Il gangster movie è un genere cinematografico che ha contribuito a rendere immortali moltissimi personaggi della Storia del Cinema.
Al pari del western, tanti registi del passato sono riusciti a elevarsi come maestri della Settima Arte attraverso il genere gangster, rendendo grande il Cinema di genere e portando il mito e i demoni del malavitoso nell’immaginario collettivo degli spettatori di tutto il mondo.
Il film capostipite del genere fu Le notti di Chicago (Underworld) una pellicola muta diretta da Josef von Sternberg nel 1927.
Quest'opera prodotta dalla Paramount vede protagonista il gangster “Bull” Weed che dopo esser evaso dal carcere cerca di scoprire se sua moglie e il suo braccio destro l’hanno tradito.
Le atmosfere cupe de Le notti di Chicago e la caratterizzazione del suo protagonista diedero il via libera alla produzione di molte pellicole basate sulla malavita, come Nemico Pubblico di William Wellman, Piccolo Cesare di Mervyn LeRoy, ma soprattutto Scarface di Howard Hawks.
Quest’ultimo fu a tutti gli effetti il gangster movie per eccellenza di quegli anni: ambientato nell’epoca del proibizionismo, il film di Hawks vedeva come protagonista il malavitoso Tony Camonte in un'ascesa e successiva caduta nel mondo del crimine organizzato fatta di violenza e morte.
Scarface ebbe una produzione travagliata, in quanto l’eccessiva quantità di omicidi non concordava con l’immagine di Hollywood di quegli anni.
Quando uscì però fu un successo immediato, e fu anche l’ultimo grande gangster movie di quell’epoca: nonostante qualche uscita come Il massacro di San Valentino di Roger Corman o La farfalla sul mirino di Seijun Suzuki, per quasi quarant’anni questo genere entrò nel dimenticatoio.
La grande ripresa fu segnata da uno dei capolavori della storia del cinema:Il Padrino, diretto da Francis Ford Coppola.
Il film basato sull’omonimo romanzo di Mario Puzo fu distribuito nel 1972: con protagonisti Marlon Brando e Al Pacino fu un successo sia di pubblico che di critica e contribuì a lanciare in modo definitivo Al Pacino nell’olimpo dei mostri sacri della recitazione, oltre che esplorare in una maniera mai vista fino a quel momento la vita dei mafiosi italoamericani.
[Marlon Brando vinse il suo secondo Premio Oscar grazie all' interpretazione di Don Vito Corleone]
Dopo il film di Coppola il cinema gangster cambiò radicalmente, segnando in maniera indelebile la Storia della Settima Arte.
Nel 1973 uscì Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno di Martin Scorsese, film fondamentale per il regista newyorkese, con protagonisti due giovanissimi Robert De Niro e Harvey Keitel, mentre l’anno dopo venne distribuito Il Padrino - parte 2 che vinse 6 Premi Oscar.
Sebbene molto diversi fra di loro, questi due film ritraevano i propri protagonisti come abili strateghi oltre che come personaggi privi di scrupoli e morale, a differenza dei gangster movie del passato che raffiguravano i malavitosi come ubiaconi megalomani.
Ma oltre a questo il loro lifestyle, il fascino magnetico e la loro ambizione permettevano agli spettatori di tifare per loro, generando una moltitudine di sentimenti ed emozioni fortemente in contrasto fra di loro.
Dall'altra parte del mondo nel 1973 venne distribuito Lotta senza codice d'onore, film giapponese diretto da Kinji Fukasaku, considerato Il padrino del Sol Levante nonché padre degli Yakuza movie.
Il decennio successivo fu segnato da un altro capolavoro della Storia del Cinema: C’era una volta in America di Sergio Leone.
L’opera diretta dal padre degli spaghetti western rappresenta l’epopea perfetta del malavitoso: una “favola", com'è stata definita dallo stesso Leone, che vede protagonista Noodles (Robert De Niro) dai primi passi nel crimine organizzato fino alla sua successiva consacrazione e caduta.
