#Goodnight&Goodluck
Previously, on Goodnight & Goodluck
Il tenutario della rubrica notturna più amata di CineFacts.it, nonché caporedattore della testata, Adriano Meis, si è strappato i peli del c**o perché non aveva niente da fare.
Poi si è strappato i peli del c***o, sempre perché non aveva niente da fare.
Così, colto da una noia incontrollabile, decide di missare anarchicamente i format del sito, unendo rubriche e Top 8, immagini e testo, letteratura e manga, cinema e filosofia, B-movie e film autoriali, per indicare quali siano gli 8 inimmaginabili progetti che vorrebbe vedere subito sullo schermo.
Insomma: fa un po' il c***o che gli pare.
(Brigitte Bardot, Bardot! Brigitte beijou, beijou! Pe peee pepeppepeee...)
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Buonanotte, amici della notte.
Quanto sono state insopportabili le ore di attesa che dall'uscita del primo articolo vi hanno separato dalla seconda parte di questa magnifica selecta?
Io lo so che stavate per strapparvi le rotule per giocarci a hockey e ingannare il forte momento di stasi.
Tranquilli: sono tornato.
Non disperate.
Ma non cincischiamo: partiamo invece con il primo progettone che esigo di vedere subitamente sul grande schermo.
Regia: agevolatemi la prima posizione, grazie.
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Storia del munifico Principato di Sealand e altre minchionerie
Questa è facile.
Facilissima. Non devo nemmeno vendervela.
Basta che vi racconti qualche fatto storico avvenuto fra la metà degli anni '60 e l'epoca contemporanea al largo della costa sud del Regno Unito.
Siamo nel 1942: la Seconda Guerra Mondiale impazza in ogni dove e l'ex Impero Britannico decide di costruire delle postazioni belliche di vedetta tutt'intorno ai suoi confini marittimi.
Quello che interessa a noi, l'HM Fort Rough, venne costruito in Inghilterra come una delle fortezze marittime Maunsell, non troppo distante dalla costa del Suffolk.
Era costituito da un'enorme zattera galleggiante sulla quale poggiava una sovrastruttura formata da due torri, unite da un ponte sul quale potevano essere aggiunte altre strutture.
La stazione galleggiante venne trainata fino al banco di sabbia di Rough Sands dove venne intenzionalmente affondata, in modo che le colonne si appoggiassero sul fondale marino.
La struttura - a cui era stato dato il nome di Roughs Tower oltre a quello di Fort Rough - venne occupata da circa 300 membri della Royal Navy per tutta la durata della Seconda Guerra Mondiale.
La loro missione era quella di difesa anti-aerea e, al termine del conflitto bellico, tutto il personale venne evacuato e l'HMS Fort Rough rimase abbandonato.
Un grosso rudere fantasma in mezzo al mare.
E qui comincia la magia...
[Ma guardate che posticino incantevole... Basta! Mollo tutto e me ne vado a vivere a Sealand!]
1966.
Paddy Roy Bates, cittadino britannico, naviga in acque torbide: lo Stato non dà tregua alla sua stazione radio pirata che, di conseguenza, rischia di chiudere i battenti (ricordate I Love Radio Rock?).
Dopo aver discusso a lungo con i suoi avvocati sul migliore sistema per mantenere in vita la sua creatura, Bates decide di prendere possesso dell'ex Fort Rough e proclamare la piattaforma Stato Indipendente.
Nasce così il glorioso Principato di Sealand.
La storia del regno meno riconosciuto al mondo è ricca di azione: ci sono golpe, gruppi di mercenari che assaltano la fiera nazione in elicottero, prigionieri di guerra, regnanti in esilio, falsari e bandiere dello Stato posizionate in cima al Monte Everest.
Il Principato di Sealand - che di fatto è una monarchia costituzionale - è provvisto di tutti comfort che un Paese civile dovrebbe avere: costituzione, inno nazionale, motto (E mare, Libertas - Dal mare, Libertà) e, ovviamente, passaporti per i suoi cittadini e un conio statale.
[Tié, acchiappatevi questi dieci dolla di Sealand e andate a prendervi un gelatino al gusto fish & chips]
Il regno di Sealand ha un posto d'onore nel Guinness World Record come "la più piccola area che rivendichi lo status di Nazione", possiede una propria nazionale di calcio e, in passato, è stato rappresentato anche nella disciplina sportiva della maratona.
