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37 Seconds - Recensione: il neorealismo mangaka - TIFF 2019

Al Toronto International Film Festival viene presentato 37 Seconds, già vincitore del premio del pubblico alla Berlinale, debutto alla regia di Hikari

Yuma è una giovane e brillante mangaka affetta da una disabilità che la costringe sulla sedia a rotelle e il cui genio per il disegno e la scrittura viene sfruttato da Sayaka, giovane e avvenente idol/influencer che si attesta la potente immaginazione della ragazza per accrescere la propria popolarità senza riconoscerle alcun merito, nascondendo al mondo la penna e il talento di chi crea a nome suo quei manga di ampio successo. 

 

Yuma, cercando la propria strada e ossessionata dalla figura del padre perduto, inizierà un viaggio di scoperta personale grazie a un gruppo di reietti della società giapponese che la porteranno a scoprire la sua vera forza e una parte della famiglia perduta. 

 

37 Seconds è quello che si potrebbe definire un film neorealista mangaka, grazie al lavoro svolto in sceneggiatura e poi nel corso della produzione del film, da parte della regista e sceneggiatrice Hikari

 

 

 

37 Seconds, nel raccontare la realtà di una giovane ragazza disabile, sceglie di non costruirsi sulla solidarietà e il risveglio di coscienze che tale argomento potrebbe sollevare, ma di fondarsi su un discorso che vada oltre, cercando di mostrare al pubblico una storia di empowerment e scoperta di una sfera della società solitamente ignorata. 

 

La protagonista, Yuma, non è solo attrice bensì vera fonte d'ispirazione per l'intera stesura della sceneggiatura che, a produzione in corso e dopo le sessioni di casting, è stata riscritta e riadattata sulle esperienze della stessa e grazie al risultato delle molte interviste condotte con altre persone affette da disabilità. 

 

 

 



Quello che vedete sullo schermo è reale: l'attrice protagonista non interpreta solo una disabile ma lo è davvero e fa parte di quella società giapponese composta da invisibili, spinti dalla loro condizione e dalla sudditanza psicologica della collettività a rimanere reclusi e limitati.

 

La storia raccontata da Hikari in 37 Seconds diventa quindi incredibilmente densa e intima grazie al coraggio e alla purezza di Mei Kayama, interprete di Yuma, e al modo in cui l'intera vicenda viene modellata dai suoi tratti, dal tono della voce delicato, dalle movenze e dalla dolcezza di un personaggio che, in questo mondo, cerca semplicemente una propria identità, più che l'accettazione, chiedendo alla madre iperprotettiva (Misuzu Kanno), di lasciarla libera di affrontare le proprie sfide. 

 

37 Seconds trova il suo grande pregio nell'essere un film figlio di due mondi e di due modi di raccontare. 

 

 



Hikari, cresciuta tra America e Giappone, infonde nel film la sua complessità dicotomica, la dolcezza drammatica e l'irriverenza senza vergogna del racconto giapponese, amalgamandola alla visione occidentale di un racconto neorealista e fiabesco nel mettere in scena un Forrest Gump per mangaka. 

 

La regista in 37 Seconds ci mostra le difficoltà della vita di Yuma, non ne nasconde i limiti, ma al tempo stesso ne mostra le nudità e gli imbarazzi, trovando come sblocco di tutta la vicenda la scoperta della sessualità, una delle esperienze universali e rito di passaggio da un'età all'altra, che per chi è affetto da disabilità può rappresentare un gradino molto importante. 

 

Yuma intraprende la sua via di fuga dall'oppressione egoistica dell'idol egocentrica Sayaka, provando ad applicare la sua fervida immaginazione e il suo enorme talento artistico da disegnatrice all'hentai, scontrandosi contro l'ostacolo del sesso, delle esperienze non fatte e sbloccando incontri e prime volte che nessuno all'interno della società giapponese le avrebbe mai fatto provare. 

 

 

 

 

Sembrerà forse retorico ma la salvezza, in questo universo, sembra passare sempre per i freaks, i reietti, i personaggi ai margini della socetà, i personaggi caricati di un estro e di una voglia di vita che li porta a scardinare le quadrature del contesto sociale per viverne al di fuori. 

 

37 Seconds mette Yuma in una serie di situazioni inconsuete, a volte fatte di sorrisi amari come di risate divertite, istanti di commozione, assurde situazioni apparentemente fiabesche nel loro surrealismo, e fa di Yuma la chiave per raccontare una scoperta umana che riguarda la protagonista tanto quanti tutti noi che viviamo attorno a lei.

 

E forse dovremmo, come quei freaks, prendere in considerazione l'idea che nel mondo esistono persone che, per un giro di dadi sfortunati, sono nate affette da disabilità e che non hanno colpe e non devono subire il compatimento come unica forma d'interazione umana ma che hanno bisogno di vivere, di provare e di sentirsi altrettanto libere e benvenute a questo mondo. 

 

 

 

 

Hikari, nel suo debutto cinematografico, confeziona con 37 Seconds un film importante, prodotto, scritto e realizzato con molto cuore e con il mestiere di una narratrice che sa di non dover essere posticcia o falsa nel suo racconto e che comprende l'importanza e la forza del Cinema quando diventa neorealista e che forse, opinione bipolare, doveva rivedere la fluidità del minutaggio del suo film che ad un certo punto sembra stagnare troppo in uno dei tre atti. 

 

Un film dotato della forza necessaria per portare il pubblico attraverso uno spettro di emozioni importanti e variegate, parlando della vita e di come sia importante viverla per tutti noi e a qualsiasi costo. 

 

37 Seconds di Hikari, con Mei KayamaMisuzu Kanno, Shunsuke DaitoMakiko WatanabeYoshihiko Kumashino e Yuka Itaya, è un grandissimo film e presto lo potremo vedere su Netflix, che lo ha acquisito e ne curerà la distribuzione dopo il premio del pubblico conferitogli alla Berlinale.

 

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