[C'era una volta in America: uno dei più bei film della Storia del Cinema]
Gli anni '80 resero grande anche un altro cineasta della New Hollywood: Brian De Palma.
Due dei più importanti gangster movie di quegli anni sono infatti diretti da lui: il cult Scarface con Al Pacino, remake del film di Hawks, e The Untouchables -Gli Intoccabili, con De Niro nei panni di Al Capone.
Ma la definitiva consacrazione del genere gangster nella Storia del Cinema avvenne negli anni '90 soprattutto grazie a Martin Scorsese.
Nel 1990 uscì Quei bravi ragazzi, con Robert De Niro, Joe Pesci che vinse il Premio Oscar per la sua interpretazione del mafioso Tommy DeVito, e Ray Liotta nel ruolo più iconico e importante della sua carriera.
Il film di Scorsese incassò 275 milioni di dollari in tutto il mondo e contribuì a rendere mitologica la figura del gangster, criticando anche in maniera feroce la loro vita come si evince dal finale del film.
Sempre lo stesso anno venne distribuito l’ultimo capitolo della trilogia de IlPadrino che, sebbene non sia al livello stratosferico dei primi due capitoli, risulta essere una degna conclusione di una delle trilogie più belle di sempre.
[Scena iconica di Sonatine con Takeshi Kitano protagonista
Gli anni '90 furono un decennio importantissimo per questo genere grazie anche a Takeshi Kitano, che sfornò film sulla Yakuza come i bellissimi Sonatine e Hana-Bi - Fiori di fuoco, vincendo con quest’ultimo il Leone d'oro alla Mostra del Cinema di Venezia.
Sempre in questi anni uscirono Carlito’s Way, il capolavoro di De Palma con un immortale Al Pacino, e Casinò di Scorsese, sempre con l'accoppiata De Niro e Pesci.
Quali sono invece i film che hanno segnato il gangster movie dall'inizio di questo secolo?
Con questa classifica ho voluto elencare quelle che ritengo essere le 8 migliori opere del genere, cercando di essere il più variegato possibile e inserendo una sola pellicola per regista.
1 di 8
Posizione 8
Ichi the killer
Takashi Miike, 2001
La violenza come scelta estetica portata al limite della sopportazione, come amore incondizionato, ma allo stesso tempo come ossessione e condanna: se dovessi scegliere un protagonista per Ichi the killer non sarebbe un personaggio, bensì la violenza.
Tratto dall’omonimo fumetto di Hideo Yamamoto, il film di Takashi Miike segue lo yakuza Kakihara nella ricerca di Ichi, uno squilibrato killer che sotto gli ordini di Jijii (Shinya Tsukamoto), ha ucciso il padrino di Kakihara nonché capo del clan Anjo.
Leggendo la sinossi, Ichi the killer può sembrare un semplice yakuza-eiga, ma ridurlo a tale categoria sarebbe un errore.
Innanzitutto i personaggi che compongono il mondo malato messo in scena da Miike sono tutt’altro che normali gangster: Kakihara, interpretato da Tadanobu Asano, è perennemente eccitato dal pensiero della morte e dal dolore, da ciò ne deriva una personalità al limite del borderline, sadica, sadomasochista e incredibilmente affascinante.
Allo stesso tempo la sua nemesi Ichi (Nao Omoro) è all’apparenza innocua, ma grazie ai traumi inflitti da Jijii quando piange si trasforma in un killer spietato e anch’esso eccitato dalla violenza.
A tutto ciò fanno da contorno spietati e corrotti poliziotti, papponi violenti, gangster sadici e litri e litri di sangue.
Gli intrecci del film e la poetica coerente con lo sviluppo della trama fanno sì che il gore mostrato durante le due ore di durata di quest’opera non sia fine a se stesso, ma fondamentale per marcare un concetto ideologico messo in chiaro subito dal regista di Izo.
