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Dopo averlo rimandato a causa della pandemia il 4 settembre la Disney ha deciso di lanciare in pay-per-stream Mulan, remake live action del film di animazione del 1998.
Nel film di Niki Caro, regista neozelandese alle prese con il suo primo film ad altissimo budget, oltre alla protagonista Yifei Liu, troviamo anche delle vecchie conoscenze come Donnie Yen, Gong Li e Jet Li.
Mulan si pone nella ormai nutrita schiera dei remake inutili dei classici Disney, anche se fortunatamente questo qualcosa di positivo ce l’ha.
Non c’è ad esempio Will Smith blu, che è già un grosso passo avanti.
In generale in Mulan la CGI è contenuta e non è invasiva come nel 90% dei blockbuster moderni.
Tuttavia, purtroppo, l’estetica del film rimane quella di un’attrazione a tema cinese di un Parco Disney.
[Fuoco, cammina con me]
Nessuno ovviamente pretendeva il neorealismo, ma visto il livello di dettaglio nelle ricostruzioni raggiunto dalle produzioni (anche televisive) era lecito aspettarsi qualcosa di più.
La storia è quella che conosciamo: Mulan è una ragazza di un piccolo villaggio cinese che finge di essere un uomo per sollevare l’anziano padre dalla chiamata alle armi.
Riuscirà ad imporre il suo valore e a salvare l’impero nonostante il suo sesso?
[Me prudono le mano]
Tecnicamente il film soffre molto per una sceneggiatura povera nel tratteggiare la psicologia dei personaggi.
Gli eventi si concatenano con un ritmo sostenuto, ma in due ore di film non ci si riesce veramente ad affezionare a nessuno.
Neanche a Mulan, sia perché l’attrice che la interpreta ha una sola espressione facciale, sia perché il personaggio non ha un vero arco narrativo.
Nel film animato, Mulan era una protagonista carismatica perché era una ragazza normale, che compie un gesto folle per salvare il padre.
Le sue doti uscivano a poco a poco durante il film e, soprattutto, il suo personaggio risolveva le situazioni con la sua intelligenza, più che con la forza.
Tutto questo percorso nel nuovo film non esiste.
[Va bene così, René?]
Già nella prima scena del film vediamo Mulan bambina saltare sui tetti come Spider-Man.
Più il film va avanti e più notiamo che la nostra Mulan è una specie di supereroe, che in realtà sta trattenendo i suoi poteri da guerriera (il suo "qi") non si sa bene per quale motivo.
Il simbolo della sua famiglia, che farà da fil rouge durante la sua avventura, è molto originalmente una fenice.
Non si capisce però questa Mulan da che cosa dovrebbe risorgere, visto che da subito scocca le frecce facendo delle rovesciate degne di Zlatan Ibrahimović in Svezia - Inghilterra 4 a 2 del 2012.
[Quell'uomo sarai, che adesso non sei tuuuuuuuuuuu]
Non si riesce quindi mai a provare empatia nei confronti di una persona che ci risulta dall’inizio una vincente e il cui conflitto è esterno ad essa, perché passa dal riconoscimento, da parte di altri, di qualità già acquisite in partenza.
Gli unici che potevano rendere Mulan un po’ più interessante erano i cattivi, ma purtroppo questo non avviene.
Lo spessore di Bori Khan, l’invasore cattivo interpretato da Jason Scott Lee, è pari a quello della lama della sua spada e le sue motivazioni sono risibili.
[Bu.]
L’altra cattiva è la strega Xianniang, interpretata dalla sprecatissima Gong Li, che è l’unico personaggio tratteggiato un po’ meglio psicologicamente e che ha più di due espressioni facciali.
Venendo al dunque, l'aspetto su cui c’era maggiore curiosità prima dell’uscita erano i combattimenti, soprattutto perché a capo dell’armata imperiale c’è Donnie Yen.
[Fammi il bonifico!]
Delusione, invece, anche su questo fronte.
I combattimenti sono mediocri e Donnie Yen fa solo un paio di showcase e nulla più.
Jet Li è praticamente una sagoma di cartone, ma quello che dispiace, in generale, è che l’epica non sia pervenuta.
[Sogno o son desktop?]
Se dal punto di vista strettamente cinematografico, nonostante i difetti elencati, Mulan riesce a risultare un film mediocre, dal punto di vista ideologico invece è addirittura un salto indietro rispetto all’originale di ventidue anni fa.
Nel film animato Mulan riusciva a rompere gli stereotipi grazie al suo ingegno e al suo coraggio, e quindi a emancipare la donna in quanto essere pensante al pari se non al di sopra dell’uomo; qui invece si riporta tutto alla retorica del guerriero.
Mulan infatti è una specie di Wonder Woman che cammina sulle pareti, mena come se non ci fosse un domani e viene accettata nel consesso patriarcale in quanto unicum nel genere femminile.
È l’eccezione che conferma la regola, è la donna speciale che si mette in mostra non tanto per sconfiggere il sistema, quanto per entrare a farne parte.
[Scusi signor Patriarcato, è permesso?]
Mulan va quindi visto, come al solito ormai quando si parla di Disney, sotto la lente del capitalismo americano.
La logica che sta dietro al film sembra arrivare direttamente da un PowerPoint di un ufficio marketing: la diversità va bene se crea valore per l’azienda.
Così, in Mulan, la donna va accettata se è un soldato che aggiunge valore all’Impero.
L’ideologia reazionaria che sta dietro al film infatti non intende delegittimare il patriarcato, che relega la donna a casalinga cagafigli che deve obbedire e soddisfare l’uomo, ma anzi vuole inglobare le donne che si conformano ai valori maschili e guerrafondai dell’Impero, per rafforzarlo ancora di più.
[Come faccio, questa non mi vuole cagare figli]
Il sottinteso è che la liberazione della donna sia una concessione che viene fatta dall’alto, perdendo quindi il suo carattere rivoluzionario, e ciò avviene solo ad alcune condizioni: quelle che permettono di mantenere lo status quo.
Ancora una volta ci troviamo dunque di fronte alla classica ideologia liberal di cui Hollywood è impregnata, che suggerisce ai poliziotti di non sparare in faccia alle persone, ma di gambizzarle e basta.
O se vogliamo, per giocare in casa, al gattopardesco "cambiare tutto per non cambiare niente".
Il film del 1998 non era sicuramente rivoluzionario, ma Mulan non era ammantata dalla retorica guerrafondaia di questo film e, soprattutto, in quel film era presente una scena iconica, quella in cui i tre soldati suoi amici si travestivano da donne per salvare l’Imperatore.
Una scena altamente simbolica, in cui la retorica maschilista del guerriero veniva totalmente sovvertita.
In conclusione, il film che doveva rappresentare la svolta dei remake Disney, si è rivelato un colpo sparato a salve.
È innegabile che dei progressi siano stati fatti: il film scorre, il ritmo è discreto e gli effetti speciali non invadono lo schermo in ogni momento.
Sarebbe piaciuto un po’ più di coraggio, soprattutto perché la regista di Mulan è una donna e ha già diretto film con protagoniste femminili di un certo calibro come La ragazza delle balene, North Country e La signora dello zoo di Varsavia, invece ci troviamo di fronte al solito pinkwashing aziendalista.
Se avete figlie, ma soprattutto figli, continuate a farli crescere con il Mulan animato.
Si divertiranno di più e, forse, saranno anche delle persone migliori.
1 commento
Enrico Tribuzio
4 anni fa
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