - senza alcuna ambizione di completezza - in questa noiosissima introduzione, fare il critico e stabilire cosa sia effettivamente la critica cinematografica è semplicemente un macello.
Eppure, meraviglia delle meraviglie, la bellezza della libertà di espressione può condurre ciascuno di noi a vestire i panni del recensore, con tutte le conseguenze - talvolta nefaste - che possono conseguirne.
[La sigla di Fuori Orario. Cose (mai) viste: noi ti amiamo e adoriamo, grande e potente Ghezzi]
Proprio per questo, le massime fondamentali che dovrebbe guidare chi scrive di Cinema (o di qualsiasi altra cosa) sono principalmente tre: non fare il passo più lungo della gamba, non parlare di cose che non si conoscono e, soprattutto, non usare un lessico forbito in maniera randomica.
Perché le parole sono importanti (due assiomi cari a Nanni Moretti nell'arco di 3 righe: siamo dei fenomeni!).
Siate sinceri: quante volte, girovagando sul magico mondo del web e dei social network, vi siete imbattuti in leggendari individui convinti di essere dei nuovi Roger Ebert, producendosi in sgangherate analisi colme di termini utilizzati ad cazzum canis?
Abbiamo quindi deciso di raccogliere per voi questi nuovi modi dire, veri e propri must-use per essere degli autentici cine-critici dell'Internet.
L'ovvia premessa è che l'utilizzo di suddette espressioni e figure retoriche non sia automaticamente sinonimo di faciloneria o scarsa qualità (alcune di esse vengono utilizzate anche dalla nostra redazione), ma che il loro abuso, specie se a sproposito, può condurre a una facile ilarità.
"Disturbante", "enorme", "se lo può permettere", "pugno nello stomaco", "capolavoro"... quali sono i vostri termini prediletti che vi fanno vomitare il cuore a ogni lettura?
Forza: preparatevi per diventare dei novelli Canova e Mereghetti della rete.
Sappi che hai appena visto il risultato di un lungo studio di soggetti cerebralmente discutibili che invadono le vostre bacheche ogni giorno. Sì: ci è voluta tanta pazienza e un po' di ironia per poter sopravvivere.
Non si sa bene né come né perché, ma c'è sempre qualcuno pronto a dire che questo o quel film è "incredibilmente sopravvalutato/sottovalutato".
Ma da chi? Perché? Come l'avete stabilito?
E chi siete per dire che gli altri valutano troppo o troppo poco?
Il vostro amico Pinuccio è d'accordo con voi sul fatto che Giovannona Coscialunga disonorata cononore (1973) sia una pietra miliare del Cinema?
Bam: Sottovalutatissimo!
Nel vostro gruppo cinefilo preferito su Facebook si parla solo de La signora di Shanghai (1947), un filmaccio invecchiato come peggio non poteva?
Sdeng: Sopravvalutatissimo!
Esistono sicuramente registi e produzioni che nel corso della Storia del Cinema hanno patito una scarsa (o eccessiva) considerazione da parte della critica o dal pubblico al botteghino (Blade Runner e Michael Cimino annuiscono con veemenza): è innegabile.
Ma chi come noi ha a che fare quotidianamente con i social network probabilmente conoscerà la sensazione di nausea derivata dalla proliferazione di questa parola.
È il filmino del battesimo di vostro figlio? È Apocalypse Now?
Non importa: fate finta di averlo visto solo voi e bollatelo come sopravvalutato o sottovalutato.
Vedrete che la folla sarà in visibilio.
Posizione 7
Mostro sacro
Sempre più di frequente si legge delle prodezze di questo Mostro Sacro, misterioso essere dalle doti cinematografiche fuori dal comune - questo è assodato - ma di cui non si conosce altro se non che nessuno potrà mai eguagliarlo.
Ma chi è questo Mostro Sacro?
Una figura mitologica a cui venivano offerti sacrifici?
Forse un animale a tre teste e cinque zampe nato da una vergine?
O uno Yatagarasu giapponese?
Nossignore!
Il Mostro Sacro - qui volontariamente scritto con le maiuscole per evidenziarne la grandezza e per non offendere i suoi adepti che sovente esaltano la sua immensità proprio con questo espediente - è il Regista o l'Attore, saltuariamente il DoP, in cima all'Olimpo di tutti coloro i quali collaborano alla realizzazione di un fim. Montaggio, sonoro, costumi e tutto il resto che invade i titoli di coda fate conto che non esista.
ll Mostro Sacro è colui la cui direzione del film è da Mostro Sacro, le cui inquadrature sono da Mostro Sacro, che regala performance da Mostro Sacro con un'espressività da Mostro Sacro, che recita con dei tempi...da Mostro Sacro!
Tutto chiaro, no? C'è bisogno di aggiungere altro?
Del resto, si sa: è un Mostro Sacro!
