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Avatar uscì in Italia il 15 gennaio 2010 e portò al cinema quasi 7 milioni e mezzo di spettatori.
Il film di James Cameron fu girato con un sistema di ripresa innovativo.
Il regista canadese perfezionò le cineprese Fusion Camera System, brevetto suo e di Vince Pace, facendo in modo che la ripresa in 3D potesse mostrare in tempo reale le immagini create con l'ausilio della computer grafica, dando modo a regista e attori di sapere cosa avrebbero avuto intorno a film finito, e poterci quindi interagire quasi come se fossero reali.
[Il trailer di Avatar, 2009]
Un'enorme differenza rispetto alle riprese in un ambiente green screen, dove gli attori immaginano di interagire con qualcosa che non vedono, e al tempo stesso un'innovazione per la tecnica del motion capture e del performing capture: sul set di Avatar Cameron e Mauro Fiore - il direttore della fotografia che vinse l'Oscar per questo film - potevano non solo vedere su un monitor gli ingombri in CGI e quindi comporre l'inquadratura come se stessero riprendendo qualcosa di realmente esistente, ma potevano decidere di spostare gli oggetti virtuali al fine di realizzare l'inquadratura voluta.
E per "oggetti virtuali" sul set di Avatar si parla di nuvole, alberi, animali, montagne, pianeti, stelle: una sorta di potere divino in mano a regista e DoP.
Cameron scrisse un primo trattamento di 80 pagine per Avatar a metà anni '90, ma all'epoca i costi sarebbero stati proibitivi e il film venne accantonato.
E poi doveva girare Titanic: altra impresa da poco, insomma.
Quando Avatar uscì nelle sale mondiali fu un successo strepitoso: pochi analisti avevano previsto una reazione del pubblico di tale portata e anzi in molti pensavano che sarebbe stato un flop.
Ma il passaparola funzionò alla perfezione e Avatar divenne il film-evento che nessuno voleva perdersi perché ne parlavano tutti.
Complice anche il prezzo maggiorato per le proiezioni in 3D, il film sorpassò gli incassi di Titanic - che fino a quel momento deteneva il record, senza il calcolo dell'inflazione - e raggiunse la ragguardevole cifra finale di quasi 2 miliardi e 800 milioni di dollari nei botteghini di tutto il mondo (2.789.958.507 di dollari il dato preciso)
Costato circa 400 milioni tra produzione e promozione, Avatar fu tutt'altro che un flop e il suo record è rimasto in piedi per 10 anni, fino all'arrivo di Avengers: Endgame che pochi mesi fa lo ha sorpassato di quasi 8 milioni di dollari, arrivando a 2 miliardi e 797 milioni.
Sempre ovviamente senza inflazione, perché calcolandola Avatar è sopra i 3 miliardi ed è al 2° posto di sempre dietro Via col Vento, mentre il film Marvel dei fratelli Russo è al 5° posto dietro a Guerre Stellari e, toh: Titanic, che resta al 3°.
In Italia il film di James Cameron è ancora oggi il più redditizio di sempre, con 65,6 milioni di euro incassati che passano di poco i 65,3 di Quo Vado?: anche qui ci sarebbe da fare il discorso dell'inflazione, perché il film di Gennaro Nunziante con Checco Zalone ha portato in sala più di 9 milioni di spettatori, mentre Avatar si fermò poco prima dei 7 milioni e mezzo.
Ma con l'inflazione i milioni di Pandora diventano 74,6 e non solo: anche il film con Zalone subì un notevole innalzamento del prezzo dei biglietti, dovuto all'enorme affluenza del pubblico che fece ritoccare i prezzi dagli esercenti che sfruttarono il momento fortunato per portare in cassa qualcosina in più.
In ogni caso, dieci anni fa Avatar fu salutato come rivoluzionario.
Roger Ebert - uno dei più autorevoli critici cinematografici, per chi non lo conoscesse di nome - lo valutò con 4 stelle su 4, lodandone la realizzazione, l'atmosfera del mito, scrivendo che vederlo in sala lo fece tornare "ai tempi in cui vidi al cinema Guerre Stellari".
Oggi invece è perlopiù diventato oggetto di scherno tra i commentatori dei social network e gli intenditori di Cinema della domenica.
La critica che gli viene mossa è più o meno sempre la stessa: la storia è una storia già vista, non è originale, "è uguale a Pocahontas".
Sono sicuro che l'abbiate letto o sentito almeno una volta, se in questi dieci anni vi siete imbattuti in una discussione in merito ad Avatar.
O magari siete proprio tra coloro che lo hanno detto o scritto.
Ma forse lo avete letto, o pensato, senza sapere che al mondo esistono solamente 7 storie da poter raccontare.
Sullo scheletro generale di quelle sette sono state scritte tutte le storie che avete letto finora e tutti i film che avete guardato.
A partire da Aristotele fino al film che vincerà l'Oscar nel 2025.
