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Il raggio verde - Recensione: Rohmer e il Cinema di parola

Éric Rohmer e il suo Il raggio verde, il manifesto di un Cinema che trova il dramma e la bellezza nell'attesa e nella quotidianità

In occasione del ritorno in sala, grazie ad Academy Two, del ciclo Commedie e proverbi di Éric Rohmer, uno dei tre cicli narrativi che il regista francese ha realizzato tra il 1981 e il 1987, è inevitabile riflettere sull’impatto duraturo del suo approccio unico al Cinema: un baluardo di quel Cinema di parola di cui è stato uno dei padri e di cui inevitabilmente Il raggio verde è uno dei manifesti.

 

Questo percorso cinematografico si compone di sei film che lo stesso regista francese decise di produrre con la neonata Compagnie Éric Rohmer, casa di produzione da lui fondata: ogni opera è dedicata a un proverbio, una massima popolare o una citazione letteraria che, come ci ricorda Olivier Séguret, rappresentano perfettamente la traccia che più di tutte l'autore francese ha lasciato nel Cinema contemporaneo.

 

"Dagli inizi degli anni '80, un'intelligenza superiore gli fa prendere anzitutto coscienza di un'urgenza assoluta: la leggerezza.

Ciò significa budget modesti, riprese in esterni, ridotto numero di collaboratori e autonomia nella produzione." Olivier Séguret 

 

Se tutto quel periodo di rivoluzione e di rottura rispetto al Cinema dei papà è stato senza dubbio un momento di cambiamento totale nel modo e nell'approccio alla Settima Arte, oggi, pur ritrovando ancora segni di tutta quella stagione risulta interessante capire quale di quella classe di critici-autori abbia più segnato il Cinema contemporaneo.

 

Ponendo il dialogo e la semplicità al centro dell’esperienza narrativa - e di conseguenza spostando l’attenzione sulla naturalezza e sulla quotidianità - Éric Rohmer ha anticipato e influenzato più di tutti quello che successivamente è diventato il Cinema drammatico dei giorni nostri. 

 

 

[Il trailer del ciclo Commedie e proverbi: La moglie dell'aviatore, Il bel matrimonio, Pauline alla spiaggia, Le notti della luna piena, Il raggio verde e L'amico della mia amica]

 

 

In questo Cinema l’ordinario diventa straordinario e il dramma si costruisce proprio attraverso la quotidianità, la naturalezza e la semplicità anziché su grandi eventi o svolte narrative.

 

Apparentemente in contrasto con la famosa affermazione di Alfred Hitchcock secondo cui il Cinema sarebbe "La vita senza le parti noiose" - dichiarazione, guardacaso, rilasciata a François Truffaut - Rohmer prova a guidarci nella spontaneità delle attese, del tempo perso e delle parole che riempiono quelle che l'autore britannico avrebbe definito parti noiose, restituendo loro valore e significato. 

Questo focus sulla vita reale e sulle sue sfumature rappresenta una scelta stilistica ben precisa, un rifiuto della spettacolarità che si può rintracciare in moltissime delle scelte nelle sue opere e che segna tutta la sua poetica gli valse nella metà degli anni '90 la definizione che Frédéric Bonnaud dette ai suoi film, ovvero "films bavards", film chiacchieroni: un ironico pilastro per tutti i cineasti che cercano un realismo dialogico, infatti da John Cassavetes a Richard Linklater, da Woody Allen a Jim Jarmusch, dal mumblecore fino a Noah Baumbach è impossibile non rintracciare gli effetti e gli omaggi al suo ritratto intimo delle relazioni.

 

Questi autori, come Rohmer, preferiscono soffermarsi sui piccoli dettagli, sugli scambi apparentemente banali, trovando proprio lì la profondità del racconto. 

 

[Il trailer de Il raggio verde, manifesto del Cinema rohmeriano]

 

 

Il raggio verde rappresenta forse la massima espressione di questa filosofia, portando all’estremo il concetto di attesa e costruendo il racconto su di essa.

 

La protagonista Delphine è una giovane donna che attraversa un’estate di incertezze, cercando di dare un senso alle proprie emozioni e alla propria solitudine.

La donna è interpretata da Marie Rivière, uno dei volti del Cinema rohmeriano e che qui, come accadrà poi nella trilogia linklateriana e in moltissime delle opere degli autori citati poco sopra, è co-sceneggiatrice del film.  