Sforzarsi di trovare qualche aggettivo che renda giustizia al brillante, magistrale, impeccabile lavoro del capace, abile, virtuoso artista e spiegare in maniera un po' più approfondita perché si è stati colpiti dalla sua direzione, fotografia, messa in scena sembra una pratica faticosa e, peggio ancora, inutile.
Piuttosto che parlare di un interprete analizzandone la naturalezza, la capacità di improvvisazione, più che elogiare un regista per la versatilità nei diversi generi cinematografici o un direttore della fotografia per aver osato con un formato o una palette fuori dall'ordinario, per giudicare un professionista del Cinema sono ormai necessarie e sufficienti quelle due sole paroline magiche.
Il Mostro Sacro è un assioma che per sua natura, quindi, non ha bisogno di essere dimostrato.
Posizione 6
Necessario
Ovvero "tutto ciò che è strettamente indispensabile per qualcosa".
Svolto in questo modo il termine diventa un po' più complicato da associare a un film, eppure starà al critico del web riconoscere il momento più consono per adoperarlo.
Di solito avviene quando il film piace davvero tantissimo e, oltre all'ovvio utilizzo del termine che troverete alla posizione 4, diventa necessario scrivere "necessario".
Che diabolico paradosso, avete visto? L'abbiamo appena adoperato anche noi!
Bizzarramente "necessari" vengono definiti solo i film contemporanei, quelli appena usciti; quasi mai i film di qualche decennio fa, che a maggor ragione dovrebbero meritarsi un così importante appellativo, vengono definiti in tal modo.
Ancora più sovente capita ai nuovi film dei registi con cui i critici del web si riempiono avidamente la bocca, pensando di enumerare nomi di nicchia quando invece non fanno altro che stare appena mezzo gradino sotto il mainstream di Steven Spielberg e compagnia Academyesca.
L'ultimo di Lars von Trier? Beh, era necessario.
Il nuovo di Takashi Miike? Assolutamente necessario.
Il prossimo di Lav Diaz? Necessario, senza alcun dubbio.
Il film in preparazione di Babnithi Gongchulepradittiwai Wawittawanarang? Necessario ancora più degli altri.
Nessuno verrà mai a chiedervi "necessario a cosa", quindi usatelo e abusatelo come meglio credete ogniqualvolta un film o un autore vi piaccia in particolar modo: i vostri lettori sbaveranno come lumache e non vedranno l'ora di poter assistere anche loro alla nuova necessità che voi avrete sottolineato e dato loro in pasto.
ps: Babnithi Gongchulepradittiwai Wawittawanarang non esiste.
Era necessario dirvelo.
Posizione 5
Disturbante
Viscere maciullate, visioni orgiastiche, profezie sataniche, sanguinamenti psichedelici e personalità deviate stuzzicano la morbosità del critico del web.
Il cinefilo, tutto sommato, è un voyeurista che si nutre e sollazza con esperienze altrui, seppur di finzione.
Ildisturbante quindi è una perversione lecita ma pericolosa per la creatura divoratrice di pellicole.
Il problema sorge quando questo aggettivo assume un connotato qualitativo: i film diventano buoni in quanto disturbanti.
Il disturbo è prioritario.
La linea si appiattisce: che sia un capolavoro come Salò e le 120 giornate di Sodoma o un atto onanistico come A Serbian Film, che sia un'opera stratificata come Taxidermia o una paccottiglia di viscere e merda a là The Human Centipede, tutto finirà comunque nella zuppa di budella che chiamiamo "disturbante".
È necessario un disclaimer lampeggiante all'ingresso di una qualsiasi redazione cinematografica con la scritta:
"Disturbante": una parola da maneggiare con estrema cura.
Posizione 4
Capolavoro
E si torna sempre lì. C'è poco da fare.
Nell'era di Internet, quel momento storico in cui la libertà di opinione si confonde con il delirio di onnipotenza, il gusto personale assurge a giudice massimo di ogni questione e la competenza è divenuta un motivo per cui essere scherniti: ognuno è libero di definire capolavoro ogni opera che gli piace un po' più della media.
Non si importa se non si ha la formazione per poter valutare la qualità tecnica, se non si inquadra la pellicola dal punto di vista storico o se addirittura si fatica a inserirla in un genere.
Ciascun film è a un solo grado di separazione dalla definizione di capolavoro e quel grado di separazione siete voi.
Se sentite il bisogno di trattenervi dal dare giudizi secchi, estremi e parziali... non fatelo!
Dovete dire la vostra, nella maniera più chiassosa e sguaiata possibile!
Cosa conta se l'opera non ha apportato alcun elemento di evoluzione al genere in cui confluisce, se non rappresenta il caposaldo o un punto di svolta stilistica-tematica all'interno della filmografia dell'autore di riferimento, se non ha influenzato gli artisti delle generazioni successive o se magari - pur risultando appassionante - contiene errori troppo evidenti per assurgere al ruolo?