Ichi the killer risulta essere un connubio di violenza e amore fuori dall’ordinario, una ricerca ossessiva della propria anima gemella confezionato da una messa in scena spettacolare e scelte registiche visionarie, da parte di quel regista folle che è Takashi Miike.
Posizione 7
Lawless
John Hillcoat, 2012
Come accennnato nell’articolo, una delle molte cose che il pubblico ama dei gangster movie è la mitologia dei personaggi che compongono quel mondo, il loro stile, la loro classe.
John Hillcoat, regista di grandi film come The Road o La proposta, con Lawless sceglie di percorrere la strada opposta, sfatando quell’aura di mito che caratterizzava i malavitosi degli anni '30.
Siamo in piena epoca del proibizionismo e i fratelli Bondurant fanno piccoli affari qua e là producendo e commerciando alcolici.
I tre però sono molto diversi fra di loro: colui che è a capo dell’organizzazione è Forrest (Tom Hardy), un sopravvissuto della prima guerra mondiale carismatico ma poco loquace, il suo braccio destro è Howard (Jason Clarke), un alcolizzato che segue pedissequamente ciò che Forrest gli dice e infine Jack (Shia LaBeouf), il più debole caratterialmente che insegue il mito di Al Capone.
La loro vita procede tranquilla fino a quando in città arriva il vice sceriffo Charley Rakes (Guy Pearce) determinato a sgomberare la banda dei fratelli Bondurant dato che quest’ultimi non si vogliono piegare ai suoi ricatti.
A ciò si aggiunge la sfrenata ambizione di Jack che per poter far più soldi e conquistare una ragazza del proprio Paese (Mia Wasikowski) si mette in affari con il gangster Floyd Banner (Gary Oldman).
John Hillcoat sceglie di raccontarci la storia tramite gli occhi del personaggio interpretato alla grande da Shia Labeouf che, un po’ come noi spettatori, vive nel mito dei gangster sfarzosi dell’epoca del proibizionismo, ma che grazie a suoi fratelli scoprirà che le cose importanti sono altre.
La violenza presente in Lawless, i tradimenti e il modo in cui vengono trattate le donne - in particolare il personaggio di Jessica Chastain - ci fanno capire che non sempre la vita di personalità famose è ciò che ci si immagina.
In particolare attorno ai fratelli Bondurant aleggia una leggenda secondo la quale essi siano invincibili ma, come Hillcoat ci mostra nel film, spesso le cose più semplici e banali sono al tempo stesso le più importanti e anche le più fatali.
Lawless è un film passato abbastanza in sordina, ma che merita sicuramente più di una visione sia per apprezzare la grande prova di tutto il cast stellare, sia per vedere un gangster movie diverso dal solito, nutrito di personaggi rozzi e violenti ma non per questo meno affascinante e avvincente.
Posizione 6
Infernal Affairs
Andrew Lau e Alan Mak, 2002
Quanti di voi hanno visto The Departed, il bellissimo film del 2006 diretto da Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, Matt Damon e Jack Nicholson?
Molti magari non sapranno che l’opera che ha regalato il Premio Oscar al regista di Taxi Driver è il remake di Infernal Affairs, pellicola del 2002 diretta da Andrew Lau e Alan Mak.
Hong Kong: Hon Sam è un potente boss che gestisce il narcotraffico cittadino e infiltra nel corpo della polizia il giovane Lau Kin-ming (Andy Lau), grazie alla sua disciplina e determinazione il ragazzo riesce a scalare le gerarchie fino ad arrivare ai piani alti del comando della polizia.
Allo stesso tempo Chang Wing-yan (Tony Leung Chiu-Wai) entra nelle forze dell'ordine e, complici le sue doti fuori dal comune, viene messo sotto copertura nell’organizzazione di Sam.
Il gioco diventerà pericoloso a tal punto che entrambi i protagonisti non ne vorranno più far parte.
Andrew Lau condensa in poco più di un’ora e mezza una storia affascinante, compatta e priva di sbavature.
