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Role Model è il nuovo film del regista sloveno Nejc Gazvoda, con Mojca Funkl, France Mandić e Jure Henigman.
L’adolescenza non è mai stata un periodo facile per nessuno, ma qualcosa sembra essere cambiato in peggio, soprattutto dall’arrivo della pandemia nelle nostre vite.
Questo non è sfuggito allo sguardo attento del regista e il risultato è un film che andrebbe proiettato nelle scuole, consigliandone la visione non solo agli studenti, ma anche a tutto il personale scolastico e ai genitori.
[Il trailer di Role Model]
Jan è un quindicenne gentile, appassionato di musica e arte.
Per i suoi compagni è però semplicemente “quello nuovo”, il ragazzo con gli occhiali conosciuto su Zoom qualche mese prima.
Jan, allora, si toglie gli occhiali e suona il suo violino solamente in mezzo alla foresta, dove nessuno può sentirlo. La sua unica amica-nemica è Maja, la madre: i due si sono trasferiti da Lubiana alla periferia, causa il divorzio di Maja dal padre di Jan e il crescente problema di alcolismo della donna.
Ma i nodi che si portavano appresso dalla loro vita precedente non sembrano sciogliersi.
[Yure Henigman (lo strano vicino di casa di Jan) e France Mandic (Jan) in una scena di Role Model]
Jan viene bullizzato dalla classe che avrebbe dovuto accoglierlo, persino da Jakob, un suo coetaneo che pochi mesi prima aveva tentato il suicidio.
Jakob è un ragazzo altrettanto fragile, ma sceglie di aggregarsi ai bulli per sopravvivere all’interno dell’ambiente scolastico. Maja, invece, risulta invisibile agli occhi dei nuovi colleghi e ben presto lo spettro dell’alcol bussa nuovamente alla sua porta per consolarla.
Questo ovviamente si riflette sul suo lavoro di psicologa e il suo ruolo di madre: chi penserà a suo figlio mentre lei ha ancora i postumi della sera precedente? Quale effetto avranno su di lui le violenze perpetrate dai compagni?
Quando arriverà al punto di rottura?
Il film si intitola Role Model e la scelta non è ovviamente casuale.
Costretto alla solitudine, Jan trova presto conforto nella compagnia di un adulto che abita nel palazzo accanto, con il quale crede di condividere il nome e la passione per la musica.
In seguito scopriremo che l’uomo era un fuggitivo ricercato dalla polizia, perciò è altamente improbabile che il suo nome fosse davvero Jan. Prima di andarsene però, il mentore disfunzionale di questo ragazzo in difficoltà decide di lasciare al giovane un regalo in grado di svoltarne completamente le sorti.
La riflessione è evidente: i ragazzi seguono i modelli che trovano.
Se un ragazzino si ritrova ad avere dei genitori assenti o un ambiente scolastico ostile, cercherà se stesso da un'altra parte e non è detto che faccia la scelta giusta.
[Role Model: Mojca Funkl (Maja) discute con la madre di Jacob e alcuni docenti dopo il tentato suicidio del ragazzo]
Nejc Gazvoda ambienta il suo dramma nella periferia di un territorio spesso dimenticato dal mondo - del Cinema e non - per parlare di problemi universali.
La pandemia da COVID-19 ha cambiato le nostre vite e il nostro modo di interagire con l’altro, segnando soprattutto la generazione delle mascherine in aula e del distanziamento sociale.
Quando un ragazzo si trova davanti a un atto di bullismo la prima reazione non è più quella di intervenire, ma di riprendere tutta la scena con il cellulare.
La scuola e il nucleo familiare si dimostrano inadatti a sedare i conflitti interiori delle nuove generazioni, limitandosi a impartire ordini e soluzioni volte a risolvere i problemi solo in superficie.
Dopo il secondo tentativo di suicidio di Jakob, sulle finestre delle aule vengono montate delle grate: alla direttrice non interessa che il ragazzo abbia provato a togliersi la vita, ma che ci abbia riprovato a scuola e che questo possa intaccare la reputazione dell'istituto.
Questo non ci stupisce, la visione di Role Model ci aveva già abituati a insegnanti che ridono dei problemi degli studenti o abituati a risolvere tutto inter nos per non coinvolgere le forze dell’ordine.
[Role Model: gli studenti cantano insieme per provare lo spettacolo di fine anno]
In questo incubo così apparentemente grigio, al pari dei cieli di Lubiana d’inverno, il regista sceglie di avere fiducia.
Questo perché fermamente convinto che, se ci fosse meno oppressione sociale o aspettative su come dovremmo essere, qualsiasi ragazzo sceglierebbe sempre un abbraccio al posto di una pistola.
Un finale che rischiava di ricordarci ...e ora parliamo di Kevin si tramuta in una visione piena di speranza per il futuro.
[articolo a cura di Alice Rosa]
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