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La notizia della scomparsa di David Lynch è una delle cose peggiori che sia mai capitata al mondo del Cinema e, più ampiamente, a quello dell’arte, perché nessuno è e sarà mai come David Lynch.
Sembra impossibile descrivere un artista in grado, nello spazio di 10 film e una serie TV, di ridefinire il racconto per immagini nelle due sfere di appartenenza. Il viaggio che è stato la vita di David Lynch è una grandiosa avventura che, come le sue storie, spesso è surreale e sembra non avere alcun senso.
Potrei dirvi che è nato tutto perché David Lynch voleva fare il pittore, perché Bushnell Keeler, famoso pittore statunitense, lo introduce al concetto di Art Life spiegato nel libro The Art Spirit di Robert Henri.
Potrei dirvi che quando si trasferisce a Philadelphia per studiare arte presso la Pennsylvania Academy of Fine Arts, la città è un incubo industriale decadente dominato da criminalità e costanti rivolte.
David Lynch arriva a dormire con una spada sotto il cuscino, che gli viene prestata da un amico, per combattere le intrusioni notturne che spesso si verificano nel quartiere. Di quando in quando gira per le strade con una mazza chiodata.
Potrei dirvi che mentre girava Eraserhead, nato da una sceneggiatura di una ventina di pagine che l’American Film Institute pensava fosse un cortometraggio, David Lynch è così al verde da dormire negli studi dell’AFI di nascosto. Potrei dirvi che è diventato padre tra i due precedenti passaggi e che fino al successo di The Elephant Man, quando aveva circa trent'anni, David Lynch viveva sostanzialmente in uno stato di povertà.
Il suo processo creativo, il suo laboratorio di idee e immagini, era il Bob’s Big Boy di Burbank dove ordinava caffè e milkshake, scribacchiando idee sui fazzoletti del diner.
[David Lynch e John Waters si incontrano al Bob's Big Boy]
Ci sono infinite avventure artistiche e personali riguardo la vita di David Lynch che fanno parte di quella che posso solo definire come una delle più grandi, affascinanti, avventure mai vissute da un artista contemporaneo.
David Lynch è stato un tempo artista anonimo, cineasta esordiente il cui Eraserhead fu uno dei film preferiti di Stanley Kubrick.
David Lynch è stato anche un personaggio pop di pubblica rilevanza e un innovatore: da ragazzo era nel corpo dei Boy Scout e ha presenziato alla cerimonia inaugurale della presidenza Kennedy; è stato il compagno di Isabella Rossellini; è stato sulla copertina del Time Magazine; ha conosciuto Federico Fellini ed è stato uno degli ultimi a incontrarlo prima della sua scomparsa; è stato pioniere di Internet, anticipando YouTube tramite la realizzazione di cortometraggi in Flash, aprendo un sito internet il cui funzionamento era incredibilmente simile a quello di Patreon e consegnando al pubblico prima corti sperimentali in digitale e, poi, le sue famose previsioni del meteo.
Ha usato una mucca, un pianista e un cartellone per pubblicizzare l’incredibile performance di Laura Dern in Inland Empire, sfidando il sistema di Hollywood; ha partecipato all'Ice Bucket Challenge, suonando Over the Rainbow alla tromba per poi farsi versare un secchio di ghiaccio e caffè in testa, nominando Vladimir Putin a partecipare; ha girato una memorabile pubblicità per PlayStation 2; ha composto tre album musicali e ha collaborato con Danger Mouse per l'album Dark Night of the Soul, titolo ideato dallo stesso Lynch; ha doppiato se stesso in un episodio de I Griffin.
David Lynch ha avuto una vita personale e artistica grandiosa che ha toccato infinite persone la cui gratitudine in queste ore sta riverberando in ogni angolo del mondo.
[David Lynch e Isabella Rossellini in uno scatto di Annie Leibovitz]
La vita di David Lynch è stata difficile, con episodi personali molto difficili e dolorosi, ma dominata dalla luce di un uomo che ha imparato a vivere seguendo i suoi principi morali e artistici con grazia.
