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Divano di famiglia - Recensione: surrealista family drama

Opera prima dell’ex attore svedese Niclas Larsson, Divano di famiglia ha vinto il Dragon Award come Miglior Film Nordico al Göteborg Film Festival

Divano di famiglia è un film che non si preoccupa di offrire una transizione morbida tra premessa narrativa e centro della trama, facilitando così gli spettatori nel processo di accettazione dei suoi preamboli. 

 

È un'opera che al contrario catapulta senza preavviso chi la guarda in un mondo somigliante a quello reale solo apparentemente.

 

[Il trailer di Divano di famiglia]

 

 

Divano di famiglia narra infatti la storia di una madre che si rifiuta di alzarsi da un divano in un negozio di mobili.

 

I tre fratelli Linda (Lara Flynn Boyle), David (Ewan McGregor) e Gruffudd (Rhys Ifans) vengono convocati dalla madre (Ellen Burstyn) in un negozio di mobili per poter scegliere tutti insieme un nuovo divano.  Tra di loro spicca il personaggio di David, fratello più inquieto fra i tre dal momento che conosce bene sia il proprietario del negozio sia la figlia, di conseguenza si sente oppresso dall'indecisione della madre che ostacola i suoi numerosi impegni. 

Linda e Gruffudd, al contrario, sembrano distratti da questioni irrilevanti o da tutt’altro.

La tensione della situazione continua a crescere, fino al momento in cui la madre, all’improvviso, si lascia cadere su un divano verde e inizia a comportarsi in modo incomprensibile, rifiutandosi categoricamente di alzarsi.

 

Da quel momento l’obiettivo dei tre fratelli sarà quello di capire se la madre stia perdendo il senno o se invece ci sia qualcosa di più profondo alla base del suo strano comportamento.

 

 

[Ewan McGregor, Rhys Ifans e Lara Flynn Boyle in Divano di famiglia]

 

 

Con Divano di famiglia ci si trova di fronte a un’esperienza cinematografica completamente imprevedibile e a tratti anche avvincente e sconcertante, con una punta di provocazione e momenti di inquietudine che sapientemente mescolati sono in grado di rompere le convenzioni. 

 

È un film che tuttavia si propone come un’opera aperta e, in quanto tale, non è semplice cucirle addosso un’unica, oggettiva e veritiera interpretazione. 

 

Ciò che però è innegabile è la volontà della storia di farci capire, seppur in maniera indiretta e filtrando tale intenzione attraverso un sapiente uso dell’atmosfera e una continua discordanza nelle interazioni tra i personaggi, che dietro tutta questa assurda situazione della madre e del divano si celi qualcosa di ben più profondo. Proprio durante i continui conflitti tra fratelli, dialoghi a tratti estranianti ma non per questo sconclusionati e scenari al limite del surreale, Divano di famiglia accompagna lo spettatore nei meandri più profondi della sua narrazione, raccontando la storia di una madre egoista che per anni ha impedito ai propri figli di avere un rapporto profondo tra di loro, impedendo così che nascesse un legame familiare necessario per poter sempre sentire di poter contare l’uno sull’altro.

 

Divano di famiglia è quindi a tutti gli effetti portavoce di una scelta che ancora oggi la società contemporanea fa fatica a comprendere e a percepire come socialmente accettabile: il diritto di allontanarsi dai legami familiari tossici e malsani, qualora se ne avvertisse la necessità. 

In una società in cui ancora oggi si fa fatica a comprendere le scelte di un figlio che decide di uscire da un rapporto disfunzionale e malsano con la propria madre, ecco che il film racconta la storia di David, un figlio che per anni ha lottato per piacere alla madre e per starle accanto, nonostante l’evidente incapacità della donna di essere una buona madre, e che a un certo punto si arrende alla necessità di lasciare andare senza rimorsi o sensi di colpa quello che è a tutti gli effetti un genitore incapace di essere una guida per lui e i suoi fratelli. 

 

Divano di Famiglia è una commedia dell’assurdo originale e vivace, un film ricco di scene comiche costruite sapientemente e una trama che, seppure scarna a primo impatto, riesce a portare con sé un’infinita serie di livelli narrativi, comprensibili solo con la giusta dose di osservazione critica e di curiosità. 

Il regista Niclas Larsson ha dimostrato di avere grande audacia nel portare sullo schermo un'opera di debutto di questo tipo: un film che sin dal primo momento si immerge nell'assurdo, sfidando le tradizionali strutture narrative con un approccio completamente innovativo.

 

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