A Sealand si fanno banchetti di corte (dopotutto son sempre nobili, ricordiamocelo) e manifestazioni aperte ai civili che avvengono sull'immenso territorio nazionale, ma anche in sede estera.
Tra il 2018 e il 2019, a causa dell'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, il principato ha ricevuto centinaia di richieste di cittadinanza da parte di britannici contrari alla Brexit.
Sealand è gioia, Sealand è gloria: lunga vita a Sealand.
Quando ho scoperto questo incredibile, stupefacente, meraviglioso agglomerato di minchionerie, sono corso a controllare se qualche anima pia avesse avuto la decenza di afferrare la macchina da presa e tradurre il tutto in pellicola.
E, con mio sommo stupore... No, ragazzi: nessuno l'ha ancora fatto.
Anche se il nuovo trailer di un film che verrà distribuito su Netflix - basato su un'incredibile storia vera - ha una notevole serie di somiglianze con la storia di Sealand.
[Il trailer de L'incredibile storia dell'isola delle rose con Elio Germano e Matilda De Angelis, su Netflix dal 9 dicembre 2020]
Credo possiate essere d'accordo con me se dico che - prendendo in considerazione anche solo le assurdità riassunte qua sopra - ci sia abbastanza materiale per ottenete uno script sufficientemente folle da essere trasformato in film e, se gestito bene, risultare persino vincente.
Così, come forse avrete intuito dalla spettacolare locandina realizzata dal nostro Drenny DeVito, ho già ipotizzato il titolo più adatto per il film.
E non solo.
Immagino una commedia made in UK, ultra-pop, coloratissima, ricca di musica, battute e cadenzata da un montaggio rapido e dinamico.
Nel mio fanta-cast, sotto la regia di Edgar Wright, ho pensato ovviamente a Nick Frost, Simon Pegg e Bill Nighy.
Bramerei anche la presenza del gallese Rhys Ifans, che adoro con tutto me stesso.
Ma a una storia del genere, dove sono presenti anche dei non-britannici, se potessi dare sfogo ai miei desideri in maniera illimitata, aggiungerei degli scoppiati come Jack Black, James Franco e Seth Rogen.
Non originalissimo, lo so, ma al di là delle "scelte cliché", penso che i nominati non sfigurerebbero.
Del resto, contesti narrativi comici di questo tenore sono il loro pane.
Voi che ne dite? A chi affidereste un progetto del genere?
Quasi dimenticavo: in cambio di una modica cifra, anche voi potete diventare lord, baronessa, conte o duchessa, avendo così l'opportunità di fregiarvi di un titolo nobiliare elargitovi dal munifico Principato di Sealand.
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The Lord of the Rings II, di Ralph Bakshi
Lo so, lo so... sono monotono. Ripetitivo.
Sono un Tolkienfag e un Bakshifag.
Bla, bla, bla, come volete voi.
In un episodio passato di Goodnight & Goodluck avevamo già incontrato quella meraviglia d'animazione rotoscopica de Il Signore degli Anelli, firmata da Ralph Bakshi nel lontanissimo 1978.
Nell'articolo si era accennato all'amore profondo di Bakshi per l'opera di J.R.R. Tolkien che lo condusse fino a un colloquio con Priscilla Tolkien, figlia del letterato britannico nato in Sudafrica, alla quale chiese il benestare per tradurre l'opera del padre in film.
Senza una risposta positiva, il regista israeliano naturalizzato statunitense non avrebbe messo in moto la macchina produttiva.
"Le dissi come avrei fatto il film, e che se non le piaceva non lo avrei fatto. [...]
Amò quello che avevo da dire e mi portò nello studio di Tolkien a Oxford."
Avevamo ricordato la tecnica di animazione scelta da Bakshi, il rotoscopio, all'epoca sperimentale e poco utilizzata, oltre che dell'uso delle luci e dei colori ipercontrastati del film, utili a richiamare lo stile pittorico di Rembrandt.
Vi avevo riassunto il progetto originario di Bakshi, che nella sua mente era suddiviso nei tre - canonici - capitoli, si era riso (per non piangere) di un progetto inizialmente affidato a John Boorman (Zardoz, Un tranquillo weekend di paura, Excalibur, Il sarto di Panama) che, dopo essersi beccato 3 milioni di dollari per scrivere e dirigere il film, tirò fuori una sceneggiatura talmente fuori luogo e poco coerente col mondo di Tolkien da essere messo gentilmente alla porta dalla produzione.