La concezione più errata che ci possa essere su David Lynch è che fosse un artista intricato, complesso, criptico, un masturbatore intellettuale.
Non lo era.
Il suo umorismo viene dritto da Mad Magazine e per poco non ha sfogato pienamente questa sua voglia di ridere con la commedia One Saliva Bubble: una sceneggiatura scritta da David Lynch insieme al collaboratore di una vita Mark Frost che prevedeva come protagonisti Steve Martin e Martin Short. Un umorismo che troviamo in Twin Peaks, Twin Peaks: il ritorno, Inland Empire e Mulholland Drive.
La scrittura di Lynch mette sempre in primo piano personaggi ordinari i cui dialoghi aderiscono al linguaggio dell’uomo della strada. David Lynch era un ragazzone del Montana e sono proprio gli steccati bianchi del sogno americano, del rock and roll e dei prati verdi curati ad aprire Velluto Blu. In Una storia vera, quello che Lynch ha definito il suo film più sperimentale, troviamo tutta la nostalgia per un’America che non esiste più: quella delle torte di mele messe a raffreddare sul davanzale, del vicinato che si aiuta, di uomini e donne comuni con storie nobili e incredibili.
Twin Peaks ritrae invece l’America rurale, e Frost e Lynch sono i primi, insieme a Matt Groening, a creare un microcosmo di maschere che rappresenta l’America nel suo totale attraverso personaggi sinceri, quotidiani, rassicuranti.
Lo sono il Double R con le sue cameriere sorridenti e la torta di ciliegie; la cortesia del dottor Hayward che nel tempo libero va a pescare; la stramba gentilezza di Pete Martell e il candore dello sceriffo Truman, così come della svampita Lucy e del buon Andy.
Il Cinema e la televisione di David Lynch non sono mai disonesti o inutilmente intricati, ma cercano di affondare in una realtà che spesso passa per la struttura dei sogni o degli incubi.
La realtà è piegata da come i protagonisti vedono il mondo e Lynch dona solidità a questo concetto quando, con una doppia illusione, dal Club Silencio di Mulholland Drive trascina prima lo spettatore nel racconto del film e poi scuote le protagoniste con “No hay banda!”, perché è tutto un artificio e a quel punto tutti si chiedono cosa sia reale e cosa si sta guardando, compreso lo spettatore che ormai non sa più se è dentro o fuori il film.
[David Lynch rompe un televisore per una scena di Velluto Blu]
Parafrasando Gianni Canova, il Cinema di Lynch non è fast-food.
Non sono racconti che possiamo consumare e dimenticare. Ogni film sedimenta dentro di noi e qualcosa dal profondo ci riporta lì. Vederli e rivederli è un piacere generato dalla curiosità ma, più precisamente, dal concetto di mistero.
Stanley Kubrick e David Lynch avevano in comune l’amore per il mistero, perché non c’è niente di più noioso di un racconto dove tutto viene spiegato per filo e per segno e lo spettatore è semplicemente un oggetto che subisce la visione senza alcun coinvolgimento.
Nel Cinema di Lynch lo spettatore è trascinato dentro un mondo che non può subire passivamente.
Qualcosa di irrisolto deve esserci.
Alan Wake, videogioco di Remedy che in entrambi i suoi capitoli prende a piene mani da Twin Peaks, si apre con una citazione di Stephen King: “gli Incubi esistono al di fuori dalla ragione e le spiegazioni divertono ben poco; sono antitetiche alla poesia del terrore.”
Il Cinema di David Lynch esiste al di fuori della ragione e il mistero è quella componente utile a lasciare qualche domanda sospesa lasciata al cuore dello spettatore.
David Lynch però non è stato tanto un regista di incubi, quanto di sogni.
Tuttavia, nel suo Fuoco cammina con me, film che fu rigettato dal pubblico perché autenticamente lynchiano e non quel compromesso televisivo che aveva finito per distruggere la serie da cui è tratto, Lynch crea una delle opere più spaventose della storia del cinema. D’altronde il primo tempo del film è una sorta di doppelgänger di Twin Peaks, preannunciando allo spettatore che quello che sta per vedere è una lunga discesa verso qualcosa che in televisione è stata appena sfiorato.
