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Apples - Recensione: la persistenza dell'empatia di Nikou

Apples, opera prima di Christos Nikou, è una fiera e originale esponente della Weird Wave greca

Apples, opera prima di Christos Nikou disponibile in esclusiva sulla piattaforma MioCinema, ci ricorda una cosa: nel Cinema degli ultimi quindici anni non è esistita una nazione che si sia prestata a rielaborazioni satiriche, critiche feroci, pennellate surreali e ricostruzioni stranianti quanto la Grecia.

 

Il tessuto sociale della terra ellenica, negli anni successivi alla terribile crisi del 2008, è stato più volte analizzato nelle sue pieghe più degradanti e nei suoi squarci più profondi.

 

Un'intera generazione di artisti ha sentito la necessità di dar voce a una nazione attraversata dagli spettri del fallimento e del disgregamento dei valori, dando vita a quella che ormai è nota al pubblico cinefilo come la Weird Wave greca. 

 

 

[Dopo la presentazione di Apples avvenuta nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia, Christos Nikou ha vinto numerosi premi in giro per il mondo]

 

 

Tutto può succedere, anzi, tutto effettivamente accade in Grecia, con conseguenze sempre più destabilizzanti.

 

Questo è ciò che abbiamo imparato osservando i prodotti arrivati da quella terra.

Senza dover necessariamente scomodare gli ormai arcinoti Dogtooth e Miss Violence, universalmente riconosciuti come pietre miliari della nouvelle vague ellenica, basti pensare ai meno noti ma ugualmente corrosivi Attenberg di Athina Tachel Tsingari L di Babis Makridis, o al più recente The Miracle of the Sargasso Sea di Syllas Tzoumerkas.

 

In ciascuna di queste opere ritroveremo, bilanciate in maniera ogni volta unica e caustica, i medesimi elementi.

Individui, contesto sociale, valori.

 

Sono questi i tre lati che compongono la base delle impalcature riflessive in ciascun prodotto di questa generazione di autori greci. 

A ben vedere, in realtà, ciascuno di questi elementi è presente nella tradizione letteraria e teatrale di una delle civiltà più antiche del mondo.

 

Apples non fa in alcun modo eccezione.

 

[Il trailer di Apples rivela già alcuni degli elementi di interesse dell'opera]

 

 

Christos Nikou, però, formatosi in botteghe afferenti a scuole di pensiero molto distanti tra loro come quella di Yorgos Lanthimos e di Richard Linklater, ha saputo apportare forti caratteristiche di novità alla corrente artistica, dirigendo e co-sceneggiando (assieme a Stavros Raptis) un esordio di assoluto interesse.

 

Ormai è chiaro che in opere di questo genere può accadere di tutto, anche un'autentica e immotivata pandemia di amnesia.

Stavolta non è la sola la Grecia a farne le spese, ma tutto il mondo.

 

Un enorme numero di persone si ritrova a perdere improvvisamente la memoria, scordando ogni piccolo aspetto della propria esistenza.

Tra loro vi è Aris, solitario e taciturno uomo alle soglie della mezza età.

 

Aris, come molti altri pazienti senza parenti e persone care, viene dapprima curato in ospedale e poi inserito in un programma di riabilitazione e recupero, che prevede che ciascuno di questi individui intraprenda delle azioni dapprima più semplici e poi viepiù complesse e per riacquistare la possibilità di condurre una vita normale.

 

All'interno del suo percorso riabilitativo il protagonista incontra Anna, un'altra donna in fase di riabilitazione, che quasi senza volerlo cambia completamente le prospettive del suo percorso.  

 

 

[L'assoluta centralità dei piccoli gesti quotidiani all'interno di Apples]

 

 

In Apples, con delicatezza ma sibillina lucidità, Nikou ci mette dinnanzi tanto a un dilemma morale di gigantesche dimensioni quanto a un'insolita soluzione dello stesso.

 

Attraverso un percorso di riscoperta individuale e di conoscenza reciproca tra il protagonista e Anna, si spalanca dinnanzi a noi una voragine profondissima di riflessioni.