La ricerca de “il raggio verde”, il fenomeno ottico visibile solo in rare condizioni atmosferiche alla fine tramonto, diventa una potente metafora di questo stato di sospensione e di attesa: Delphine insegue qualcosa che è allo stesso tempo concreto e irraggiungibile, proprio come il desiderio di cambiamento che avverte dentro di sé ma che fatica a realizzare.

 

Il film, quindi, non si concentra sul raggiungimento dell’obiettivo come la luce alla fine del tramonto, ma sull’esperienza dell’attesa, su quel percorso che Delphine vive tra speranze e delusioni, in un crescendo emotivo che si alimenta proprio del non detto e del non fatto.

 

[Delphine, interpretata da Marie Rivière, ne Il raggio verde]


Ne Il raggio verde il tema dell’attesa si traduce in una struttura narrativa che sfugge alle convenzioni classiche, in cui il tempo si dilata e ogni momento viene esplorato nella sua interezza.

 

Rohmer infatti ci accompagna nella vita di Delphine con una lentezza che diventa essenziale, poiché è proprio in questa dilatazione che emerge la complessità del suo stato d’animo e dello specifico momento che sta vivendo. La costruzione dell’attesa in quest'opera, così come in tutta la filmografia del regista francese, non ha quindi nulla a che vedere con il senso di suspense, ma assume una qualità contemplativa, un’attenzione ai dettagli che pochi registi sanno rendere così intensa.

 

Delphine passa da una situazione all’altra, da un incontro all’altro, senza mai trovare un punto di svolta definitivo, quasi a suggerire che il senso della vita non risieda nell’ottenere ciò che si desidera, ma nell’imparare a vivere con la propria incertezza.

 

 

[I luoghi giocano un ruolo tanto importante quanto quello di Delphine ne Il raggio verde]

 

In tutto questo, ovviamente, svolge un ruolo centrale il modo in cui viene riempita questa oziosa attesa, ovvero tramite la parola.

 

Il dialogo diventa la colonna sonora delle vicende, l'accompagnamento delle azioni e dei mutamenti che raramente palesa ciò che sta accadendo, ma che piuttosto gli fa da sottofondo.

Un parlare reale, spezzato, incerto, che ci riporta al modo in cui flaubertianamente in nessun modo il linguaggio è in grado di riprodurre fedelmente concetti, e in questo caso emozioni.


Ne Il raggio verde dialogo e paesaggio funzionano come due voci parallele che contribuiscono alla narrazione; mentre i dialoghi frammentati e incerti di Delphine esprimono il suo bisogno di comprensione e connessione, il paesaggio vasto e sconfinato che la circonda rappresenta un silenzio immenso e inesorabile.

Questo contrasto sottolinea la sua difficoltà a trovare stabilità e significato, creando un dialogo tra la parola e la natura che arricchisce la profondità emotiva del film.

 

Rohmer ci invita così a percepire il non detto come parte integrante della storia, dove i silenzi del paesaggio risuonano come eco dei pensieri inespressi della protagonista.

 

 

[Il raggio verde, simbolo del film omonimo di Rohmer]

 

Un altro elemento chiave de Il raggio verde è l'approccio alla solitudine.

 

Delphine infatti è ritratta come un personaggio complesso, che vive il disagio dell’isolamento, ma allo stesso tempo ne abbraccia il significato, rendendo il film una riflessione profonda su questa condizione umana che spesso permea le attese e le acuisce.

La sua solitudine viene rappresentata non solo come un vuoto da colmare, ma come un’esperienza da vivere fino in fondo, un’opportunità per mettersi in discussione.

Il regista sceglie di mostrarci la bellezza e la difficoltà del restare soli con sé stessi, dell’ascoltare il proprio silenzio, facendo emergere una tensione che non è frutto di conflitti esterni, ma di una lotta interiore che ognuno, in un modo o nell’altro, conosce.

 

La scelta de "il raggio verde" come simbolo del film culmina questa poetica dell’attesa, diventando un emblema della ricerca di un momento perfetto, di una rivelazione che non arriva mai nel modo in cui la si desidera e che, se e quando arriva, dura un istante e poi scompare rimanendo solo ricordo e sensazione.

Quando finalmente Delphine vede il raggio verde Rohmer non ci regala un lieto fine, ma una scena che sottolinea la fragilità e la fugacità dell’esperienza umana.