Senza indugiare troppo sui fattori esterni che possono influenzare i due agenti, Infernal Affairs si concentra su un aspetto: i due protagonisti non solo devono scoprire chi sia l’infiltrato ,ma anche cercare di ritrovare la propria identità che in questi anni da doppiogiochisti sembra essere scomparsa.
Il regista, già direttore della fotografia di Wong Kar-wai, si concentra quindi sui dettagli che in situazioni delicate come quelle del film possono essere letali, fornendo spesso tante informazioni allo spettatore e creando uno stato d’ansia degno dei migliori thriller.
Inoltre, grazie a una regia dinamica, riesce a mantenere vivo il racconto senza risultare didascalico o eccessivamente confusionario.
Infernal Affairs è un gran film che ha ridato vita al cinema heroic bloodshed tanto caro a Hong Kong, diventando istantaneamente un’opera di riferimento per questo genere.
Posizione 5
Bittersweet Life
Kim Ji-woon, 2005
“A nessuno frega un cazzo di nessuno, questa è la verità.”
La frase che avete appena letto è detta da Mun Suk, uno yakuza al servizio del boss Mr. Kang, a Sun Woo, il manager dell’albergo La dolce vita e braccio destro di Mr. Kang.
La frase racchiude il mondo in cui è ambientato Bittersweet Life, diretto da Kim Ji-woon.
Sun Woo, interpretato da quel Lee Byung-hun già apprezzato ne Il buono, il matto, il cattivo, conduce una vita tutto sommato lineare fino a quando il suo capo non gli affida un compito delicatissimo: scoprire se la sua ragazza gli è infedele e, in quel caso, sbarazzarsene.
Da questo momento in poi la vita dello stimato manager d’albergo cambierà radicalmente e quelli che pensava essere suoi compagni si riveleranno esclusivamente dei menefreghisti, in un ambiente in cui i valori umani sono completamente scomparsi per lasciare spazio al proprio tornaconto.
Kim Ji-woon in questo film mostra tutta la sua bravura tecnica nel girare scene d’azione spettacolari e nell'equilibrare perfettamente la violenza con la poesia.
I maestri a cui attinge a piene mani in Bittersweet Life sono due: Sergio Leone per il connubio fra colonna sonora e messinscena, per la caratterizzazione del protagonista, per il finale che segue l’ambiguità di C’era una volta in America e Jean-Pierre Melville per le atmosfere noir.
La bellezza del film di KimJi-woon non risiede quindi tanto nella complessità della trama, ma nella bravura del regista di Two Sisters nel raggiungere una poetica precisa scavando a malapena nei personaggi dove “a nessuno frega un cazzo di nessuno”, esaltando invece il mondo patinato in cui i gangster si muovono a eccezione di Sun Woo, alla perenne ricerca dei propri sentimenti.
Bittersweet Life è un’opera nichilista che conferma la bravura di Kim Ji-woon e che affronta il gangster movie senza volerlo stravolgere, con classe, poesia e una qualità visiva da lasciare a bocca aperta.
Posizione 4
American Gangster
Ridley Scott, 2007
Negli ultimi vent’anni la qualità dei film realizzati da Ridley Scott non è stata eccelsa, e la sua carriera è stata contraddistinta da tante opere di medio valore con pochi picchi e molte cadute.
Uno dei picchi è rappresentato da American Gangster, film del 2007 con protagonisti Denzel Washington e Russel Crowe.
Siamo nel 1968 e la Guerra del Vietnam è appena scoppiata, a Harlem Frank Lucas (Denzel Washington) sale al potere dopo la morte del suo capo, il boss Bumpy Johnson.
Lucas, stanco di dover dipendere dai debiti nei confronti degli altri malavitosi della zona, decide di mettersi in proprio e acquistare l’eroina direttamente nella giungla del Vietnam, per poi venderla pura nelle strade a un prezzo stracciato.
Nel frattempo il detective Richie Roberts (Russel Crowe) compie un gesto che lo metterà in cattiva luce con tutto il dipartimento: consegna un milione di dollari non contrassegnati dopo averli trovati in una macchina, contrariamente a quello che di solito fanno i suoi colleghi abituati a tenere il denaro per sé.
