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In Confidenza la coscienza umana, stretta tra le morse della paura e dell’amore, è costellata da continui e vertiginosi salti nel vuoto.
Terrazzi, balconi, finestre.
Cosa vuol dire gettarsi? È scegliere di abbandonarsi all’inconsistenza della vita, accettando quindi l’inafferrabilità dei sentimenti che governano il nostro essere?
È forse scappare dall’analisi del reale, lasciando sotterrata la nostra natura più oscura?
Oppure è solamente l’ennesimo atto narcisistico, ultimo e definitivo tentativo di compiacimento?
[Il trailer di Confidenza]
Dopo La scuola e Lacci, Daniele Luchetti torna ad adattare un libro di Domenico Starnone per il Cinema, arricchendo - non solo con immagini - la riflessione sulla psiche umana proposta dallo scrittore napoletano.
Il film è costellato da angoscianti interrogativi scaturiti, alimentati e seppelliti dalla presenza scomoda e inafferrabile di un segreto continuamente negato allo spettatore.
Su questo segreto Luchetti costruisce interamente il linguaggio del suo film, senza mai compiacere chi guarda, ma anzi spingendolo a un disorientamento continuo, estenuante e attraente al tempo stesso, in bilico tra orrore e fascino, disgusto e seduzione.
Confidenza è prima di tutto il viaggio di Pietro (Elio Germano), un professore di lettere estremamente amato dai suoi studenti e promotore di una vera e propria pedagogia dell’affetto, apprezzato per la sua volontà di lasciare un segno nella vita degli adolescenti ribaltando i codici tradizionali, classisti e autoritari dell’insegnamento e dell’istituzione scolastica più in generale.
Pietro si avvicina a una sua studentessa prodigio in matematica, Teresa (Federica Rosellini), attratto dall’idea di prendersene cura e, una volta finita la scuola, inizia con lei una relazione.
Nel rapporto si insinua in primo luogo l’impossibilità del desiderio, la sensazione di un’intimità paradossalmente distante e non abbastanza viscerale, che infatti la studentessa rivendica proponendo la confessione reciproca di un segreto indicibile.
Da qui, Pietro, che nel frattempo si sposa con la collega Nadia (Vittoria Puccini) entrando inoltre a far parte, grazie a un suo stimato saggio sull’educazione, di una borghesia intellettuale fatta di appoggi e strategie editoriali, affronta un intricato percorso su e verso se stesso, interamente orientato alla paranoia di essere scoperto, al timido tentativo - mai risoluto e determinato - di salvare la sua mediocre condizione.
[Federica Rosellini ed Elio Germano in una scena di Confidenza]
Daniele Luchetti e Francesco Piccolo, sceneggiatori del film (e Starnone, di conseguenza) intrecciano in Confidenza una sfuggente quantità di tematiche differenti tra cui il desiderio, inteso come motore dell’azione e della relazione con l’altro, l’aspirazione personale, la costruzione dell’immagine e dunque lo sfumarsi dei confini tra pubblico e privato, l’ossessione, il fascino nei confronti del male e dell’oscuro, l’autocompiacimento, la nullaggine dell’intellettualismo borghese buonista.
Ogni tematica si rivela nelle sfaccettature di personaggi ben costruiti.
Pietro, in una sorta di eterna condizione di morte simbolica, nella sua disperata ignavia è costantemente importunato dal potere degli altri tant’è che la presenza di Teresa lungo il corso della sua vita si manifesta spesso come un irritante disturbo per poi sciogliersi, solo apparentemente, nell’affetto di una carezza o di un sorriso.
Teresa e la sua presenza ingombrante e violenta, ha in sé l’anarchia moderna di un’Antigone e conserva sfumature che sembrano appartenere a una dimensione al di là della realtà, fuori dal tempo, dallo spazio e dai codici del reale; è in un certo senso, la rappresentazione della coscienza di Pietro e della sua condizione di estenuante impossibilità, manifestata anzitutto nella negazione all’urlo di un suono in una delle scene più belle del film.
Infine Nadia, che ha lasciato il desiderio del marito diventare il nucleo del loro legame, è schiacciata dalla frustrazione di un futuro negato (o forse dalla consapevolezza di schivarlo appositamente) che si rivela in una risata nervosa, soffocata, strangolata dalla sconvolgente coscienza della propria ordinarietà.
[In Confidenza nei panni di Pietro, Elio Germano consegna l'ennesima superba prova di recitazione]
Luchetti propende per una regia che segue il non verbale, perciò sguardi e gesti sono spesso inquadrati da lontano o tramite inquadrature statiche e desaturate (ottima la fotografia di Ivan Casalgrandi) che lasciano la possibilità allo spettatore di indagare all’interno delle immagini per trovare indizi, suggerimenti e possibili risposte alle proprie congetture.
Tutto ciò sulle note sperimentali, disturbanti e stridenti del genio di Thom Yorke (già compositore nel 2018 della colonna sonora del Suspiria di Luca Guadagnino) che qui dimostra un’assoluta abilità nell’incastrare sonorità differenti, di fiati da festa e di corde tese e pizzicate.
Elio Germano, Federica Rosellini e Vittoria Puccini compongono il vibrante triangolo di dimensioni umane di Confidenza.
Germano è splendidamente teso, come sarebbe un uomo incessantemente sull’orlo di un cornicione; Rosellini, attrice teatrale rodata e di grande talento, dimostra di potersi adattare con maestria al linguaggio cinematografico e infine Puccini, che raramente emerge per la sua padronanza scenica, è qui grande co-protagonista, ambigua e imprevedibilmente cangiante.
Si resta, alla fine di Confidenza, smarriti e turbati.
Nelle narici l’odore di quel limone ammuffito che in una scena Teresa osserva affascinata, simbolo di una condizione di deterioramento, dello stato pre-morte dell’esistenza umana in cui emerge il marcio, il putrescente, l’immondo.
A domandarsi tanto della natura del segreto di Pietro, non ci siamo accorti di dove avremmo potuto guardare. Forse, sembrerà banale scriverlo, la risposta si trova all’interno di ognuno di noi, ma ancora meglio: si trova nell’analisi introspettiva che ciascuno di noi, a un certo punto della propria vita, sarà costretto a fare.
L’esistenza umana è allora appesa al risultato di quella ricerca: la consapevolezza di ottenere un esito astratto, indecifrabile e incomprensibile è praticamente certa.
La fuga incessante rimane l’unica soluzione.
Lo suggerisce Luchetti in un finale che, oltre a svelare la finzione del meccanismo cinematografico (peccato per la sovrapposizione dei titoli di coda) mette in scena una corsa nel magazzino labirintico della memoria, tra le scenografie dei propri traumi, dei propri segreti e delle proprie indissolubili fragilità.
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2 commenti
hans castorp
6 mesi fa
Mi è piaciuto molto, inquietante,
Ci sono diverse inquadrature e scene dove il regista secondo me ci da dei segnali, penso al corvo nero sul ramo dell'albero e la coppia col passeggino, il sangue al naso durante la celebrazione del matrimonio, il quadro che improvvisamente cade durante un rapporto sessuale ed altre, le ho trovate molto interessanti, misteriose, rivelatrici, un segno una firma del regista e della sua visione. Mi ha molto affascinato questo.
Complimenti per la sua recensione, l'ho trovata aderente e più azzeccata di quelle lette fin'ora.
Francesco
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