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Here, in italiano semplicemente "qui".
Per cominciare vi propongo di accompagnarmi in una riflessione volta a dimostrare il seguente assunto: la principale differenza fra il Cinema e il Teatro risiede nel punto di vista dello spettatore.
Su di un palco la vicenda inscenata si srotola in lungo e in largo, ma gli attori agitano gesti plateali attirando l’azione del pubblico su specifiche porzioni di spazio scenico, o su loro stessi.
A volte l’occhio di bue illumina con un preciso fascio di luce un unico essenziale elemento della scena; questo avviene perché durante una rappresentazione teatrale non esiste alcun modo per assicurarsi che tutti gli spettatori guardino costantemente nello stesso punto del palco, anzi: possiamo affermare che a teatro ciascuno osservi dettagli della scenografia o dei costumi in modo del tutto indipendente da ciò che nota il suo vicino di poltroncina.
O certamente non nello stesso ordine o nello stesso istante.
Il punto di vista dello spettatore al cinema è invece molto più indirizzato: uno stacco di montaggio su un dettaglio, un movimento di macchina, uno zoom sono tutti stratagemmi del linguaggio cinematografico con cui il regista dirige l’attenzione di tutti gli spettatori su uno specifico elemento.
Esistono campi lunghi in cui lo sguardo spazia liberamente, ma in linea di massima durante un film il punto di vista di tutti gli spettatori è il medesimo.
[Il trailer ufficiale di Here di Robert Zemeckis, in uscita nelle sale italiane a gennaio 2025]
Non va valutato soltanto il cosa si sta guardando, bensì anche il da che direzione e secondo quale inclinazione.
In una grande sala di teatro gli spettatori delle prime file avranno un’ottima visuale sui costumi di scena, ma sarà pessima sulla profondità del palco, l’opposto del punto di vista degli spettatori nella più alta delle balconate; la rappresentazione è uguale per tutti, ma il punto di vista di ciascuno diverge da tutti gli altri.
Sebbene al cinema ritrovarsi nelle poltroncine laterali della prima fila non sia come stare nel cuore della platea, l’inclinazione scelta dal regista per piazzare la macchina da presa e filmare il set è la stessa per tutti.
Here di Robert Zemeckis muove da questo assunto ed è in grado di mescolare Cinema e teatralità fino alle estreme conseguenze di un unico piano fisso, che inquadra lungo tutto il film l’alternarsi di entrate e uscite di scena.
Quello che fa Zemeckis in questo film è simulare il punto di vista di una telecamera di sorveglianza che non si sposta mai attraverso i millenni e mostrarci ciò che è avvenuto nel tempo davanti al suo statico occhio.
Una camera fissa su di un salotto di una casa in stile coloniale del New Jersey.
Risalendo nel tempo osserviamo il processo della sua costruzione all’inizio del secolo scorso sempre senza spostare di un millimetro il piano di visione, in modo che siano le fondamenta e i muri stessi della casa a costruirsi attorno di esso.
[Here: la costruzione di un salotto che accoglierà decine di vite differenti]
Andando ancora più indietro sarà protagonista la foresta che cresceva in quell’esatto punto e la coppia di amerindi che vi abitava e così via senza troppo svelare di questa meravigliosa trovata scenica.
Here è un susseguirsi non lineare che si concentra in particolare sul XX secolo e le ultime famiglie che hanno visitato, comprato, vissuto e abbandonato il salotto di quella casa.
In una storia il cui andamento coincide esattamente con quello dell'asse delle ascisse è tuttavia possibile incontrare dei problemi di spazio e, per così dire, di affollamento all'interno della inquadratura, la quale intrinsecamente occupa una superficie.
[Here: il fumetto omonimo di Richard McGuire che ha funto da base per le transizioni visive fra un'epoca e l'altra]
Il passaggio da una storia e da un'epoca all’altra dovrà perciò avvenire il meno bruscamente possibile attraverso delle transizioni.
Viene quindi utilizzato uno strategemma ricalcato direttamente dal fumetto di Richard McGuire da cui il film Here è tratto: una serie di riquadri sovrapposti permettono di fare scorrere due epoche della casa contemporaneamente davanti all’occhio dello spettatore fino a che un allargamento di campo di ciò che era contenuto nel riquadro più piccolo ci porta definitivamente nella sequenza successiva.
Esemplificando: durante un cenone di Natale nel 1971 osserviamo che la porzione dell’inquadratura in cui nel salotto è acceso un grosso televisore a tubo catodico viene gradualmente sostituita da un piccolo riquadro in cui uno schermo piatto di ultima generazione si sovrappone perfettamente alla scena di 50 anni prima.
L’allargamento di campo può dunque avvenire e la transizione alla sequenza ambientata nel 2021 può presentarsi davanti ai nostri occhi in tutta la sua interezza.
[La celebrazione di gioie e rimpianti in una scena di Here]
Questo e decine e decine di altri espedienti di montaggio compongono Here.
L’effetto è strabiliante e virtuosistico, a cui fanno da contraltare l’estrema semplicità degli avvenimenti che vengono narrati come l'amore, il lutto, il conflitto, la celebrazione: semplicemente la vita nei suoi passaggi archetipici.
Here è un viaggio nel tempo ancorato a un singolo punto fisso e ci ricorda l’epopea di quel Forrest Gump che esattamente 30 anni fa proprio Robert Zemeckis ed Erich Roth avevano scritto a quattro mani.
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