Da questo momento in poi Richie è costretto a lavorare con una nuova squadra nella sezione narcotici per catturare esclusivamente i pesci grossi.
Ridley Scott in American Gangster ci mostra in maniera quasi documentaristica un periodo storico poco affrontato sul grande schermo: la piaga dell’eroina degli anni '70.
La forza del film di Scott, oltre a un immenso Denzel Washington, risiede però nella capacità di distaccarsi dai gangster della strada e dal loro fascino per portarci nel marciume delle forze dell’ordine di quegli anni, denunciando apertamente uno Stato che ha permesso la diffusione dell’eroina a discapito della pelle dei propri cittadini.
La dicotomia fra Frank Lucas e Richie Roberts diventa una delle colonne portanti del film grazie innanzitutto alla bravura degli interpreti, ma anche ai due spaccati della società americana che Denzel Washington e Russell Crowe rappresentano: da una parte abbiamo un malavitoso attaccato però ai valori della famiglia e della chiesa, dall'altra un poliziotto onesto ma incapace di badare a suo figlio e di mantenere uno stile di vita equilibrato.
American Gangster in conclusione è un film di grande impatto grazie a una narrazione fluida e precisa - la sceneggiatura non a caso è di Steven Zaillian - già autore di Schindler's List, Gangs of New York e futuro sceneggiatore di The Irishman - e a una regia mai invadente ma utile e al servizio di un’opera che, una volta finita, ci pone una domanda: il vero gangster era Frank Lucas o lo Stato?
Posizione 3
Gomorra
Matteo Garrone, 2008
Cinque storie per raccontare una realtà agghiacciante del nostro Paese, cinque situazioni per portare sullo schermo uno dei libri più importanti e venduti di questo secolo: Gomorra di Roberto Saviano.
Matteo Garrone, un regista capace di mostrare le periferie italiane con maestria e un tocco documentaristico, sceglie di evitare qualsiasi spettacolarizzazione della mafia limitandosi appunto a raccontare.
Le vicende di un talentuoso sarto costretto al lavoro in nero, di due amici che seguono l’american dream alla Tony Montana, di un giovane che scoprirà la dura e triste realtà dell’ambiente in cui vive, di un contabile della Camorra e di un imprenditore e il suo collaboratore dediti allo smaltimento illegale di rifiuti tossici, fanno da sfondo a un Paese che sembra essersi rassegnato a tutto questo.
Nel film di Garrone non c’è spazio per la speranza, non ci sono situazioni strappalacrime, tutto è ordinario, le persone sono solo di passaggio in un sistema in cui le amicizie possono cambiare da un giorno all’altro.
Poco importa se tuo marito abbia servito il clan per anni e ora è in galera: se tuo figlio è uno scissionista non verrai più aiutata economicamente e non sarai più protetta.
In Gomorra l’ambiente riveste un ruolo principale e rispecchia totalmente le persone che ne fanno parte.
I pochi campi lunghi sulle Vele di Scampia denunciano una situazione dove l’infanzia è a stretto contatto con la morte, gli interni delle abitazioni sono degradati ma enfatizzati da qualche elemento barocco probabilmente destinato a qualche boss e la natura è solo vista come un'opportunità per lucrare.
Tutto è funzionale al racconto, la musica è esclusivamente diegetica e si fonde con gli spari e con i rari suoni delle sirene della polizia, che appare impotente davanti a quel mondo.
Gomorra è un film dal valore artistico e storico immortale, un’opera che ha vinto il Grand Prix della Giuria al Festivaldel Cinema di Cannes, 5 European Film Awards e 7 David di Donatello, segnando inevitabilmente il Cinema italiano e internazionale.
Posizione 2
La promessa dell'assassino
David Cronenberg, 2007
Cronenberg è un regista che durante tutta la sua straordinaria carriera ha mostrato il male presente in ogni essere umano.