Nel corso dei secoli in molti si sono cimentati nel riconoscere gli archetipi della narrativa, che ovviamente stanno alla base delle sceneggiature che diventano poi dei film: famose sono le 36 situazioni drammatiche del francese Georges Polti, che nel 1985 pubblicò un libro secondo il quale non esistono più di trentasei circostanze per sviluppare una trama.
Oppure i 20 Master Plots di Robert Tobias, che similmente a Polti elenca le venti possibilità di costruzione di una storia elencandole per temi come Avventura, Amore, Amore Proibito, Metamorfosi, Sacrificio, Soccorso, Vendetta... e sono anche quelle che mi insegnò un mio Professore di Cinema ormai nel secolo scorso.
Questi non sono ovviamente gli unici tentativi di raggruppare le storie raccontabili, ma sono probabilmente quelli diventati più noti fino al 2004, quando l'inglese Christopher Booker individuò in sette le possibili storie che si possono raccontare.
Mi scuserà il mio ex professore - a cui auguro di essere ancora in vita, ma data l'età che ci separava quasi 25 anni fa credo di poter scrivere le prossime righe senza timore di venire sgridato da chi ora guarda sereno le margherite dalla parte della radice - ma personalmente mi trovo d'accordo con Booker, nonostante la sua teoria debba molto a chi lo ha preceduto e prenda come grande base del suo discorso Il Viaggio dell'Eroe di Chris Vogler - che vi abbiamo consigliato qui - che a sua volta trae insegnamento dall'Eroe dai mille volti di Joseph Campbell.
Ma sto divagando.
Secondo Booker, aggiungendo alle classiche elleniche commedia e tragedia abbiamo la sconfitta del mostro, il percorso dell'eroe, dalle stalle alle stelle, la rinascita, andata e ritorno.
Fine.
Tutti i tòpoi narrativi si muovono all'interno di queste sette opportunità per dare vita a un racconto.
La storia può raccontarci una vendetta o un mondo alla rovescia, può presentarci personaggi piatti e stereotipati o affascinanti e originali, può portarci in una galassia lontana lontana o raccontarci una storia che si svolge nel cortile di casa nostra, ma sarà sempre e comunque riconducibile a una di quelle sette lassù.
In molti casi inoltre la storia è riconducibile a due, anche tre di quelle sette, insieme nello stesso film.
Questo accade nella letteratura come nel Cinema, ovviamente.
La critica più sciocca e sterile che si possa muovere a un film, dunque, a mio avviso è proprio quella di ridurne il plot ai minimi termini per poi sostenere che la trama è semplice e che assomiglia a un altro film.
Qualunque film ha una trama semplice, se la si semplifica per convenienza: sono davvero pochi i film che presentano un'ossatura al 100% originale, dato che è sempre e comunque derivativa.
Tutti i film assomigliano a un altro film.
Se Avatar assomiglia a Pocahontas, Pocahontas assomiglia a FernGully.
FernGully assomiglia a Balla coi Lupi e Balla coi Lupi assomiglia a Dune.
Non ci credete?
Riducete la storia di questi film ai minimi termini e vi accorgerete che è la stessa.
[CineFacts! Il fumo delle sigarette di Sigourney Weaver in Avatar è fatto in CGI]
E volendo si può andare ancora indietro, e indietro, e indietro oppure fare altri esempi divertenti.
Guerre stellari è La fortezza nascosta.
Nightcrawler - Lo sciacallo e Joker sono Taxi Driver.
Shutter Island è Il gabinetto del dottor Caligari.
O ragioniamo per generi.
I film romantici sono tutti uguali dato che il percorso dei due protagonisti sarà sempre più o meno lo stesso: si conoscono, non si piacciono o si piacciono poco, si piacciono molto, c'è un ostacolo alla loro unione, l'ostacolo viene superato, si uniscono.
I film d'azione? Tutti uguali: c'è un eroe - riluttante o meno, con il phisique du role o meno - e c'è una situazione da risolvere.
In un modo o nell'altro l'eroe risolve la situazione e il film finisce.
E anche tutti i particolari all'interno di questo plot magrissimo si ripetono nei film da almeno un secolo.
Alcuni ne hanno di più in comune, altri ne hanno meno.
Ma ci sono, sempre.
E così potremmo andare avanti con i gialli, con i film di guerra, i film horror... ma che utilità può avere il ridimensionamento della trama nell'ottica della discussione sul valore di un'opera cinematografica?
Lasciando da una parte Avatar per qualche riga: vi siete mai chiesti cosa racconta davvero Pulp Fiction?
O Memento?
Come mai vi piacciono tanto o non vi piacciono affatto?
Qual è in realtà la storia alla base di Shining?
Quella de Il padrino? Casablanca?
Quarto Potere?
Molto spesso nel Cinema non è importante cosa ci viene raccontato, ma come.
Proprio perché le storie raccontabili sono in fin dei conti davvero molto poche.
