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Il seme del fico sacro è uno di quei film in grado di far parlare di sé attraverso la sua semplice esistenza.
Mohammad Rasoulof lo ha girato in totale clandestinità subito dopo essere stato rilasciato nel 2023 dall'ormai tristemente nota prigione di Evin, a Teheran, ed è riuscito a presentarlo al Festival di Cannes 2024 malgrado fosse da poco scappato dal suo Paese per evitare una condanna che comprendeva la fustigazione, la confisca dei beni e il pagamento di una sanzione pecuniaria.
Ai soli due protagonisti rimasti a vivere in Iran - Soheila Golestani e Missagh Zareh - è stato impedito di lasciare la nazione: i due e le loro famiglie sono tuttora in una condizione di incertezza.
L'accusa mossa dalle autorità dell'Iran a Rasoulof era quella di comprometterne la sicurezza attraverso i suoi film: per circa quindici anni il suo lavoro è stato funestato dalla repressione del regime, eppure la bellezza dei suoi film in questo periodo è sbocciata, fino a renderlo una delle voci più importanti del Cinema mondiale.
Il seme del fico sacro è riuscito ad attecchire su un simile terreno ostile e - facendosi strada anche grazie alla vittoria del Premio Speciale a Cannes - si è guadagnato la luce delle nomination ai Premi Oscar e ai Golden Globe.
[Il trailer de Il seme del fico sacro]
A sembrare miracolose non sono, però, soltanto le modalità con cui l'opera ci è arrivata, ma anche la sua realizzazione e la sua riuscita.
Ancora una volta, come successo con Gli orsi non esistono di Jafar Panahi, il Cinema iraniano ci costringe a chiederci non solo come sia stato possibile che un film simile sia stato realizzato e sia approdato sui nostri schermi, ma anche come sia possibile produrre tanta bellezza in certe condizioni.
Il seme del fico sacro racconta fondamentalmente la storia di un nucleo familiare: il padre Iman è appena stato promosso giudice istruttore presso il Tribunale Rivoluzionario del paese dopo vent'anni di servizio.
Il peso della responsabilità di esporre a una possibile condanna a morte gli imputati si somma alla complessità dei rapporti familiari: le sue giovani figlie, Rezvan e Sama, sono infatti inevitabilmente vicine alle proteste studentesche contro il regime, al punto di trovare raggelanti le spropositate reazioni delle forze di polizia.
A cercare un equilibrio tra le due posizioni sempre più lontane è sua moglie Najmeh, la quale si ritrova a dover gestire in prima persona la scomparsa della pistola di ordinanza di Iman. Un evento che incrina inequivocabilmente i rapporti familiari e compromette la sicurezza del nucleo.
La scomparsa dell'arma rappresenta un innesco narrativo perfetto per un'opera che fa del principio narrativo della pistola di Čechov il proprio pilastro fondante: non vi è un singolo elemento de Il seme del fico sacro che risulti superfluo ai fini del suo sviluppo narrativo e alla trasmissione del messaggio sostanziale.
[Il seme del fico sacro segue con attenzione il principio secondo cui "Non si dovrebbe mettere un fucile carico sul palco se non sparerà"]
Seguendo alla lettera l'insegnamento del Maestro russo, Il seme del fico sacro non crea promesse che verranno disattese.
Mohammad Rasoulof firma dunque una sceneggiatura che lambisce in maniera mirabile il concetto di perfezione: una partitura compiuta, che raggiunge un miracoloso equilibrio tra stilemi di genere e venature poetico-politiche.
Il primo tra gli elementi funzionali dello script è la casa in cui vive la famiglia del patriarca Iman: tra i primi pensieri dei genitori c'è, infatti, la possibilità di trasferire la famiglia in un nuovo focolare più ampio, in cui le due figlie della coppia possano crescere senza condividere la stanza.
Proprio la condivisione della stanza delle figlie rende ancor più difficile comprendere se una delle due abbia un ruolo nella scomparsa della pistola d'ordinanza.
Le mura casalinghe si trasformano così in un recinto che separa la famiglia dalla società, il microcosmo dal macrocosmo: nelle ristrette distanze dello spazio domestico gli affetti lasciano parzialmente sfumare le distanze tra esponenti del regime e uomini, tra potenziali rivoluzionari e giovani che cercano di costruire il proprio futuro ma, in ogni caso, le istanze politiche non si ritrovano sopite.
Al contrario, sono in grado di deformare l'immagine sempiterna che un figlio si costruisce del proprio genitore e viceversa; Il seme del fico sacro trasforma così la necessità di girare il film prevalentemente nel segreto di un appartamento in un enigma claustrofobico.
Il senso di isolamento che domina la prima metà de Il seme del fico sacro non è, però, sinonimo di chiusura ermetica.
La società trova comunque modo di filtrare all'interno di quello che Najmeh avrebbe voluto trasformare in un fortino: che sia l'ingresso in casa di Sadaf, l'amica delle sue figlie, la possibilità di accedere a dei video delle violenze del regime contro gli studenti attraverso una connessione VPN o che siano i bollettini distorti della televisione di Stato, il ribollire delle tensioni sociali non può che esondare nel privato, al punto di comprometterlo.
