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The Electric State - Recensione: ribellatevi a questo film!

The Electric State dei fratelli Russo è un costoso monumento dedicato a tutto ciò che non funziona a Hollywood 

Su Netflix è finalmente arrivato The Electric State, il nuovo film di Joe e Anthony Russo che riesce in un colpo solo a diventare il film più costoso della Storia della piattaforma (320 milioni di dollari di budget) e uno dei più dispendiosi della Storia del Cinema. 

 

Per dare dimensione dell’onere economico si potrebbe guardare all’Olimpo degli spendaccioni degli ultimi anni - con il calcolo dell'inflazione - che include Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame, entrambi dei fratelli Russo e costati circa 407 e 438 milioni di dollari, Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo, realizzato nel 2007 con quelli che oggi sarebbero 455 milioni di dollari, Avengers: Age of Ultron con 484 milioni, Star Wars - L'ascesa di Skywalker costato l'equivalente di 512 milioni, ancora Jack Sparrow con Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare che richiese l'esborso di 529 milioni, Jurassic World - Il regno distrutto e i suoi dinosauri da 541 milioni e infine Star Wars: Il risveglio della Forza che pare abbia riconquistato la galassia con una spesa totale di ben 593 milioni di dollari. 

I fratelli Russo sono abituati a spendere molti soldi ma si trovano in ottima compagnia, in un tripudio di operazioni più o meno lodevoli.

 

Contestualmente al cinema esistono film (e registi) che spendono meno raggiungendo traguardi interessanti per la critica e per il pubblico, come Dune e Dune - Parte due di Denis Villeneuve che insieme sono costati appena 20 milioni di dollari più di The Electric State, per fare un esempio. 

 

[Il trailer di The Electric State]

 

 

Quello che hanno in comune i film sopracitati rispetto a The Electric State è l’ambizione della sala cinematografica, ovvero l’idea di ammaliare le masse e cercare incassi vicini o ben oltre il miliardo di dollari - cifra ottimale se teniamo in considerazione i vari costi di marketing, gli incassi degli esercenti e tutto quel circo di oneri che vanno rispettati per parlare di un film che genera profitto.  

 

The Electric State arriva su Netflix e onestamente vorrei sapere quali speranze albergavano nel cuore di chi ha prodotto questo film quando ha guardato al budget. 

Come ha detto Conan O'Brien durante la Notte degli Oscar 2025 sfottendo il gigante di Los Gatos, forse l'obiettivo era la promessa di rompere il record annuale di aumenti del prezzo di iscrizione alla piattaforma.  

 

Tutte le opere sopracitate sono parte di proprietà intellettuali molto forti il cui investimento sulla carta ha un ritorno quasi assicurato (anche se non è così), mentre The Electric State è l’adattamento di un graphic novel amato dalla critica, ma su un piano di retaggio pop per nulla paragonabile per fama e mito a chi si sbilancia su certi investimenti da tentpole.  

 

Per quanto sia tentato di parlarvi di industria non è questa la sede per farlo, ma il discorso sul budget è utile a dare la percezione delle ambizioni del film, di ciò che sta facendo Hollywood con l’intrattenimento pop e di cosa si aspetta il pubblico, o l’appassionato di Cinema, quando vede la macchina dei sogni losangelina spostare montagne importanti.  

 

Da un film come The Electric State ci aspettiamo il fuoco!

La passione, il mito, immagini iconiche pronte a consegnarsi al retaggio degli spettatori per diventare culto.

 

È questo il caso? 

 

 

[Dal graphic novel di The Electric State]

 

The Electric State ha una premessa straordinaria.

 

Siamo in un racconto sci-fi ucronico ambientato in un 1990 alternativo nel quale i robot e gli umani sono entrati in guerra: Michelle è una ragazza rimasta orfana (Millie Bobby Brown) che va alla ricerca del fratello creduto morto e la cui personalità sembra nascosta dentro un robot che la accompagnerà lungo questa avventura alla scoperta di un mondo assurdo.

Al suo fianco un contrabbandiere (Chris Pratt) e il suo amico robot. 

 

The Electric State, non vi mentirò, è stracolmo di idee e suggestioni evocative.

L' autore dell'opera originale Simon Stålenhag ha un gusto straordinario nel dipingere questo universo e la sua fantasia ha generato gli umori del mondo rappresentato dalla serie TV Loop, le cui note creative riverberano anche in The Electric State.  

 

Parliamo di un mondo inedito rispetto ad altre opere in cui i robot sono parte di un futuro minaccioso, piovoso e a volte asettico e getta le basi per un universo ricco, vibrante e nel quale molti temi vengono messi subito sul piatto promettendo allo spettatore la possibilità di avventurarsi lungo sensazioni e domande affascinanti.  

 

The Electric State ci parla di robot che si ribellano alla schiavitù dell’uomo perché dotati di un’intelligenza così elevata da portarli all’infelicità e alla ricerca di un senso che non può essere relegato al solo servire l'essere umano.

Attraverso il personaggio del geniale fratello della protagonista ci mette anche una pulce nell’orecchio che potrebbe essere il cuore dell'opera: in quanto parte dell’universo siamo fatti di materia, qualcosa che non scompare ma semplicemente si trasforma e quindi, forse, la nostra ricerca dell’immortalità potrebbe passare per la speranza che noi possiamo continuare a vivere e mutare con l’universo e la sua matrice.  

 

In maniera molto semplice e grazie a un mondo affascinante l'opera di Stålenhag ci mette su un cammino potenzialmente straordinario: per quanto lineare possa sembrare la trama e il viaggio che comporta, abbiamo la possibilità di avventurarci lungo significati ancestrali, esplorando grazie a idee travolgenti di regia e messa in scena la poetica di questi anni ‘90 robotici decadenti, storti e un po’ melanconici.  