Lynch terrorizza attraverso le immagini, con il ritmo del montaggio, con la musica, spostando un carrello verso un quadro che poi diventa la realtà e, ancora una volta, l’incubo, il martirio di Laura Palmer al quale assistiamo, che cammina tra la realtà e il sogno.
David Lynch non è capace di realizzare opere banali e lo dimostra anche nel suo film meno riuscito: Dune.
La storia produttiva dell'adattamento del libro di Frank Herbert è ormai nota. Il film, per ammissione dello stesso Dino De Laurentiis, è morto sul pavimento della moviola quando è stato tagliato per aderire agli standard di durata richiesti dagli esercenti dell’epoca per non perdere incassi.
Tuttavia, il Dune di Lynch contiene al suo interno alcune delle immagini più suggestive mai viste in un film di fantascienza e, formalmente, è il film perfetto per raccontare la filosofia spirituale abbracciata dallo stesso Lynch: “Fear is the mind killer”.
[David Lynch insieme a Kyle MacLachlan e Raffaella De Laurentiis]
Lynch contrariamente a molti altri artisti rinnega i sentimenti negativi come motore per l’arte.
La meditazione trascendentale è per lui un sistema per trovare calma, pace, lucidità e occasione per pescare quei pesci meravigliosi chiamati idee. Le idee sono il centro di ogni suo progetto.
Dune, in tal senso, dimostra in più istanti l’estro artistico di David Lynch, con interi set realizzati grazie al suo contributo. Dune, per quanto non riuscito, è un film che non è mai noioso, banale, vuoto o che lascia lo spettatore indifferente.
La disastrosa (almeno dal punto di vista commerciale) avventura è stata anche occasione per consolidare in David Lynch la sua missione: condurre una vita dedicata all’arte, la Art Life. Da quel momento in poi Lynch ha compreso quanto fosse venefico avventurarsi in progetti blockbuster che fossero lontani dalla sua natura e dal suo sforzo artistico; cosa che ha ricordato recentemente anche Brady Corbet, il regista di The Brutalist, perché il final cut e la visione del regista dovrebbe essere un diritto inalienabile e non qualcosa da concordare con una produzione.
David Lynch vive la sua vita seguendo il motto dei Beach Boys: rimanere fedeli alla propria parrocchia. Quindi non tradirsi mai.
Rimanere aperti alle scoperte, alle rivelazioni, alle intuizioni dello sforzo artistico, ma non piegarsi a compromessi che tradiscano quello che l’artista è davvero.
Allora chi era David Lynch fuori da un'opera (in parte) fuorviante come Dune?
Come ricordato da Steven Spielberg, Lynch fu autore di opere che sanno e possono resistere al tempo. Perché vivono dentro e fuori di esso, grazie a un’attenzione che è amore e artigianato verso la loro realizzazione.
Eraserhead è un incubo.
Un viaggio attraverso una selva oscura di incubi giovanili universali che, per forma e messaggio, è eterno.
The Elephant Man, il suo secondo film, quello che gli vale la candidatura all’Oscar, prodotto da un mattacchione come Mel Brooks, è una grandiosa opera che parla dell’essere umano. Delle nostre crudeltà, delle vanità della nostra società, e delle moralità che portano il dottor Frederick Treves (Anthony Hopkins) a domandarsi se il suo interesse verso John Merrick (John Hurt) sia davvero motivato da nobili intenti o mosso da sentimenti simili a quelli di Mr Bytes (Freddie Jones.) Forse solo i freaks possono capire fin da subito i turbamenti dell’uomo elefante. Anche qui, come nella quasi totalità del Cinema lynchiano, siamo a contatto con una dimensione onirica, seppur meno invasiva.