[Il disfacimento dell'equilibrio familiare è uno dei punti di partenza de Il seme del fico sacro]
Servendosi di riprese in verticale effettuate con gli smartphone e inserti espunti direttamente dai documentari per le riprese in esterna a Teheran, Il seme del fico sacro riesce con efficacia a delineare un milieu che, per buona parte dell'opera, non può che restare fuori campo.
Tra i fattori che alimentano la tensione dentro e fuori le mura domestiche vi sono la morte di Mahsa Amini e la narrazione - istituzionale e di controinformazione - che dalla stessa è scaturita. In un simile contesto, dunque, i ruoli ricoperti nella società dai membri della famiglia non possono che insinuarsi nelle dinamiche familiari, soffocandole.
Iman sembra riprodurre il suo ruolo da giudice istruttore anche a scapito delle donne che tanto aveva amato fino a quel momento, sottoponendole a interrogatori e prove sempre più tremende.
Dopo aver sviluppato il rapporto tra la frustrazione del singolo e la corruzione sistemica in Lerd e aver delineato il terrificante effetto della pena di morte sui cittadini che sono costretti a lambirla ne Il male non esiste, Rasoulof è tornato a dipingere le laceranti contraddizioni di una nazione partendo dalla figura di un funzionario.
Un meccanismo tipico del Cinema poetico-politico: da Il presidente di Carl Theodor Dreyer a C'era una volta in Anatolia di Nuri Bilge Ceylan, passando attraverso Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri e Pentimento di Tengiz Abuladze, da sempre il Cinema misura la condizione di una società attraverso chi ne amministra la giustizia.
Per sua stessa ammissione il cineasta iraniano ha pensato a Il seme del fico sacro dopo essersi chiesto che genere di persone siano nel pubblico e nel privato quelle che compongono il sistema giudiziario iraniano.
Una domanda a cui ha trovato risposta durante i numerosi interrogatori ricevuti, avendo potuto osservare dall'interno l'oggetto dei suoi dubbi.
Un iter di pensiero che rende estremamente comprensibile la graduale riproposizione dei meccanismi tipici del regime anche nel privato dei suoi personaggi.
Sotto questo profilo particolarmente sibillino è il titolo dell'opera: il ficus religiosa - pianta sacra in diverse culture - cresce su un albero ospite fino a sostituirvisi, come esplicitato anche nella didascalia che apre il film.
Allo stesso modo le nuove forme di potere soffocano e soppiantano la condizione sociale su cui si innestano: una dinamica che si ripropone in maniera ciclica e inarrestabile.
[Ogni contrasto familiare de Il seme del fico sacro assume una valenza sociale]
L'osmosi tra ciò che è in campo e il fuoricampo, oltre che tra sfera pubblica e dimensione privata, rappresenta uno dei meccanisimi che innescano il montare della tensione di un thriller che, nella sua seconda metà, si allontana dal centro della città e si sposta lontano da Teheran, laddove il Cinema iraniano negli ultimi anni ha sempre trovato ossigeno per potersi esprimere in tutta la propria potenza.
Come sempre avveniva nel Cinema di Abbas Kiarostami, come succede sempre più di frequente nelle opere di Jafar Panahi o come già mostratoci nell'ultimo segmento de Il male non esiste, lontano dai grandi centri abitati il potere sembra sfumare e gli istinti umani si riappropriano dei propri spazi, permettendo a Il seme del fico sacro di concludersi con un climax palpitante.
La rappresentazione attuata da Rasoulof dei propri compaesani è tutt'altro che ammansita o piegata alla loro condizione di subalternità al potere: la paura domina i rapporti sociali, l'opacità dell'informazione ottunde la conoscenza della verità e la sovrapposizione tra uomini ed esponenti del sistema rende la resistenza un atto fratricida.
Le coscienze sociali delle protagoniste sono più vive che mai.
Ancora una volta ne Il seme del fico sacro l'autore iraniano affida alle donne un ruolo salvifico: malgrado siano costrette a una subalternità forzata all'interno della società, sono sempre i personaggi femminili a conservare la purezza di sguardo e la lucidità d'azione necessarie a risolvere i più intricati rebus delle sue opere.
[Il ruolo salvifico delle donne protagoniste de Il seme del fico sacro si pone in piena coerenza con la filmografia di Rasoulof]
Con la speranza di una giovane nazione in grado di germogliare sul fatiscente albero del regime, Mohammad Rasoulof ha concluso - almeno momentaneamente - la propria produzione iraniana.
Il risultato è un'opera che, senza trascurare i registri dei generi di riferimento, sembra mettere a sistema tutto il suo percorso artistico.
Forse il vero miracolo de Il seme del fico sacro è proprio questo: avere arricchito il Cinema mondiale permettendo la conservazione dell'integrità e dell'identità di un autore a cui era stata negata ogni forma espressiva.
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Il seme del fico sacro
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