#articoli
Per chi scrive, I predatori di Pietro Castellitto è stata una delle più grandi rivelazioni del 2020, nonché uno dei film più belli della scorsa tragica annata.
Il figlio di Sergio Castellitto non gode certo di ottima fama, dovuta soprattutto alle dubbie prove attoriali che ha fornito nel corso della sua precoce carriera.
Quando durante l’ultima Mostra del Cinema di Venezia Pietro Castellitto vinse il premio per la Migliore Sceneggiatura nella sezione Orizzonti infatti non mancarono le facili critiche sui toni del "mah, chissà perché", "raccomandato", ecc.
Una volta terminata la visione de I predatori è però a mio avviso difficile restare impassibili: Castellitto ha voluto dire tante cose e per farlo ha messo in scena un film inusuale per il nostro panorama cinematografico.
[Il trailer de I predatori]
Al centro del racconto ci sono due famiglie: i Vismara e i Pavone, una fascista e proletaria, l’altra intellettuale e borghese.
Due mondi apparentemente opposti, due realtà della Roma di ieri e di oggi.
Basterebbero i primi minuti de I predatori per capire che Pietro Castellitto non vuole assolutamente limitarsi a un preciso genere, a un preciso modo di mettere in scena e di sviluppare la sceneggiatura.
Il film si apre infatti con un flashforward per poi procedere con un bel long take che si conclude con un un dialogo a metà tra la commedia e il grottesco.
Veniamo poi catapultati in un’altra situazione con personaggi completamenti differenti e poi a un’altra ancora, fino a raggiungere una sorta di spaesamento nei confronti del film.
Castellitto carica I predatori di tanti personaggi e soluzioni stilistiche che risultano persino eccessive, fino a far perdere - a volte - interesse nei confronti di una storia volta a urlare la rabbia di un giovane nei confronti della generazione che lo ha preceduto.
Un racconto corale che prende di mira soprattutto quella società borghese annoiata, priva di valori, ma piena di successo.
Famiglie incapaci di comunicare con i propri figli - dove il saluto è l’equivalente di una stretta di mano tra imprenditori - chiacchierate sulla filosofia destinate a ridursi in sfottò da pub e, laddove vi è la voglia di mettersi in gioco, essa è soppressa da professori ottusi che si interrogano su questioni come la verginità di Friedrich W. Nietzsche o da studenti soffocati dalla loro stessa adulazione e dai libri.
Una rabbia castrata che trova il suo sfogo in una canzone rap cantata a una cena di famiglia - scritta dallo stesso Castellitto - anch’essa presa sullo scherzo, etichettata solo con un “bella, però”, non capita e per questo ancora più vera e triste.
[Il brano è scritto da Pietro Castellitto e cantato dalla sorella Maria]
Dall’altra parte c’è la famiglia fascista e proletaria, dedita alla vendita delle armi e all’ascolto di canzoni di estrema destra.
Quello che si percepisce è che i Vismara siano fascisti più per mostrarlo che per un vero credo, più per esser cresciuti in un ambiente in quanto tale - il pre-finale in questo caso è esemplificativo - che per la voglia di perseguire quell’ideale politico.
Una famiglia unita che litiga e che discute, ma ingabbiata anch’essa dalle colpe dei padri e che può trovare la libertà solo dietro le sbarre di una prigione.
I predatori
È interessante come ne I predatori Pietro Castellitto giochi con le emozioni del pubblico facendoci provare empatia nei confronti della famiglia fascista - dipingendone un quadro comunque non felice - a discapito dell’alta borghesia, triste e frustrata.
Si ride tanto ne I predatori - il cast composto prevalentemente da attori dediti alla commedia aiuta - ma il più delle volte sono risate amare, quasi dovute più alla disperazione che a un effettivo divertimento.
Pietro Castellitto ci porta in un mondo di bestie, di sogni infranti e di sfiducia nel futuro, un microcosmo popolato da predatori che diventano loro stessi delle prede cacciate meschinamente dal più grande predatore di tutti: la nostra natura.