Eppure c’è qualcosa di umanamente potente nella rappresentazione offerta da Lynch, nel modo in cui il biopic, lasciando le porte aperte al mistero, genera compassione e empatia nello spettatore. David Lynch con The Elephant Man dimostra di non saper semplicemente eseguire.
La sua visione artistica non è contaminazione ma completamente al servizio del significato autentico del racconto, dimostrando, allo stesso modo di Una storia vera, come Lynch fosse in grado di rendersi invisibile pur conservando uno sguardo identitario.
[David Lynch e Anthony Hopkins sul set di Elephant Man]
Forse proprio Una storia vera è il film che meglio dimostra questo aspetto.
La sceneggiatura è l’unica, in tutta la sua filmografia, a non portare la firma dell'autore. In Una storia vera Lynch si mette al servizio del racconto.
Inquadra in silenzio e senza troppe parole una storia autentica, lasciandosi accompagnare dalle musiche di Angelo Badalamenti e dalle performance del suo cast.
David Lynch è anche l’uomo che ha reinterpretato il genere noir, abbracciandone in modo personale la struttura e rielaborando il tema del doppio secondo la sua visione.
Velluto Blu è il film che ci consegna una Laura Dern stupenda, che emerge dal buio per incarnare la luce del femminile. È il film che dimostra quanto per Lynch l’industria cinematografica non conti nulla: dopo il flop di Dune, Lynch richiama Kyle McLachlan come protagonista, consolidando un rapporto duraturo che nasconde per me un significato.
MacLachlan è il doppio di Lynch, la sua anima gemella, il "colore" che usa nei film per descrivere personaggi che, come lui, sono affascinati dagli elementi più oscuri.
Gli Stati Uniti degli steccati bianchi sono anche quelli che nascondono stabili fatiscenti e storie di abusi e droga.
Isabella Rossellini, figlia del regista Roberto e modella di fama internazionale, è una dark lady da incubo. Dennis Hopper è solo il primo di una lunga galleria di antagonisti che sono un riflesso del male. Qualcosa che lo spettatore ammira con curiosità in sala per poi respingere con decisione una volta terminata la visione.
Per Lynch questi personaggi sono necessari per capire come disinnescare il male e noi, con lui e MacLachlan, entriamo nel film per farci affascinare da queste immersioni, rimanendo a bocca aperta quando Dean Stockwell canta in lip sync In Dreams di Roy Orbison: un'immagine che è già Storia del Cinema.
[Una delle scene più emozionanti del Cinema di Lynch]
Strade Perdute, invece, usa la struttura del nastro di Möbius per piegare l’incedere degli eventi alla circolarità, ai doppi di Fred Madison (Bill Pullman-Balthazar Getty), Mr. Eddy (Robert Loggia-Robert Blake) e Renee Madison (Patricia Arquette), in una doppia versione mora e bionda che Alfred Hitchcock avrebbe apprezzato.
Parte tutto dal concetto di “fuga psicogena”, da come, in seguito a un trauma, il nostro cervello crei percorsi alternativi per difenderci dalla verità.
Strade perdute è un film incredibilmente moderno, anche grazie all'apporto delle canzoni di David Bowie, Marilyn Manson, Rammstein, Nine Inch Nails e The Smashing Pumpkins.
Un’opera di suggestioni e mistero dalla quale è impossibile uscire e che nasce da un’idea figlia di un passaggio del libro di Barry Gifford, Gente di Notte: “Non siamo nient’altro che due Apache, cavalcando selvaggi su strade perdute.”
Basta questo passaggio e l’intuizione delle VHS avute qualche anno prima per creare un neo-noir senza tempo, mesmerizzante e con una delle figure antagoniste più terrificanti di sempre.
Nulla nel Cinema di Lynch è agghiacciante come L'uomo misterioso interpretato da Robert Blake.
[David Lynch e Naomi Watts sul set di Mulholland Drive]
Mulholland Drive è invece il Viale del Tramonto di David Lynch.
Nota a margine: Lynch incontrò proprio Billy Wilder e, a cena, quest’ultimo si complimentò per Velluto Blu.