Se nella sua prima parte di filmografia ha percorso questo affascinante viaggio attraverso il body horror con opere come Il demone sotto la pelle, Videodrome o La Mosca, negli ultimi anni si è concentrato su come uomini all’apparenza normali possano trasformarsi in qualcos'altro che hanno sempre nascosto o che avrebbero voluto essere.
Ed è proprio in questa realtà che si svolge La promessa dell’assassino.
Nella fredda e uggiosa Londra l'ostetrica Anna Khitrova (Naomi Watts) rimane segnata dalla morte di una ragazza quattordicenne, deceduta a seguito di un'emorragia interna dopo aver dato alla luce una bambina.
Della ragazza non si conosce nulla, ma grazie al suo diario Anna verrà a conoscenza di una realtà aberrante.
Nelle pagine di quel diario l’ostetrica trova infatti il biglietto di un ristorante gestito da un boss della mafia russa (Armin Mueller-Stahl) e da suo figlio Kirill (Vincent Cassel) che scopre essere legati alla morte della giovane.
L’autista di Kirill (Viggo Mortensen) allo stesso tempo cerca di scalare le gerarchie della famiglia, ma resterà invischiato nella ricerca ossessiva di Anna dell’identità della quattordicenne.
In questo gangster movie di David Cronenberg ogni personaggio è ambiguo, alla perenne ricerca della propria identità e coscienza.
Perché Anna vuole a tutti costi trovare un affidamento per la bambina?
Chi è Nikolai, l’autista interpretato magnificamente da Viggo Mortensen? Il mostro del film è veramente Kirill?
Nello svelarci le risposte il regista canadese tratteggia un quadro impietoso e triste dell’essere umano fatto di morte, violenza e rassegnazione.
Cronenberg, che ha sempre fatto della fisicità uno dei suoi temi fondamentali, la inserisce da vero Maestro girando scene dal forte impatto visivo e portandola a rivestire un ruolo da comprimario ai fini del racconto.
Ma il vero punto di forza de La promessa dell’assassino risiede nella scrittura dei personaggi, che ogni volta ci sembra di conoscere ma puntualmente ci sorprendono, in particolare quello di Nikolai.
L’autista è un moderno antieroe, rassegnato a un destino che sembra essere già scritto ma che cerca in tutti modi di fare del bene, aiutando Anna ma anche Kirill, interpretato da un fragile e bravissimo Vincent Cassel.
La promessa dell’assassino è un film dai temi duri, freddo come la luce della fotografia di Peter Suschitzky ma estremamente coinvolgente e sorprendente, che contribuisce a rendere grande il genere gangster e che conferma la poliedricità e l’immortale talento di David Cronenberg.
Posizione 1
The Irishman
Martin Scorsese, 2019
Quando si parla di Cinema e in particolare dei gangster movie uno dei primi registi a cui si pensa è senza dubbio Martin Scorsese, che ha legato la sua carriera a questo genere con tre opere monumentali: Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno, Quei bravi ragazzi e Casinò.
Se si parla invece di attori famosi per le loro magnifiche interpretazioni di malavitosi Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci sono i primi nomi che vengono in mente.
Nel 2019 è uscito The Irishman, un’opera gargantuesca dalla durata di 209 minuti che raggruppa tutte le figure citate poco sopra.
L’epica e i ritmi frenetici che hanno contraddistinto Quei bravi ragazzi e Casinò in The Irishman vengono lasciati da parte: i protagonisti qui sono la morte e il trascorrere ineluttabile del tempo.
Tratto dal romanzo di Charles Brandt I Heard You Paint Houses il film di Scorsese segue attraverso gli occhi di Frank Sheeran due avvenimenti chiave per la Storia degli Stati Uniti: l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy e la scomparsa del sindacalista Jimmy Hoffa.
Sheeran, interpretato da un posato e perfetto Robert De Niro, è un soldato della mafia italoamericana che attraverso una serie di raccomandazioni arriva a lavorare per il più potente boss di Philadelphia: Russel Bufalino, un magnifico Joe Pesci.