[Una gallery tutta da sfogliare per voi appassionati di LOTR]
Il Signore degli Anelli di Ralph Bakshi è una miniera inesauribile di cinefacts: Mick Jagger che avrebbe potuto prestare la sua voce a Frodo, il mancato coinvolgimento dei Led Zeppelin per la colonna sonora, un giovane Tim Burton - non accreditato - fra gli animatori della pellicola, l'amore citazionistico di Peter Jackson che utilizzò un bel numero di elementi del film di Bakshi per il suo LOTR, o le tremende lotte intestine alla produzione che condussero il regista israeliano ad abbandonare il progetto dei due capitoli successivi (che, nel frattempo, era diventato uno solo).
"Ebbi una gigantesca lite con Zaentz [il produttore del film, ndr] e non volevo fare la seconda parte.
Oggi vi può sembrare strano, ma a quei tempi eravamo una "razza" diversa...
La vita era troppo breve per passare il tempo con un gruppo di persone con cui non volevi stare.
In altre parole, persone che ti fregherebbero in quel modo dopo avergli fatto guadagnare così tanti soldi.
Non puoi voler passare altri otto anni con dei tizi del genere... Non è stata una decisione facile andarsene, perché amavo Tolkien. "
Dopo che Bakshi abbandonò il progetto, quella splendida e coraggiosissima opera d'avanguardia che era The Lord of the Rings, con sommo dispiacere degli appassionati, rimase tronca, ferma al termine della Battaglia del Fosso di Helm.
A distanza di anni dalla morte di Saul Zaentz, durante un'intervista, Bakshi affermò:
"Ora che Saul Zaentz se n'è andato, non mi dispiacerebbe essere coinvolto.
Se la Warner Bros. volesse realizzare la seconda e la terza parte nell'animazione, ci starei.
Sarei molto felice di farlo."
[Il papà di Fritz the cat (1972), Ralph Bakshi, in tutto il suo giovanile splendore]
Purtroppo per noi, quel Signore degli Anelli è un prodotto fortemente legato alla sua epoca e, a mio avviso, di poco interesse per il pubblico contemporaneo.
Senza considerare il fatto che Ralph ha ormai la veneranda età di 82 anni.
Ma io sono un romantico nostalgico, una pessima combinazione che continua a farmi sanguinare il cuore per il mancato completamento di uno degli adattamenti cinematografici più travagliati della Storia del Cinema, basato su un'opera letteraria capace di far innamorare il mondo intero.
Francamente, non so chi potrebbe riprendere in mano un progetto del genere... voi che ne dite?
Idee?
In Tolkien e Bakshi we trust.
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Faber - In direzione ostinata e contraria
**Avviso al lettore: in questa parte di articolo si mugugna duro.
Se hai problemi con l'attitudine xeneise alla protesta, passa oltre. Oppure vai a menare il belino da un'altra parte**
I lettori più assidui di CineFacts.it già sapranno che in redazione abbiamo un amore profondo e incondizionato per Fabrizio De André e la sua produzione musicale.
Il cantautore genovese, non serve neanche dirlo, è obiettivamente uno degli autori più importanti della Storia della Musica italiana e - attraverso la sua poetica - si è imposto da sempre all'attenzione del pubblico, conquistando a ciclo continuo generazioni intere di ascoltatori.
Fabrizio De André è stato (e resterà per sempre) il cantore degli ultimi, dei poveri, degli sconfitti.
Un libero pensatore che professava al mondo i concetti di libertà, autodeterminazione, amore e anarchia politico-intellettuale.
Faber - soprannome affibbiatogli dall'amico di sempre Paolo Villaggio - era un uomo fra gli uomini, anti-divo, un non-artista modesto e riservato che parlava di uguaglianza e solidarietà.
Fabrizio credeva nella libertà del pensiero, nella capacità dell'uomo di afferrare l'intelligibile attraverso la distruzione delle convenzioni sociali, etiche e morali che lo vincolano alle catene del potere costituito.
Fabrizio De André era un rivoluzionario.
Un solitario che sussurrava poesia in difesa degli uomini e le donne abbandonati dalla società, i "diversi", additati e isolati come lebbrosi.