Senza volerlo innalzare al pari dei film appena citati - non è mia intenzione e personalmente non lo reputo minimamente sullo stesso piano - Avatar quando uscì fu a tutti gli effetti rivoluzionario.
Il film di Cameron spostò in avanti i limiti della produzione cinematografica, divenne termine di paragone per gli effetti visivi, per la tecnica di ripresa, per la quantità di informazioni da gestire in post-produzione, inventò da zero un nuovo modo di girare i film che stanno tra il live action e la CGI, integrando i due mondi non solo nel risultato finale ma addirittura sul set.
Avatar racconta una storia sfacciatamente anti imperialista e anti capitalista, e il fatto stesso che a farlo sia un blockbuster da 400 milioni di dollari di spesa e 3 miliardi di incasso rende il tutto squisitamente metacinematografico in un modo pressoché unico.
Il film usa i paperdollari per esporre una posizione panteista ma che allo stesso tempo richiama le religioni e le filosofie orientali, in un racconto dove i protagonisti si "reincarnano" in altri esseri viventi all'interno di un universo visivamente del tutto nuovo.
Quanti altri film ci hanno presentato un pianeta così accurato, così vivo e così tanto basato su una propria logica che sopravvive all'inquadratura, che resta vivo quindi anche quando non lo vediamo direttamente ma lo percepiamo al di là della parete di una stanza dove si trovano i personaggi?
Un mondo nuovo perfettamente plausibile nonostante sia totalmente impossibile secondo le nostre leggi della fisica?
Su Pandora ci si connette materialmente a Madre Natura e ad ogni altro essere vivente a livello neurale: Avatar sposta il concetto di "Gaia" e lo porta, in maniera anche fin troppo didascalica, su un discorso contemporaneo in merito al rapporto tra Umanità e Pianeta Terra, mescolando e contrapponendo una tecnologia avanzatissima (gli avatar) con una filosofia antichissima (Pandora).
In Avatar esiste una lingua inventata per il film, con un proprio alfabeto e oltre mille vocaboli.
Il Na'vi magari non avrà la stessa dignità o fama del Klingon o dell'Elfico o del Dothraki, ma a suo modo esiste ed è stato creato per un film, per renderlo più credibile, più curato.
In tutto ciò la tecnica del 3D non viene utilizzata per rompere la quarta parete e far volare detriti ed esplosioni in faccia al pubblico cinematografico, bensì per estendere la profondità dell'immagine oltre lo schermo, dando una sensazione nuova allo spettatore che si sente completamente immerso nel mondo della storia che gli viene raccontata: se prima di Avatar il 3D era usato nei film principalmente come attrazione da luna park, da lì in poi chiunque ha dovuto fare i conti con quell'inversione di tendenza che spingeva meno sullo spavento e più sull'emozione.
La storia, come abbiamo visto prima, assomiglia a tante altre.
C'è un personaggio che non fa parte del nuovo mondo di cui viene a conoscenza, poi ne comprende la filosofia e infine preferisce quello al proprio che decide addirittura di combattere.
Sicuri che vi venga in mente solo Pocahontas e non altre decine di storie simili?
Ma, ancora una volta, in Avatar non importa cosa, ma come.
[In Sala Energia all'Arcadia di Melzo il cambio di fuoco iniziale in 3D tra Sam Worthington e la goccia fu da vertigini]
Avatar intrattiene, presenta un eroe semplice e un cattivo tagliato col coltello del cliché, ci sono i comprimari che coprono - di nuovo - i tòpoi del trickster, quello del comic relief, quello del professore e c'è anche il Mr Exposition, quel personaggio che a un certo punto parte con lo spiegone che non serve assolutamente agli altri personaggi quanto invece agli spettatori.
Un personaggio molto caro ai fratelli Jonathan e Christopher Nolan, per nominare una coppia di sceneggiatori contemporanea nota a tutti che ne fa largo uso.
C'è tutto questo in Avatar, come c'è esattamente in tantissimi altri film.
Sto forse dicendo che è un "capolavoro"?
No: Avatar ha secondo me dei difetti piuttosto evidenti, su tutti forse proprio quello di non avere personaggi così empatici da reggere la visione in 2D, quando viene meno la meraviglia tecnica e fotografica che lo accompagna.
Sto forse sostenendo che è un film che assomiglia ad altri, ma che nonostante ciò conserva una forte componente originale?
Certo.
Il discorso è però rivolto a chi, tra coloro che stanno leggendo queste righe, ha davvero voglia di parlare di Cinema e non si limita soltanto a parlare di film.
La differenza è sottile, ma enorme.
Ma sono quasi sicuro che molti tra coloro che fanno parte della seconda categoria di persone, e che a queste righe non ci sono nemmeno arrivati, continueranno purtroppo a pensare che Avatar non meriti nessuna attenzione e nessun riguardo, perché "tanto è uguale a Pocahontas".
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1 commento
Teo Youssoufian
4 anni fa
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