 

Il film The Electric State a mio avviso tradisce però ognuna di queste aspettative, cestinando ogni possibile sbocco per dare allo spettatore una storia piatta, un contenuto vuoto consumabile con un pasto TV da riscaldare al microonde per poi addormentarsi, cullato dalla banalità di un plot ispirato dal nulla mischiato col niente. 

 

 

[Una scena di The Electric State]

 

 

Il colossale budget di 320 milioni di dollari è sfruttato per dare una credibilità visiva ai robot portati in vita dalla produzione e per affiancare a Millie Bobby Brown una serie di star che in questo film sono gli autentici robot di tutta l'operazione.

 

Chris Pratt è inesistente e il suo carisma viene mandato in lavanderia per esibirsi nel prossimo progetto; Giancarlo Esposito è un template svogliato del typecasting dal quale il film cerca di farlo evadere senza alcun successo; Stanley Tucci sembra desiderare ardentemente il cachet che gli consentirà di prendersi l’ennesima meritata vacanza tra i sapori della cucina italiana; Brian Cox, Woody Harrelson e il resto del cast di voci che doppiano i robot sono pezzi di pregio, parte di una sceneggiatura che incredibilmente non ha nulla da dire se non rispettare il compitino di questo viaggio senza sorprese e senza temi.

 

Personalmente non ho trovato nulla in The Electric State in grado di scomodare alcuna risposta emotiva, un senso di meraviglia o anche solo uno stimolo cerebrale nello spettatore. 

 

Ancora una volta Netflix cerca disperatamente di dare a Millie Bobby Brown un ruolo nell’immaginario collettivo che non sia quello di Eleven di Stranger Things

Sfortunatamente ci prova commettendo lo stesso peccato capitale di altre operazioni: Brown nel film è ingombrante e sembra voler interpretare personaggi senza veri difetti o conflitti.

Hollywood ha il suo Adriano Celentano, il suo Joan Lui (dovrei usare il termine "tecnico" Mary Sue, ma preferisco portare un po’ di magia nel vostro immaginario). 

 

The Electric State ha una protagonista che riesce un po’ in tutto e che sa sempre cosa fare senza troppo dibattimento interiore.

Verso l’ultimo atto il personaggio di Michelle diventa una sorta di Sarah Connor così buona che potrebbe condurre La Prova del Cuoco: un personaggio moralmente alle soglie della trinità divina, che odia la tecnologia giusta usata dagli umani zombificati che non sanno nulla della vita.

 

Quella che avrebbe potuto essere una sorta di eroina grunge dal capello biondo e con la camicia di flanella è invece la svogliata rappresentazione di un personaggio che poteva essere punk secondo un 1990 alternativo, elettrico e di robot che non sognano pecore elettriche ma la libertà che poi, alla fine, è partecipazione. 

 

 

[Millie Bobby Brown in The Electric State]

 

 

Una delle dissonanze di The Electric State è che nella sua interezza non può identificarsi tra le brutture del Cinema peggiore che diventa meme - quello che Sony sembra avere imparato a riprodurre senza soluzione di continuità.

 

Il film è secondo me semplicemente insignificante e i Russo in regia sembrano lo specchio di tutto quel Cinema che non ha nulla da dire nella costruzione del quadro, nelle idee di messa in scena o in una qualsivoglia ricerca visiva che possa richiamare non tanto una firma autoriale, quanto anche solo l’idea di esercitare un’abile capacità o gusto nel raccontare le storie per immagini. 

Sfortunatamente questo tratto di The Electric State è diventato abitudine nel Cinema hollywoodiano e per la prima volta nella storia del mezzo si rende necessario guardare alla televisione - prendiamo ad esempio una serie come Scissione - per riconoscere estro, creatività, amore, studio e passione per il linguaggio per immagini.  

 

The Electric State è un film sciapo perché riesce a non fare avventura, intrattenimento, fantascienza, filosofia né ucronia; non riesce a dare un senso a quel budget ipertrofico che dovrebbe essere il segno di una Hollywood che fa sognare e che invece è la testimonianza tangibile di un’industria che usa i dollari come esercizio pubblicitario per fare rumore, come una bacchetta magica che, indipendentemente dai creativi chiamati in gioco, dovrebbe promettere un risultato.  

 

Il Cinema però non funziona così e Hollywood sembra diventato un circo gestito dai cafoni della Silicon Valley, il cui superpotere è quello di gettare soldi ai loro clown.

Perché il budget può essere anche infinito ma se non esiste il gene della creatività, se non c’è estro, se non vi è esercizio immaginifico alla base non c’è possibilità alcuna che un concept, anche il migliore del mondo, possa diventare quello che nel Cinema abbiamo sempre amato: memoria, mito, icona, immagine eterna, suggestione, amore, paura o avventura.  

 

The Electric State è l’ennesimo monumento barocco e chiassoso dedicato al nulla.

Non riesco a trovare un senso al suo troneggiare sul Cinema, se non quello di promettere un impero malvagio votato al niente: se non riusciamo più a raccontare storie pop cosa ci resta? 

 

Il nuovo film dei fratelli Russo è riuscito a suscitare in me solo l'emozione di una grande tristezza: un Maestro come Steven Spielberg, che probabilmente avrebbe fatto di questo concept un capolavoro, ha oggi 78 anni e può essere identificato come uno degli ultimi grandi cineasti viventi capace di creare, esaltare e raccontare il Cinema pop (e la Settima Arte tutta) con una grazia e una forza irriproducibili.

 

Dopo di lui rimarrà un grande vuoto fatto di tanti altri The Electric State e perdonatemi ma io, quel Cinema, mi rifiuto di concepirlo. 

___

 

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