Anni di evoluzione di Storia del Cinema sono confluiti tutti in un unico epicentro.
E quell'epicentro siete voi.
In fondo un capolavoro è solo ciò che guarderemmo un numero infinito di volte.
O no?
Posizione 3
Buchi di sceneggiatura
Nato relativamente da poco tempo rispetto ad altri termini di questo articolo, il "buco di sceneggiatura" ha scalato in fretta le classifiche di gradimento dei critici della rete.
Possiamo trovarlo anche nella sua forma più plebea, ovvero "Buchi di Trama", ma il concetto è sempre quello: c'è qualcosa nello sviluppo di una storia che non vi ha convinto o, ancora meglio, che non avete capito?
Il Buco di Sceneggiatura verrà in vostro soccorso.
Un personaggio fa qualcosa che non vi aspettate o un plot si dipana in maniera così non lineare da richiedervi l'utilizzo di qualche neurone in più rispetto al solito?
Lo sceneggiatore scrive un finale a cui voi non avreste pensato o che non vi trova d'accordo perché voi - ovviamente - lo avreste scritto meglio?
Beh: è un Buco di Sceneggiatura, ovvio.
Non importa se il termine ha un suo senso specifico che non è neanche così incredibilmente complicato da afferrare, il Buco di Sceneggiatura è la giustificazione adatta per qualunque passaggio di un film che vi ha infastidito, innervosito, infervorato, indignato e altri aggettivi che iniziano per "in".
Da notare che è anche una delle più comode pietre tombali da porre come giudizio tranchant su un intero film:
Nah, quel film è brutto[perché il critico del web non scende mai a dire 'non mi è piaciuto', per lui tutto diventa oggettivo]perché è pieno di Buchi di Sceneggiatura.
Basta così, non vi serve nient'altro.
E nello scandaloso caso in cui qualcuno vi chieda di elencare quali siano questi buchi potrete sempre trincerarvi dietro a un soffice Se non li hai notati allora di Cinema ci capisci poco.
Per poi volare via, silenziosi, nella notte del dark web.
Posizione 2
Esercizio di stile
Questo è un vezzo tutto italiano. Qui sembra che l'occhio non voglia mai la sua parte.
La ricerca di una bella inquadratura è quasi una colpa. La scelta di una palette cromatica più ricercata è da disdegnare.
Movimenti di macchina arditi e piani sequenza sono ben più che vietati. Vacui esercizi di stile di chi non ha nulla da dire.
Come se chi lavora solo di cavalletto, di mezzi busti e di iper-realismo avesse sempre da dire tutte 'ste cose.
"Ma non la vedete la spocchia di chi effettua certe scelte? Vogliono solo farci vedere quanto sono bravi!!!"
Non c'è mai la possibilità che una scelta sia funzionale, sperimentale o semplicemente più consona alla poetica autoriale del regista in questione.
La Grande Bellezza? Vuoto esercizio di stile.
Birdman e The Revenant? Meri esercizi di stile.
The Neon Demon e 1917? Semplici esercizi di stile.
Ma sì, cosa conta la visione unificatrice dell'autore? Per cosa si batte Martin Scorsese?
Ma per l'appiattimento della Settima Arte, ovviamente! D'altronde la tecnica non serve a nulla.
Dipende tutto dalla storia, dalla trama, vero?
Dai, ragazzi, ammettiamolo: la gente dannatamente brava a volte ci fa incazzare, e non poco.
E allora bisogna svuotare di significato anche la forma della sua opera, non solo la sua sostanza.
Il dubbio che i due aspetti si contemperino al fine di raggiungere un più alto di produzione artistica non alberga nelle nostre anime.
Perché in fondo, si sa: il Cinema non è mica un'arte di cui si gode prevalentemente attraverso la vista.
Posizione 1
Pugno nello stomaco
Non si capisce bene perché questa metafora faccia continuamente breccia nel cuore di ogni cinefilo del web.
Che si tratti del solito drammone hollywoodiano sulle minoranze o dell'ennesimo film di nicchia dove si celebra l'estetica del disgusto.
Che sia una raffinata pellicola arthouse sperimentale o un pot-pourri di spade, pistole e mazzate, il cinefilo dovrà fare scorte di antidolorifici e gastroprotettori: il pugno nello stomaco è assicurato.
Il cinefilo del web vorrebbe indire una petizione per sostituire la locuzione "pugno nello stomaco" a tutta una serie di parole inutili e orpelli.
Perché usare termini aulici e in disuso come "perturbante" o "commovente" quando poter riassumere tutto in una metafora di tre parole?
Mica si vorrà passare per professoroni?
Pugno nello stomaco is the way.
Il medico raccomanda l'utilizzo di "pugni nello stomaco" a piccole dosi: potrebbe nuocere gravemente alla salute della critica e a chi le sta intorno.