Mulholland Drive è uno dei più grandi film su Hollywood mai realizzati: il doppio di Naomi Watts e Laura Harring è sia in scena sia anche la scena.
Il film vale a Lynch la vittoria del Premio alla Regia al Festival di Cannes, divisa con L’uomo che non c’era di Joel e Ethan Coen.
Mulholland Drive dimostra ancora una volta la capacità di David Lynch di leggere il tempo, di inventare il suo cinema come se venisse dal nulla. Come l'enigmatico personaggio del Cowboy, interpretato da Monty Montgomery, noto principalmente come produttore.
Nella famosa scena con Justin Theroux, l'inesperto Montgomery faceva fatica a ricordare le battute, tanto che queste furono incollate addosso a Theroux per permettergli di leggerle durante le riprese.
Questa capacità di Lynch di anticipare i tempi è alla base anche della sperimentazione con le macchine da presa digitali che dà vita a Inland Empire.
Lynch inizia a produrre il film in autonomia, scrivendo scene che gira di volta in volta con Laura Dern con camera a mano in definizione standard. Certo, prima c'è stato il mediometraggio Rabbits, a sua volta incluso in Inland Empire: una sit-com da incubo con protagonisti dei conigli, realizzata nel giardino di casa Lynch e pubblicata online.
Hollywood non ha creduto in Inland Empire, un’opera che è un viaggio attraverso il tempo e gli universi che, sempre parlando di una percepita complessità che non è reale, sta tutto in un piccolo racconto popolare che Laura Dern si sente raccontare all'inizio del film.
Inland Empire è pura sperimentazione cinematografica e Steven Spielberg ne ha parlato dicendo, “Non posso credere che abbia realizzato un film quintessenziale sulla morte, sul morire e la paura di quel viaggio.”
Quando Lynch realizza Inland Empire nel 2006, l'autore è in una fase di ricerca visiva e tecnologica totale.
Lynch ha intuito il cambiamento che avrebbe investito Hollywood, e la creazione di contenuti in generale, come nessun altro. Nello studio di casa sua, stando ai suoi collaboratori, si stava costruendo una sorta di studio TV. Lynch ha saputo anticipare YouTube, il broadcast yourself, Patreon e ogni forma di realizzazione di contenuti che oggi è la norma.
Lynch, sempre aderendo alla Art Life e rimanendo fedele a se stesso, realizza un progetto in un ambiente ostile, dove non ci sono piattaforme come Netflix interessate a foraggiare autori per costruire credibilità e pubblico.
La curiosità di David Lynch, il suo spirito d’avventura, gli ha sempre consentito di intercettare storie e stilemi inediti.
Lo fece alla fine degli anni '80 quando, con Mark Frost, sviluppa Twin Peaks. In un periodo storico in cui le serie TV erano robetta utile a rassicurare il pubblico con una narrazione episodica, Lynch e Frost inventarono un mondo vibrante, caratterizzato da personaggi riconoscibili e inseriti in una storia avvincente.
Tutti parlavano di Twin Peaks.
Nessuno girava le serie con la stessa qualità pretesa da David Lynch perché, come gli insegnarono i genitori, “se devi fare qualcosa, falla per bene.”
Non importa se la serie gli fu uccisa dal network: Lynch, quando torna per il finale, gira alcuni degli episodi più belli della TV e mette in scena uno dei più grandi cliffhanger della Storia del medium.
[David Lynch con Lara Flynn Boyle sul set di Twin Peaks]
Tra la messa in onda e la morte di Twin Peaks c'è tempo per raccogliere anche la Palma d’oro a Cannes per Cuore Selvaggio, tratto da un libro dell'amico Barry Gifford.
Un crime on-the-road tratto che, inaspettatamente, usa la chiave de Il mago di Oz per raccontare ossessione, malattia e un mondo disperato nel quale solo l’amore tra i due protagonisti può rappresentare speranza e salvezza.