E in quanto tale è sempre stato preso come esempio da colleghi, amici, appassionati o semplici ascoltatori.
"Durante un tributo a Fabrizio De André, a cui parteciparono i big della canzone, Dori Ghezzi [la seconda moglie del musicista, ndr] riservò 250 posti per me, e io mi presentai a teatro coi miei derelitti.
Qualcuno dell’organizzazione intendeva mandarli nel loggione, confinarli lassù, con la scusa che non c’era più spazio a disposizione.
“Non vi preoccupate” - dissi - “ci penso io.”
Fermai il traffico della sala e come un vigile li feci sedere in platea, tre qui, due là, tossici, barboni, prostitute accanto a notai, dame e politici.
“No, lì no” mi intimarono.
“Lì ci va il ministro della Cultura Giovanna Melandri!"
“Allora le mettiamo accanto una p*ttana delle vecchie case: vedrai come esce arricchita dall’incontro!”
Erano tutti molto preoccupati, mi chiedevano garanzie su ciò che sarebbe successo e io li tenevo sulle spine rispondendo che non potevo saperlo, essendo io un prete e non un indovino.
Invece sapevo benissimo ciò che poi accadde: i miei emarginati erano quelli che durante le canzoni piangevano veramente."
Don Andrea Gallo
[Ha un nome che fa paura: libertà, libertà, libertà]
Ma queste sono cose che già sapete.
Voi volete il sangue, lo so.
Volete che vi parli di quello.
Va bene, famolo.
Ben prima della nuova ondata di biopic musicali proposta da Hollywood a partire dal 2019 - sulla scia di quel Bohemian Rhapsody (bah) diretto da Bryan Singer - in Italia si producevano già da anni miniserie e film biografici sui protagonisti della nostra musica.
Possiamo ricordare ad esempio quell'aberrazione chiamata Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu (2007), dove la figura del genio crotonese veniva picconata da Rai Fiction sotto la regia di Marco Turco.
O, ancora, come dimenticare Beppe Fiorello che scimmiotta Domenico Modugno in Volare - La grande storia di Domenico Modugno?
Momenti audiovisivi di altissimo livello, nulla da dire.
Non contenta delle nefandezze compiute fino ad allora, nel 2018 mamma Rai decise di produrre un film biografico - in due episodi - dedicato al cantautore genovese: Fabrizio De André - Principe libero.
Già durante la realizzazione delle riprese il mio quinto senso e mezzo trillava in maniera inconsulta: nonostante la confortevole presenza di Luca Marinelli nel cast, conoscendo gli sfolgoranti precedenti temevo tantissimo per la resa finale del film su De André.
E, per buona parte, ne avevo ben donde.
Il film diretto da Luca Facchini non è di certo catastrofico: rispetto ai casi sopracitati ci sono senz'altro più elementi da "salvare".
Non mi esibirò qui in una polemica sull'inflessione romana di Luca Marinelli nei panni di Faber.
Adoro l'attore nato nella capitale - ormai asceso a fama internazionale - e il punto non è decisamente quello (anche se nessuno mi toglie dalla testa che un interprete della sua caratura, da questo punto di vista, avrebbe potuto fare decisamente meglio).
Il problema più grande del Principe libero è che sembra un gigantesco spot commerciale fatto per il grande pubblico.
Al film manca un'anima: dalla narrazione Fabrizio ne esce quasi solo come un puttaniere alcolizzato e timido; la scelta dei brani inseriti nella colonna sonora del film è timorosa, a volte ripetitiva, e quasi completamente votata alla riproduzione delle canzoni più famose dell'autore genovese.
Ma, soprattutto, nonostante qualche bello spunto, come appena detto, al Principe libero manca un'anima.
Anima che, in gran parte, porta il nome di Genova.
Spero possiate credere nella mia onestà intellettuale e non mi tacciate di campanilismo se sostengo che il setting del film aveva un'importanza determinante per la riuscita del progetto.
Fabrizio era sì un cittadino del mondo, libero da vincoli territoriali, ma era anche innegabilmente e profondamente genovese, un amante della città vecchia, dei suoi labirintici e strettissimi vicoli popolati da bagasce, ladri e miserabili.
De André era figlio di un terrirorio tradizionalmente schivo ma allo stesso tempo generoso, dominato dai contrasti, schiacciato fra mari e monti, ricco di sapori, odori di spezie e voci di paesi lontani.
