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The Bikeriders - Recensione: regole per cowboy selvaggi

Hollywood ci porta nuovamente on the road sulle selle di chopper e Harley Davidson con The Bikeriders, il nuovo film di Jeff Nichols ispirato all’omonimo libro del fotografo Danny Lyon

Con The Bikeriders Hollywood torna a vestire il pubblico di giacche di pelle e denim per affidarlo alle vibranti selle di chopper e Harley Davidson spinte da roboanti motori V-twin. 

 

L’ultima volta che qualcuno ci ha provato è stato sul piccolo schermo con Sons of Anarchy, la serie cult di Kurt Sutter: se non l’avete mai vista vi scongiuro di recuperarla, perché ci ha regalato il carisma di interpreti straordinari quali Charlie Hunnam, Katey Sagal, Tommy Flanagan, Ron Perlman e il brutale racconto di un mondo criminale tra I Soprano e l'Amleto di William Shakespeare. 

 

The Bikeriders si basa invece sull’omonimo libro del fotografo Danny Lyon che tra gli anni '60 e i primi '70 fotografò e intervistò un gruppo di motociclisti del Midwest. 

La sceneggiatura, scritta dal regista Jeff Nichols, si prende molte libertà raccontando una storia crime di fantasia, mantenendo comunque il cuore delle testimonianze raccolte da Danny Lyon. 

 

The Bikeriders è una storia dedicata agli outsiders. Il contesto sociale è un tessuto cucito seguendo la trama delle regole del Sogno Americano, dal quale in molti si sentono però lasciati ai margini:  

Jeff Nichols, in un certo senso, crea un arco narrativo che va da Il selvaggio (iconico film con Marlon Brando) e Easy Rider (altra opera immortale di Dennis Hopper).

 

[Il trailer di The Bikeriders]

 

 

Johnny (Tom Hardy) fonda i Vandals, il club motociclistico raccontato nel film, per creare un luogo di ritrovo e aggregazione con regole e strutture alternative.

 

Danny (Mike Faist) segue i Vandals lungo la loro evoluzione da moderni cowboy a banditi violenti e quasi anarchici mossi dai traumi della guerra del Vietnam, dalle influenze delle droghe lisergiche e spinti da una società sempre più alla deriva a diventare efferati criminali. 

In The Bikeriders i Vandals guidati da Tom Hardy hanno quasi un che di romantico, innamorati di un profondo ideale che per certi versi si ribella al capitalistico American Dream per ricercare il concetto di libertà sul quale si fonda un paese di immigrati: uomini e donne senza terra e in fuga, degli outsider del mondo. 

 

Benny (Austin Butler) è l’ideale che il personaggio di Tom Hardy rincorre disperatamente, un ribelle senza causa (dell’iconico James Dean), ma interpretato come fosse Steve McQueen: dominano i silenzi, gli sguardi, le poche battute recitate a mezza bocca, il fascino di un selvaggio il cui solo dio è la libertà.

 

 

[Butler e Comer in The Bikeriders sono stupendi]

 

Benny è quello che i Vandals vorrebbero essere davvero, ma il ragazzo non è un leader, non vuole responsabilità, non vuole diventare un simbolo e rimanendo fedele a se stesso cerca solamente di essere una sorta di pistolero solitario in sella al suo destriero.

 

Non conosce padrone, non risponde al Sogno Americano e alle regole del suo contesto: Benny è libero, perché quella è la sua risposta a una società che non gli parla.

 

The Bikeriders non è quindi un crime thriller nel quale preoccuparsi di doppi giochi, intrighi o reti criminali, è un film che per certi versi ricorda le pagine del diario del padre di Jax Teller (Charlie Hunnam) di Sons of Anarchy, un’opera sulla libertà e sulla possibilità di fuggire dalle regole non scritte del tessuto sociale.

Il film racconta anche di come quel sogno utopistico viene deformato e distrutto quando negli anni '70 le conseguenze del Vietnam e di un paese allo sbando trasformano i Vandals in qualcosa di estremamente violento e criminale, simbolo dell’anti-socialità e non più un ritrovo per outsiders.

Forse sarebbe più giusto dire che i nuovi outsider creati dallo status quo degli Stati Uniti sono ragazzi perduti a cui è stata data come unica risorsa la grammatica della violenza estrema.

 

Decadono le regole e l’onore, non esiste l’amicizia. Non c’è spazio per i simboli, gli ideali e la ricerca di libertà.

 

 

[Tom Hardy in The Bikeriders]

 

The Bikeriders viene portato avanti dai racconti del personaggio di Jodie Comer (a mio avviso in una grandissima interpretazione), tanto quanto dal claudicante e fragile Tom Hardy: un personaggio che sa di non avere i mezzi e il cuore per gestire quello che ha creato.

 

Austin Butler diventa quindi l'eroe silenzioso e affascinante di un film che vive del suo magnetismo, della forza del suo più grande ideale e della malinconia di un ragazzo lasciato a se stesso dal proprio paese. 

The Bikeriders è un film ammaliante che Jeff Nichols dirige secondo me splendidamente, sporcandolo con la realtà di quel periodo storico, allontanando gli Happy Days e cercando la tensione nei conflitti morali tra i protagonisti: è il racconto sempre più decadente di un momento che vede gli Stati Uniti passare dalle staccionate bianche, il rock and roll e i prati verdi perfetti a una nazione di crisi sociali profonde, di serial killer e rappresentata nella famigerata Fear City a.k.a. New York. 

 

Andate a vedere The Bikeriders, salite in sella e gustatevi anche il ricco cast di interpreti che prestano il proprio volto a comprimari eccentrici e meravigliosi; rimanete per i titoli di coda per conoscere i veri protagonisti del libro di Danny Lyon. 

 

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