A sua volta Bufalino raccomanderà Sheeran a Jimmy Hoffa, il sindacalista più importante di quel momento interpretato da un vulcanico Al Pacino.
La scelta di raccontare la storia mediante Frank Sheeran è perfetta: essendo lui al centro di tutte le vicende del film viene sopraffatto dagli eventi.
Un soldato che semplicemente esegue gli ordini senza che il tempo (apparentemente) lo cambi, anche dopo gli omicidi più difficili da eseguire.
In The Irishman ogni cosa è calcolata al millimetro, lo è la sceneggiatura del Premio Oscar Steven Zaillian che non risulta per nulla complicata nonostante la moltitudine di avvenimenti presenti e la durata epocale, lo è il montaggio della tre volte Premio Oscar Thelma Schoonmaker, con continui avanti e indietro nel tempo che rendono il film privo di momenti morti.
Ma soprattutto la stupenda regia di Martin Scorsese e le interpretazioni dei suoi “vecchi amici” rendono The Irishman un’opera che farà scuola negli anni a venire.
Robert De Niro recita per sottrazione in un ruolo difficilissimo, che purtroppo è stato snobbato dalla stagione dei premi 2019, Joe Pesci interpreta invece un personaggio inusuale per la sua carriera cinematografica che però mette in risalto tutto il suo talento, mentre Al Pacino alla sua prima prova diretto da Scorsese ci regala una delle performance più belle e carismatiche della sua sterminata carriera.
Ci sarebbe molto da dire su The Irishman, ma questo film ha una tale imponenza che ci sente annichiliti solo al pensiero di parlarne.
Un’opera che da quando è uscita al cinema mi ha dato subito l’aria di essere un capolavoro, un film dal sapore d’altri tempi che solo uno dei registi più importanti della Storia della Settima Arte ci poteva regalare e che purtroppo il tempo, quel maledetto tempo, non ci darà più.
Sono nato a Verona il 28 aprile 1998 e tre giorni dopo uscì in Italia Il grande Lebowski.
Dall'opera dei Fratelli Coen ho preso la quiete del Drugo che mi ha portato a passare interi pomeriggi e sere a guardare film.
Laureato in Scienze della comunicazione e in Editoria e giornalismo con due tesi in Storia e critica del Cinema. Amo particolarmente i gangster movie, i noir e i western ma sogno una vita diretta da Éric Rohmer.
Preferisco anche film di durata inferiore alle 2 ore, per esempio Endgame è stato discreto ma l'ho trovato eccessivamente lungo e per questo un po' noioso.
Poi ci sono sempre le eccezioni ma sono diventato incredibilmente selettivo, voglio soprattutto azione e divetimento.
Mi capita spessissimo di leggere tuoi commenti qui sul sito e pensare "Ma cosa diavolo mai ci farà su un portale di informazione cinematografica?!"
Quasi ogni film proposto dalla redazione non ti piace o non lo vedresti mai... compresa questa selezione di grandi pellicole (alcune posizioni sono semplicemente imperdibili)... Quindi, Nuriell... Ma tu... Che film guardi?!? 🤣🤣
Emanuele Antolini
4 anni fa
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Nuriell
4 anni fa
Niente drammatici, sportivi, sentimentali, horror...
Preferisco anche film di durata inferiore alle 2 ore, per esempio Endgame è stato discreto ma l'ho trovato eccessivamente lungo e per questo un po' noioso.
Poi ci sono sempre le eccezioni ma sono diventato incredibilmente selettivo, voglio soprattutto azione e divetimento.
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Emanuele Antolini
4 anni fa
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Emanuele Antolini
4 anni fa
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Adriano Meis
4 anni fa
Quasi ogni film proposto dalla redazione non ti piace o non lo vedresti mai... compresa questa selezione di grandi pellicole (alcune posizioni sono semplicemente imperdibili)... Quindi, Nuriell... Ma tu... Che film guardi?!? 🤣🤣
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