Genova, la Superba, città di mare, ricettacolo di genti e culture diverse fra loro, fiore all'occhiello di un'Italia dei tempi andati, ma ormai appassito.
Un luogo carico di quella malinconia che Faber, più o meno inconsciamente, fece sua per tutto il tempo del suo cammino nel mondo.
La città natale di Fabrizio è stata fondamentale per il suo percorso artistico, per la composizione dei suoi testi e la costruzione della sua poetica.
Era dunque essenziale riuscire a riprodurre questo rapporto all'interno del film.
Procedimento in cui, invece, la produzione targata Rai Fiction e Bibi Film fallisce miseramente.
[Il trailer di Fabrizio De André - Principe libero]
Da innamorato di Fabrizio De André (come molti di voi, posso supporre) vorrei tantissimo un progetto che sia in grado di raccontare davvero il mio concittadino, di illustrare concretamente - ad esempio - lo spirito allegorico-rivoluzionario de La buona novella, la pietas di Anime Salve e non solo il tumulto sociale sessantottino di Storia di un impiegato.
Una produzione che possa mostrare l'anima della nostra città, saldamente intrecciata al percorso di Faber, un po' come fatto da Pietro Marcello (in questi articoli c'è una forte sensazione di déjà vu, lo ammetto) nel suo La bocca del lupo (2009), un film sporco, viscerale, sentito.
Un film che mostra realmente il cuore di Zena molto più di quanto non fatto dal Principe Libero.
Ecco: datemi un nuovo film con Marcello alla regia e io sarò felice.
Il titolo l'ho già immaginato, semplicemente ripescando uno dei versi più iconici di FDA: in direzione ostinata e contraria... sul fantacasting, invece, devo ammettere di essere un po' in difficoltà.
Voi chi vedreste bene nei panni di Fabrizio De André?
Come sempre, l'assunto di partenza è che questa resta la mia personale visione e non una verità assoluta.
Non fa mai male ribadirlo.
Anzi, mi farebbe piacere sapere che ne pensate voi del film di Luca Facchini, se siete riusciti ad apprezzarlo più di quanto non abbia fatto io e, magari, il perché.
Se invece non l'avete ancora visto, sappiate che lo trovate su RaiPlay.
A voi la scelta.
[Smisurata preghiera: probabilmente la summa più efficace del pensiero di Fabrizio De André]
"Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità
di verità
[...]
ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere"
La cover è tratta dal volume Ridammi la mano, una raccolta di disegni dedicati a Faber di Ernesto Anderle. Consigliatissimo.
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Homunculus (ホムンクルス; Homunkurusu)
Chiudiamo in bellezza questa selezione, suvvia.
Non so se vi sia successa la stessa cosa, ma quando vidi per la prima volta Ichi the killer (2001) il mio omino del cervello incominciò a ripetere un mantra ossessivo che rimbombava nella mia scatola cranica:
"Guarda tutto il Miike che puoi.
Recupera ogni cosa di Yamamoto".
Così, visto che io do sempre retta alle voci della mia testa, mentre navigavo tra gli allucinanti e variegati lavori in pellicola del regista di Yao, mi procurai anche tutti e 15 volumi di Homunculus, il seinen manga creato da Hideo Yamamoto fra il 2003 e il 2011 dopo il successo raccolto dal suo perverso Ichi.
[Che razza di folle e disgustosa meraviglia è Ichi the killer di Hideo Yamamoto?!]
La storia scritta dal mangaka nativo di Takorozawa racconta la storia di Susumu Nakoshi, un senzatetto che vive nella sua macchina, prevalentemente parcheggiata in una strada che si posiziona esattamente a metà fra i grattacieli della Tokyo operosa, gremita di uffici e di agenti di borsa, e un parco dove vivono decine di individui che hanno perso il lavoro, finendo col condurre una vita da clochard.
Del passato di Susumu - ma anche del suo presente - si sa ben poco tranne che ama visceralmente la sua automobile, con la quale ha un rapporto maniacale.
Un giorno l'uomo viene avvicinato da Manabuto Ito, giovane studente di medicina ricoperto di tatuaggi, piercing e dall'atteggiamento decisamente bizzarro.
Il ragazzo proporrà a Susumu un'ingente somma di denaro per fargli da cavia, avendo identificato in lui il soggetto perfetto per i suoi studi sulla sensorialità.
