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Quante volte ci è capitato di pensare o sentir dire da qualcuno "quell'opera d'arte potrei farla anche io" in merito all'arte contemporanea?
Sicuramente molte volte, ed è proprio su questo pensiero comune che poggia le basi la sceneggiatura de La stanza degli omicidi, film con la regia di Nicol Paone.
[Il trailer de La stanza degli omicidi]
La stanza degli omicidi racconta la storia della gallerista newyorkese Patrice (Uma Thurman) e della sua collaborazione con il sicario Reggie (Joe Manganiello) e il suo capo Gordon (Samuel l. Jackson) per un piano di riciclaggio di denaro che trasforma accidentalmente il sicario in un fenomeno dell'arte avanguardistica sotto lo pseudonimo "The Bagman", costringendolo dunque a una contrapposizione tra il mondo dell'arte e quello della malavita.
Naturalmente, come ci si aspetta dai film appartenenti al filone del comedy-thriller, le circostanze e le concatenazioni di eventi guideranno i tre protagonisti verso una serie di scelte sbagliate che li porterà a essere coinvolti in una tormentata lotta per la loro sopravvivenza.
[Uma Thurman e Samuel L. Jackson ne La stanza degli omicidi]
Non è difficile notare i continui occhiolini de La stanza degli omicidi diretti all'universo cinematografico targato Quentin Tarantino: tutto inizia dal ritorno sulla scena del duo iconico Thurman- Jackson, che non lavoravano insieme dai tempi di Pulp Fiction (o Kill Bill vol. 2, sebbene Samuel L. Jackson ricoprisse in quell'occasione un ruolo minore), e continua ricalcando stile, tono e impronte del filone tarantiniano.
Tuttavia le strizzate di occhio e il cast stellare non bastano e in un nanosecondo La stanza degli omicidi appare agli occhi dello spettatore come un film il cui obiettivo è satireggiare in maniera brillante sul mondo dell'arte contemporanea, ma che a mio avviso finisce per cadere in banali e superficiali cliché e si conclude in un finale insipido e fin troppo sterile.
L'incipit del film è chiaro: c'è dell'arte nel crimine, tanto quanto ci può essere crimine nell'arte.
Di per sé è un principio interessante da cui partire e su cui poggiare le basi di una storia ricca di imprevisti e colpi di scena; ciò che però è meno chiaro e, di conseguenza, lascia maggiormente a desiderare, è il modus operandi che accompagna l'intera narrazione.
Ne La stanza degli omicidi sembra che tutto debba correre il più velocemente possibile verso il finale e questa corsa sfrenata non dà modo alla storia, ai personaggi e alle dinamiche del film di essere sufficientemente approfondite.
Tutto sembra essere solamente accarezzato, assaporato per pochi secondi e poi lasciato andare, senza che ci sia un'effettiva scoperta e analisi del genere a cui questo film vuole appartenere.
La sensazione di fretta e abbozzamento complessivo della storia è particolarmente evidente nel momento in cui si scontra con i momenti, in minore quantità ma comunque presenti, in cui l'intera trama rallenta e lascia spazio ai dettagli, agli approfondimenti e alle analisi di azioni e rapporti tra personaggi: momenti realmente interessanti e capaci di dare al film maggiore rilievo, ma che in poco tempo vengono sostituiti da una frettolosa raccolta dei fili narrativi, pensata per poter arrivare al finale il prima possibile.
[Samuel L. Jackson ne La stanza degli omicidi]
La stanza degli omicidi è un film che tutto sommato si rivela essere piacevole, basato su un'idea satirica plausibile e che sa come incuriosire il suo spettatore.
Ciononostante è inevitabile notarne il disordine narrativo e la scarsità di approfondimento dello storytelling, che portano secondo me l'intera trama ad apparire poco approfondita e, di conseguenza, piatta.
Una vera e propria occasione sprecata per Uma Thurman, che forse sperava di dare una scossa alla sua carriera ormai stagnante da qualche anno a questa parte.
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