 

È come se il film, dopo una lunga sospensione dell'attimo e della situazione, ci ricordasse quanto la ricerca, la tensione del desiderio, il tempo trascorso nell'attesa e i discorsi in quei momenti fossero il vero nodo attorno a cui girare, molto più del punto di arrivo.

 

[Delphine e Françoise (Carita) ne Il raggio verde]

 

In linea con la sua poetica ne Il raggio verde Rohmer rifiuta una risoluzione definitiva, scegliendo invece di lasciare spazio all’ambiguità e alla complessità dell’esperienza umana.

 

Anche l’apparizione de "il raggio verde" non segna un vero cambiamento nella vita di Delphine, ma rappresenta un istante di bellezza e consapevolezza destinato a dissolversi subito dopo.

Questo approccio influenzerà molti autori successivi, che abbracceranno l’incertezza come parte integrante della narrazione, preferendo suggerire la non-importanza della risoluzione attraverso la sospensione finale, come per esempio accade in film come Paterson o Before Midnight.

Per Rohmer ciò che conta non è tanto la destinazione, ma il viaggio interiore che avviene durante l’attesa.

 

Un altro elemento distintivo nel Cinema di Rohmer è l’uso delle stagioni e del clima, come estensioni del tempo e del luogo, come specchio romantico del tempo e dello stato interiore dei personaggi - così come mostrato nel ciclo de I racconti delle quattro stagioni - e Il raggio verde ne è un esempio emblematico: l’estate, con i suoi ritmi dilatati e la sospensione dal quotidiano, diventa per Delphine un’occasione per confrontarsi con la propria solitudine e con i desideri irrisolti.

In linea con questa sensibilità profondamente romantica, ma che si priva degli eccessi che avevano caratterizzato quel mondo, Rohmer trasforma il paesaggio e il clima in un’estensione dei sentimenti della protagonista: Cherbourg e Biarritz non sono mai uno sfondo passivo, ma amplificano la sua malinconia e il suo senso di sospensione.

 

Così, il caldo estivo e i cieli vasti e immensi, che sembrano quasi senza confini, riflettono la sua incertezza e il desiderio di un cambiamento indefinito. 

 

 

[Uno dei simboli con cui ne Il raggio verde si cerca di riempire l'attesa e la ricerca]

 

 

Rohmer riprende la sensibilità romantica di autori come Jean-Jacques Rousseau e Johann Wolfgang von Goethe, che vedevano nella natura un riflesso delle emozioni più profonde, ma la reinterpreta in chiave moderna e minimalista. 

 

Mentre i romantici tradizionali enfatizzavano la natura come un luogo di conflitti drammatici, ne Il raggio verde sceglie un approccio più sommesso, dove il paesaggio amplifica sottilmente la malinconia e le incertezze dei protagonisti senza mai cadere negli estremi. In questo senso, il suo romanticismo è raffinato e trattenuto, quasi un sussurro che permea la quotidianità. 

Questa “malinconia del quotidiano" emerge nei vagabondaggi di Delphine, dove la natura partecipa alla sua attesa e sembra rispecchiarne l’instabilità interiore.

Rohmer suggerisce che l’attesa, il clima e le stagioni fanno parte del fluire inesorabile della vita e di questo struggimento tenue, di questa sofferenza nebbiosa, dove ogni momento è irripetibile e, proprio per questo, infinitamente prezioso.

 

 

Così come le stagioni passano e svaniscono, anche le emozioni di Delphine si rivelano fugaci, momenti di una delicatezza che resta, infine, solo un ricordo: il vero valore risiede, per Rohmer, in quel tempo sospeso, nella possibilità di trovare significato nella sua stessa transitorietà che sono il fulcro de Il raggio verde. 

 

 

[Delphine esplora le Alpi francesi in una delle sue tappe alla ricerca di un luogo che le dia pace: la montagna riflette così il suo bisogno di introspezione e distacco dalla frenesia estiva de Il raggio verde]

 

Ne Il raggio verde Éric Rohmer ci mostra ancora una volta la poeticità e l'importanza che la vita di tutti i giorni possono avere nella Settima Arte, se gestite con la delicatezza di uno dei più grandi registi che si sia approcciato a questo linguaggio per immagini.

 

Con Il raggio verde il regista nativo di Tulle costruisce l'impalcatura di quella che oggi è diventata la consuetudine del dramma cinematografico, ma che senza opere fondamentali come questa probabilmente ci racconterebbe ancora delle grandi vite e delle grandi tragedie.

 

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