Articoli

#articoli
La santa di Brooklyn è l’ultima opera del regista Ulisse Lendaro, in concorso nella sezione #FrameItalia di Sguardi Altrove Women’s International Film Festival 2025.
Prodotto dallo stesso Lendaro e da sua moglie Anna Valle, questo affascinante docufilm sulla vita della pugilessa trentenne Chiara Dituri è stato proiettato in anteprima assoluta giovedì 13 marzo, a pochi giorni dal compleanno della protagonista.
Una coincidenza molto significativa dal mio punto di vista, considerato che La santa di Brooklyn non è solo la storia di una giovane promessa della boxe in ascesa, ma anche il racconto autentico di una grande rinascita: dopo numerose difficoltà infatti, Chiara riesce a ritrovare sé stessa grazie alla sua passione per lo sport e attraverso una rinnovata fede religiosa.
[La santa di Brooklyn: il trailer ufficiale del docufilm]
Sulla cintura porta la scritta “Speedy”, perché sul ring è più veloce delle sue avversarie; si allena per diventare campionessa del mondo dei pesi superpiuma e non si arrende mai: Chiara Dituri è un’insegnante di educazione fisica alla John Dewey High School di Brooklyn e una pugilessa professionista nata e cresciuta a Bensonhurst in una famiglia di origini italiane.
Il ring è l’unico posto al mondo in cui paradossalmente Chiara si sente al sicuro; i suoi genitori si sono trasferiti a New York appena sedicenni da Mola di Bari e hanno divorziato quando lei aveva solo sei anni.
Nella sequenza iniziale de La santa di Brooklyn la si vede trascinare una croce sulle spalle, mentre sullo sfondo si scorge l’imponente skyline di New York: è l'immagine allegorica di un calvario che per Chiara è iniziato nel 2022, quando durante un incontro si è procurata una commozione cerebrale che l’ha costretta a uno stop di un anno e mezzo.
"Non è stato facile" - spiega la pugilessa, che da un momento all'altro ha visto tutto il suo mondo sgretolarsi - "non avevo speranze […] e non credevo che sarei migliorata".
Un neurologo l’ha seguita costantemente attraverso suo percorso di ripresa, monitorando ogni suo miglioramento nei diciotto mesi di riabilitazione, durante i quali Chiara ha lottato con fatica per ricostruire ciò che credeva di aver perduto.
Per questo sulla pelle si è tatuata un passo delle lettere di San Paolo ai filippesi: “Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica” e confessa che la fede in Dio è una delle poche cose che l’ha sostenuta nei momenti di difficoltà e porta sempre nel borsone una Bibbia, oltre ai guantoni.
[La santa di Brooklyn: Chiara Dituri sul ring in una scena del docufilm]
“Ognuno inizia a combattere per un motivo” e Chiara ha iniziato da bambina con il karate.
Il dojo per lei rappresentava un luogo sicuro dal momento che a casa viveva un’ambiente familiare difficile: dopo il divorzio, suo padre ha lasciato la famiglia e la madre ha trascorso molti anni a prendersi cura di suo fratello tossicodipendente.
“Mi sentivo impotente crescendo, non mi sentivo ascoltata da mia madre. Non sono stata trascurata di proposito, ma aveva da fare: era preoccupata per mio fratello.
Lui si drogava pesantemente. Mia madre cercava di salvargli la vita”.
Per tutta la vita Chiara ha vissuto in modalità sopravvivenza e il suo infortunio sul ring ha portato a galla problemi più profondi e insidiosi, come un significativo disturbo d’ansia e persistenti attacchi di panico.
Chiara soffre di depersonalizzazione combinata a un disturbo d’ansia, una condizione che pochi conoscono per cui il cervello è costantemente sovrastimolato e fa fatica a rilassarsi.
Spesso questo squilibrio emotivo è legato a periodi di depressione o a traumi infantili; è qualcosa che Chiara rivela di aver sempre avuto ma che con l’incidente è andata peggiorando.
La santa di Brooklyn ci consente di riflettere su quanto possa essere devastante crescere in una famiglia che oggi chiameremmo disfunzionale, ma che trent’anni fa rappresentava la normalità: una casa in cui non si parla mai e si comunica urlando. In questi contesti, i bambini che sopprimono i sentimenti diventano adulti che faticano a gestire ciò che provano.
Trovare una valvola di sfogo a quest’emotività repressa permette in alcuni casi di riconciliarsi con sé stessi e la protagonista de La santa di Brooklyn ha iniziato questo percorso attraverso le arti marziali, praticando prima il karate e poi la boxe, determinata a non essere mai vittima delle circostanze, qualunque cosa fosse accaduta.