Il Sailor di Nicolas Cage entra nell'immaginario collettivo lynchiano con la sua memorabile battuta, “Questa è la mia giacca di pelle di serpente. Rappresenta il simbolo della mia individualità e la mia fede nella libertà personale”, e cantando Love Me Tender di Elvis Presley a un'estasiata Lula (Laura Dern).
La magia, l’incredibile rivoluzione di Twin Peaks non abbandona mai Lynch.
Quando torna con Twin Peaks - Il ritorno lo fa ancora una volta per cambiare la TV.
Per David Lynch Il ritorno è un film di 18 ore. Non episodi ma parti di un complesso organico.
Perché sembra davvero un film lungo 18 ore con una divisione televisiva che funziona dentro e fuori la finzione: il Road House diventa un luogo simbolico per accompagnare le esibizioni musicali che danno ritmo al racconto, ospitando, tra gli altri, Eddie Vedder, Nine Inch Nails, Chromatics e molti altri.
Ha del surreale quanta invenzione viva in quella serie, quanto Lynch abbia realizzato uno spazio fuori da ogni stilema per creare alcuni episodi televisivi come mai si erano visti prima: la Parte 8 è incredibile e già Storia della televisione.
In Twin Peaks - Il ritorno Lynch diventa anche mattatore, presenza scenica che domina parte del racconto con un personaggio come Gordon Cole che è, e sarà in eterno, una delle maschere più strambe mai viste al cinema o in TV.
Non so voi, ma ogni volta che piove a dirotto cito il mitico Albert (Miguel Ferrer) che, a denti stretti, sibila “Fuck Gene Kelly, you motherfucker!”
[David Lynch, nei panni di Gordon Cole, con una delle sue amate ciambelle]
David Lynch è sempre rimasto fedele a se stesso come nessun altro a Hollywood.
È stato personaggio pop per tutta la sua vita senza tradirsi o compromettersi, anche durante la pandemia, tornando a farci compagnia con i suoi aggiornamenti meteo quotidiani.
David Lynch ha vissuto la sua Art Life in modo puro, ha coltivato relazioni umane e professionali con attori e attrici che lo hanno ricordato e lo ricordano da tutta una vita celebrandolo. Ne imitano la voce nasale, ne citano le improbabili uscite dopo i cut, ne hanno abbracciato il candore e questo, oggi, è quasi impossibile da riportare su qualsiasi altro personaggio vivente.
David Lynch è ammirato dai suoi colleghi e venerato dai maestri di tutto il mondo.
Torno a citare Steven Spielberg che, quando lo ha chiamato per The Fablemans per interpretare John Ford, ha creato una situazione lynchiana portando sul set un suo idolo nei panni di un suo idolo.
David Lynch ha creato icone, personaggi immortali, ha collaborato con artisti provenienti da diverse forme d’arte per realizzare opere senza tempo che albergano nel cuore di milioni di persone in tutto il mondo.
David Lynch è stato un regista, sceneggiatore e attore unico nella sua capacità di guardare al mondo per poi raccontarlo attraverso il Cinema e la televisione, incarnando la vera essenza di un artista.
David Lynch è nei miei ricordi di bambino, quando per la prima volta ho sentito il tema della sigla di Twin Peaks composto da Angelo Badalamenti.
David Lynch mi ha insegnato l’importanza di rimanere fedeli a se stessi, l’importanza dello Zen e dell’arte di catturare un serial killer.
Ogni volta che bevo un caffè penso all’agente Dale Cooper che dice allo sceriffo Truman, “Ogni giorno, una volta al giorno, fatti un regalo. Non pianificarlo, non aspettarlo... fallo solo succedere.”
Ogni volta che mangio una ciambella non posso non pensare a David Lynch e alla sua massima, “Presta attenzione alla ciambella e non al suo buco.”
David Lynch vive nelle mie fantasie più oscure quando voglio evadere e ho voglia di provare un brivido di terrore.
La notizia della scomparsa di David Lynch è una delle cose peggiori che sia mai capitata al mondo del Cinema e, più ampiamente, a quello dell’arte.
Perché nessuno è e sarà mai come David Lynch.
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