 

Christou, esattamente come fa il suo mentore Lanthimos nel cortometraggio Nimic, lascia emergere prepotente una strisciante paura di essere dimenticabili, sostituibili, inghitottiti da una quotidianità che rende sorda la collettività e, di conseguenza, rimossi.

Ma al contempo ribalta le domande, indagando sulla possibilità che un individuo si ritrovi ad assumere consapevolezza della propria condizione e a ripercorrere a ritroso il percorso che lo ha portato fin lì.

 

Ciò che osserviamo in Apples è un'esercito di persone la cui mente è completamente resettabile, alla mercé di un sistema sanitario che si ritrova nella possibiltà non solo di curare, ma anche di indirizzare le azioni dei poveri smemorati.

 

Ciascuna di queste persone dovrà imparare di nuovo a chiamare per nome le cose, ad andare in bicicletta, a tuffarsi in acqua, a ballare, a relazionarsi col prossimo, a far sentire la propria voce.  

 

 

[Il lungo percorso riabilitativo di Aris in Apples non è privo di momenti tristemente ironici]

 

 

L'arma usata in Apples per settare e conformare le menti, esattamente come in Dogtooth, è un semplice registratore.

 

Bastano una cassetta e poche istruzioni per irrigidire e forzare le dinamiche sociali.

A mettere forse definitivamente da parte la συμπάθεια, quella capacità di vivere e soffrire insieme che costituisce l'humus di tante opere elleniche.

 

Non è un caso che le conseguenze più devastanti possano essere avveritite proprio in questa Grecia, ormai un paese il cui tessuto connettivo è lacerato, in cui ciascun individuo è un isola, pertanto ancor più fragile.

 

O, per citare il frutto che dà il nome all'opera e di cui il protagonista è ghiotto, come una mela caduta dall'albero: uguale a milioni di sue simili, separata dall'organismo che le ha dato vita, ammaccata.

Ma, al netto di ogni difetto eliminabile, ancora buonissima.  

 

Sono pertanto delle caratteristiche innate di ciascun individuo a poter fornire le coordinate per orientarsi in maniera critica in un contesto sconosciuto: l'intuito, la capacità di riconoscere il bene il male, l'empatia.

 

Proprio in ragione di tali coordinate Aris è in grado di specchiarsi in Anna, mettere a confronto i rispettivi percorsi e scorgere le zone d'ombra della sua nuova routine.

 

E così, un frammento alla volta, si riscopre più padrone della sua vita di quanto immaginasse.

Con un passato più vicino di quanto potesse sembrare.

 

 

[Buona parte della forza di Apples si fonda sull'interpretazione del suo protagonista, Aris Servetalis]

 

 

Nel ruolo dell'omonimo protagonista Aris Servetalis compie una prova di indiscusso livello.

 

Lavora di sottrazione, vive di silenzi, gesti di routine, poche parole pronunciate a mezza voce e con un tono straniato.

Nikou, anche grazie al mirabile lavoro del direttore della fotografia Bartosz Swiniarski, lo segue a debita distanza, fissando la macchina da presa e lasciando che sia l'immagine, in un ormai insolito formato televisivo 4:3, a fare buona parte del lavoro.

 

Ciascun gesto di Aris, che sia compiuto nella penombra della sua casa, avvolto dai neon di una discoteca o esposto alla luce del sole, assume un ruolo fondamentale per la comprensione della sua condizione. 

 

Quanto consapevole è il contrasto tra ciascuna di queste situazioni? 

 

 

[La casa di Apples si mostra man mano essere una proiezione, esattamente come avviene in numerose altre  opere cinematografiche più o meno recenti]

 

 

Una serie di scelte che lasciano al protagonista un ruolo predominante, che ci indicano continue possibilità di intervento dalla vasta sezione fuori campo, ma che vengono sublimate quando accanto al protagonista c'è un secondo personaggio con cui dialogare o semplicemente condividere del tempo.

 

Apples sembra dirci che a volte si sceglie di dimenticare o di ricordare determinate cose. 

Ma anche che il rimosso, tanto quello individuale quanto quello collettivo, può essere superato con la persistenza dell'empatia, e non della memoria.

 

Che una nuova rete di relazioni è sempre pronta a essere intessuta per la stessa natura dell'uomo, quella di animale sociale.

 

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