Nella vita però non si può controllare tutto e Chiara lo ha imparato a sue spese, quando a metterla K.O. non è stato solo un pugno, ma quel carico emotivo che si portava dietro sin da bambina.
[La santa di Brooklyn: al centro della foto la protagonista Chiara Dituri. Sullo sfondo gli imponenti grattacieli di New York]
Nell’opinione di chi scrive l’emozionante storia di resilienza de La santa di Brooklyn offre la possibilità di riflettere ampiamente sul senso della lotta, non solo come scontro fisico, ma come percorso interiore di crescita e affermazione di sé, dimostrando quanto sia errato considerare le arti marziali un mero sfogo di rabbia e frustrazione.
Senza alcuna lezione da impartire, credo che l’esperienza di Chiara sia la prova concreta che queste discipline non offrono soluzioni facili, ma possono diventare un prezioso strumento per comprendere sé stessi e imparare a affrontare le proprie paure.
La forza dopotutto, non serve se non si impara a controllare le emozioni negative: per questo Chiara indossa i guantoni e sale sul ring, anche quando torna a domandarsi come sarebbe stato crescere in una famiglia diversa.
Questa ostinata ricerca di un senso, che spinge la protagonista a non fermarsi mai e a affrontare ogni ripresa sempre con la stessa tenacia, nasce da un profondo bisogno di appartenenza: “Vorrei solo che qualcuno mi indicasse il mio posto nel mondo e che mi ci inchiodasse con gli stessi chiodi che usarono per la croce di Cristo”.
Oggi la sua normalità è il suo lavoro, i pomeriggi con gli amici e gli allenamenti alla Gleason’s Gym a DUMBO, Brooklyn, la stessa palestra dove si è allenato Robert De Niro per prepararsi a Toro Scatenato e dove sono stati girati 26 film, tra cui i primi due Rocky e Million Dollar Baby di Clint Eastwood.
Questa palestra di quartiere dove sferravano pugni Mike Tyson e Muhammad Alì oggi è frequentata da imprenditori, donne e bambini; alla Gleason’s si sono anche allenate cinque campionesse mondiali e c’è inoltre un programma per pugili transgender.
Sempre presente al suo angolo, Chiara può contare sul suo allenatore Don Saxby, qualcuno che crede in lei e che lei vede come una figura paterna da rendere fiera.
Persino Bruce Silverglade, proprietario della palestra, ripone grosse speranze nella promettente carriera di Chiara Dituri, anche se spiega che le donne nel pugilato non guadagnano quanto gli uomini: per questo non le dirà mai di lasciare il suo lavoro di insegnante.
L’altra protagonista de La santa di Brooklyn è la città di New York: la Grande Mela veglia su Chiara in ogni scena della pellicola, austera e imponente, al pari di una cattedrale di vetro e acciaio.
Il suo traffico incessante e il neon dei cartelloni pubblicitari circondano costantemente la protagonista, avvolgendola in un bagliore glaciale, come stazioni sacre che scandiscono la sua personale Via Crucis.
“È come una madre a cui continui a voler bene mentre critica ogni tua scelta” - afferma la pugilessa italoamericana - “o un padre che è sparito da anni.
È come un ring dove vince chi rimane in piedi fino all’ultimo round”.
Il regista Ulisse Lendaro sottolinea che nelle sue intenzioni non c'era realizzare un film sul pugilato: ”La mia idea era di girare una storia di respiro internazionale fuori dall’Italia.
Mi interessa il mondo femminile: le protagoniste delle poche cose che ho fatto sono donne”.
In questo senso, La santa di Brooklyn diventa simbolo di una lotta che va oltre il ring: è un viaggio alla ricerca di un senso profondo, un percorso di resistenza che pur disseminato di ostacoli permette alla protagonista di andare avanti.
La domanda che può sorgere è se sia giusto sacrificare tutto per il ring; Chiara Dituri non si chiede mai se ne valga davvero la pena e forse è proprio questa incrollabile determinazione l’unico motore che le permette di andare avanti, un pugno dopo l'altro, senza fermarsi mai.
___
CineFacts segue tutti i festival, dal più piccolo al più grande, dal più istituzionale al più strano, per parlarvi sempre di nuovi film da scoprire, perché amiamo il Cinema in ogni sua forma ed è grande l'orgoglio per essere anche quest'anno Media Partner di Sguardi Altrove Women’s International Film Festival!
Vieni a curiosare su Gli Amici di CineFacts.it e sostieni il progetto!
Articoli
Articoli
Articoli