L'intento di Manabuto è infatti quello di trapanare il cranio di Susumu: secondo una teoria - decisamente poco ortodossa e verificata - sembrerebbe che un piccolo foro nella scatola cranica di un individuo possa liberarne le "capacità sopite".
La diminuzione della pressione sul cervello, spiega Ito, può abilitare alcuni soggetti all'utilizzo di abilità ultrasensoriali come la preveggenza e la telecinesi.
Dopo un iniziale e perentorio rifiuto, spinto dalla necessità di denaro per riscattare il suo amatissimo veicolo - sequestrato dalla polizia per sosta vietata - Susumu accetta di sottoporsi alla trapanazione.
Da qui in avanti, per citare l'amico Morpheus, scoprirà quanto profonda (e stravagante) sia la tana del Bianconiglio.
In Homunculus Yamamoto riprende il sistema di analisi psicologica utilizzato in Ichi the killer, spogliando però il manga di quella violenza che era stata necessaria per raccontare i demoni di Kakihara, Ichi e soci.
Il ragionamento dell'autore nipponico, nell'opera pubblicata in episodi su Big Comic Spirits, spinge più marcatamente sull'indagine psichica dei suoi protagonisti, sondandone i disagi sociali ma soprattutto quelli mentali.
L'inadeguatezza, la scarsa autostima estetica, l'orientamento sessuale ambiguo e pilotato, le apparenze e le bugie dell'essere umano si materializzano sotto forma dei mostri (gli Homunculus) che Susumu incontrerà nel suo percorso, durante il quale realizzerà di essere lui stesso una vittima del sistema, del suo passato e preda degli stessi antagonisti mentali che affligono le persone che ha intorno.
Poco da dire: ho adorato Homunculus.
Sin dalla prima lettura ho conferito al prodotto di Yamamoto lo status di capolavoro visivo e contenutistico: un'opera mirabile che analizza i demoni dell'essere umano e le storture della società giapponese e non solo. Con il passare degli anni (e delle ri-letture) ho maturato un gran desiderio per una produzione cinematografica che rendesse onore al manga, magari affidata a un autore che avesse già lavorato con le commistioni fra incubo e realtà, dolore fisico e malessere psicologico.
Per fare un paio di nomi: i già citati Takashi Miike e Shin'ya Tsukamoto non sarebbero male.
Così, per dire.
Ma, per quanto possa essere un abbinamento azzeccato, non è necessario pensare a un coinvolgimento dei due vecchi leoni del Sol Levante: anche un giovane regista dotato, con a disposizione la giusta produzione e questo validissimo materiale di partenza, potrebbe fare più che bene.
Se non che...
A settembre è stato annunciato l'adattamento di Homunculus!
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Complimenti!
Siete sopravvissuti arrivando in fondo a questa selezione degli 8 inimmaginabili progetti che vorrei vedere subito sullo schermo.
All'interno dell'articolo avrei potuto citare un quantitativo impressionante di altri progettoni mai realizzati: dal Napoleon di Stanley Kubrick al film di Sergio Leone sull'assedio di Leningrado.
Da Dune di Alejandro Jodorowski al Superman Lives di Tim Burton.
Ma a farlo ci ha già pensato il collega Marco Batelli in questa bella Top 8.
Se poi ci spostassimo dai confini del Cinema, il territorio di analisi diverebbe abnorme.
Per il semplice fatto che ognuno di noi ha una lunga lista di libri, fumetti, autori, avvenimenti e artisti mai presentati sul grande telo bianco che vorrebbe vedere trasformati in film.
Quindi, amici della notte, raccontatemeli nei commenti!
E se volete ditemi se conoscevate le storie e i fatti presentati in questi due articoli e se siete d'accordo con le opinioni del sottoscritto.
Nel prendere congedo, vi invito a seguire Goodnight & Goodluck e, nei limiti della civiltà, dell'intelligenza e del buon gusto, a fare sempre un po' come c*zzo vi pare.
'Notte, miei Nazgûl rosa shocking...
Ci sentiamo alla prossima.
2 commenti
Adriano Meis
4 anni fa
Ti ringrazio per il commentone, sono felice di aver lanciato qualche spunto interessante! Alla prossima nottata!
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Adriano Meis
4 anni fa
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