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The Rumble In The Jungle & Zaire 74
Siamo nel 1974: Muhammad Ali ''The Greatest'', ''The Louisville Lip'' è pronto a tentare l’assalto al titolo mondiale dei pesi massimi.
Dopo il termine della squalifica - causa diserzione della guerra del Vietnam - e il faticoso ritorno alle competizioni, sono arrivate due brucianti sconfitte ai punti contro Joe Frazier e Ken Norton.
Il nuovo campione è George Foreman, imbattuto e strafavorito dopo aver manifestato la sua superiorità mandando al tappeto gli stessi Frazier e Norton in meno due round.
Il nuovo campione contro il vecchio, lo “Zio Tom” contro il “Black Muslim”, disertore e traditore della patria.
Ci sono tutti gli ingredienti per un evento memorabile.
[Godetevi un po’ del flow di questo fenomenale rapper]
Se questo evento ha effettivamente avuto luogo e non è rimasto soltanto una boutade, dobbiamo ringraziare due uomini: Don King e Mobutu Sese Seko.
Don King è un afroamericano con un passato a dir poco turbolento: lascia il college e diventa allibratore illegale.
I rischi del mestiere lo portano, dopo un’assoluzione per legittima difesa in seguito alle accuse di omicidio susseguenti una rapina subita, a essere condannato a tre anni e mezzo di carcere per aver pestato a morte uno sventurato debitore.
Nel 1971 viene rilasciato e decide di cambiare vita sfruttando le sue conoscenze nel mondo degli investimenti per diventare promotore di incontri di pugilato.
[Don King con Ali e Frazier nel 1975 per promuovere l'incontro tra i due passato alla storia come "The Thrilla In Manila"]
Facendo un veloce fast forward arriviamo al 1974, quando King riesce a convincere i due boxeur, Ali e Foreman, a firmare i contratti mettendo in palio una borsa di 5 milioni di dollari.
Il fatto che egli non disponga di quella cifra non è solo un dettaglio perché proprio nella sua ricerca di un sovvenzionamento King si imbatte nel secondo uomo cardine della storia, Mobutu.
Mobutu è il tipico dittatore africano del secolo scorso.
Salito al potere con il supporto della CIA per deporre Patrice Lumumba, primo presidente eletto della Repubblica Democratica del Congo, Mobutu ha instaurato un regime sanguinario e fortemente corrotto.
E dopo aver cambiato nome al paese, rinominandolo Zaire, ha promosso fortemente il culto della sua personalità con metodi a metà tra l’inquietante e l’imbarazzante.
È in questo humus narcisistico ed esibizionista che Don King trova l’uomo e il luogo adatti ad ospitare il grande match, tenutosi a Kinshasa nell’ottobre ’74 e diventato famoso alle cronache come “The Rumble In The Jungle”.
[Da sinistra a destra: Don King, Mobutu col suo immancabile cappello leopardato, Muhammad Ali]
Parallelamente il trombettista sudafricano Hugh Masekela e il produttore musicale Stewart Levine, compagni di stanza ai tempi del conservatorio a Manhattan, stanno organizzando un festival musicale in Africa con l’intento di riunire i più grandi musicisti afro-americani e africani nella loro terra d’origine.
Venuti a conoscenza dei piani di Don King, gli propongono di unire il match e il festival in un unico storico evento.
King si rivolge a Mobutu che coglie la palla al balzo, pregustando finalmente il prestigio internazionale di cui il neonato Zaire faceva ancora difetto.
Un gruppo di investimento liberiano, che non ringrazieremo mai abbastanza, provvederà a finanziare e filmare i tre giorni di festival.
[Hugh Masekela e Stewart Levine]
Nel 1996 Leon Gast, presente a Kinshasa nel ’74, dà alla luce When We Were Kings, documentario sul grande evento – match e festival – valsogli la vittoria dell’Academy Award come Miglior Film Documentario.
La costruzione mediatica dell’incontro e della manifestazione, Ali che si ingrazia la folla congolese e spezzoni dei concerti ci conducono agli ultimi venti minuti in cui la battaglia la fa da padrone.
Se non l’avete mai visto ve lo consiglio caldamente, ma oggi non sono qui per scrivere del “Rumble In The Jungle” bensì del festival diventato famoso col nome di Zaire 74.
Nel ’96 tra i collaboratori di Gast al montaggio c’è Jeff Levy-Hinte.
Proprio Levy-Hinte, che per ovvie ragioni aveva dovuto visionare ore e ore di girato, decide di rispolverare i filmati relativi alla tre giorni musicale, realizzando nel 2008 Soul Power.
[Spoiler: Ali vince!]
Soul Power
“Voglio dire, come fai a chiamare gli artisti e dirgli “Hey ascoltate è tutto cancellato perché Foreman si è tagliato a un occhio”?!”
S. Levine
Sì: dopo mesi di promozione e l’hype ormai salito alle stelle, Foreman si taglia al sopracciglio e il match deve essere posticipato di un mese.
Un primo momento di incredulità lascia subito spazio alla realizzazione del fatto che se sei riuscito a coinvolgere artisti del calibro di James Brown e B.B. King, più tutti gli altri, per un festival di tre giorni nel cuore dell’Africa nera, il festival si farà e si farà nei giorni previsti, con o senza incontro.
Perciò tutti sull’aereo in direzione Kinshasa a ballare e cantare con la musica di Celia Cruz e dei Fania All-Stars.
Proprio vero che i latinos non riescono a non fare festa ovunque.
“Venire a fare qualcosa a seimila miglia da casa: questo è essere neri, questa è la forza. Accettare l’essere neri e aiutare la causa. Noi non vogliamo essere contro nessuno, stiamo dicendo che vogliamo essere per noi stessi.”
Il tema della libertà e dell’affrancamento del popolo nero, specialmente in America, è insieme alla musica il tema principale del film.
All’atteggiamento battagliero di Ali si contrappongono queste splendide parole di Don King.
King, rispondendo a James Brown, dà alla sua audience un grande insegnamento: è con la volontà di essere uniti, con l’azione creativa e la generazione di ricchezza – soprattutto economica – che la comunità afroamericana potrà liberarsi dall’oppressione, che se negli anni ’70 era ancora reale, oggi è per la maggior parte un’idea parassitaria.
King, Ali, Brown e tanti altri sono stati d’esempio, e se oggi un nero può diventare Presidente degli Stati Uniti d’America è anche merito loro.
[This man will make your liver quiver, this man will make your bladder splatter, this man will freeze your knees... The Godfather of Soul, James Brown]
“Non siamo stati a Kinshasa, non sappiamo cosa aspettarci.
Saremo accolti da un paese che si aspettava un combattimento, invece riceveranno il più grande spettacolo musicale che ci sia mai stato.”
Per quanto siano opinabili, le parole di Levine hanno un fondo di verità.
Perché se siete amanti della “black music”, non potrete evitare di rimanere incollati davanti allo schermo a ballare, cantare ed emozionarvi.
Il funk di James Brown e degli Spinners, i ritmi africani di Miriam Makeba e quelli latini dei Fania All-Stars, il blues di B.B. King.
Ma perché indugiare quando posso linkarvi il film in lingua originale?
La musica è meglio quando l’ascolti e non quando la leggi.
Lasciatevi trascinare anche voi dal Soul Power!