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April - Recensione: il corpo e il sublime - Venezia 2024

L'opera seconda di Dea Kulumbegashvili approda alla Mostra di Venezia sul finire del concorso: sarà il film della consacrazione per l'autrice georgiana?

April rappresenta per Dea Kulumbegashvili l'opera del definitivo approdo sulla grande platea di un festival internazionale di primissimo piano. 

 

La sua opera prima Beginning, formalmente selezionata per l'edizione 2020 del Festival di Cannes - mai effettivamente andato in scena - è a mio avviso uno degli esordi più folgoranti del XXI secolo.

 

 

[Dea Kumbegashvili è per la prima volta in concorso a Venezia]

 

 

Il debutto alla regia dell'autrice georgiana stregò persino un suo competitor in questa Mostra del Cinema 2024, Luca Guadagnino, che nelle vesti di presidente di giuria del Festival di San Sebastián conferì all'opera ben 4 premi, inclusa la prestigiosa Concha de Oro.

 

Dall'innamoramento artistico del regista di Queer per la collega georgiana è nata, dunque, la collaborazione tra i due: a co-produrre questo film, infatti, c'è anche la Frenesy di Guadagnino e Marco Morabito.

 

April, come Beginning, si sofferma sulla condizione della donna in un piccolo centro urbano e sulle scelte, forzate o sentite, che la sua protagonista si trova a prendere, raccontando una settimana - quella tra il 10 e il 17 aprile - della vita di Nina, unica ostetrica e ginecologa della sua cittadina della Georgia rurale. 

Sotto questa prospettiva va letto il titolo: aprile è, infatti, il mese dedicato alla fertilità e alla rinascita.

 

La donna, che fornisce anche assistenza alle donne della sua comunità che vogliono abortire in segreto, si ritrova indagata dopo la morte di un neonato immediatamente successiva al parto: un tema già proposto ne Il segreto di Vera Drake, vincitore del Leone d'oro ormai 20 anni fa.

 

 

[April rappresenta la prima collaborazione tra Dea Kumbegashvili e Luca Guadagnino, ma il rapporto tra i due è ormai longevo e profondo]

 

 

Dimenticate però l'ingenuo candore di Vera Drake o la verve pre-sessantottina della protagonista de La scelta di Anne, altro film vincitore a Venezia che tratta il tema dell'aborto: la Nina di April è un personaggio respingente, tormentato e oscuro.

 

L'opera di cui è protagonista rappresenta, senza alcun dubbio, il più grande momento di shock vissuto dell'edizione 2024 della Mostra di Venezia.

Sin dalle prime scene April ha portato i presenti a confrontarsi con i propri limiti, causando fughe di massa dalla sala e reazioni a dir poco sconvolte.

 

La primissima immagine con cui gli spettatori sono costretti a fare i conti in April è una figura mostruosa, che scopriremo essere una sorta di alter ego della protagonista e degli orrori che il suo animo coltiva: un essere a metà tra una donna anziana e un feto, che cammina a pelo d'acqua avvolto da un'oscurità quasi totale.

Poco dopo assistiamo a una plongée su un parto ripreso nella sua interezza e senza tagli: sin dai primissimi frame Dea Kulumbegashvili ha voluto mettere in chiaro la propria voglia di non scendere a compromessi, tanto sul piano formale quanto sotto quello contenutistico. 

Un'intenzione che trova il suo apice nella cronaca di un aborto portata sul grande schermo dalla regista con raggelante lucidità: un'inquadratura fissa, lunga ben oltre i 5 minuti, sul ventre e le gambe di una donna ripresi di profilo, mentre Nina la opera. 

 

Una scena con cui il concetto di body horror è stato ridefinito, facendo riscoprire agli spettatori l'orrore che ciascuno sente per il corpo umano ben più che per le più mostruose delle mutazioni.

 

Una rilettura realista del genere cronenberghiano che mette a nudo le nostre fragilità.

 

 

[Nina e una natura magnificamente terribile: i protagonisti di April]

 

Oltre che per le venature orrofiche sempre più marcate di cui si ammanta, April rappresenta un'evoluzione rispetto all'opera precedente della sua regista per le scelte di messa di scena attuate e per la postura rispetto alla protagonista.

 

Se Beginning viveva dell'uso della camera fissa, del montaggio interno e dell'assoluta centralità, anche visiva, di Ia Sukhitashvili, in April a prevalere è la totale occlusione allo spettatore di uno sguardo limpido su Nina, interpretata dalla stessa, bravissima, attrice. 

Pur preservando una predilezione per l'uso dei long take, Dea Kulumbegashvili sceglie infatti l'uso massiccio della macchina a mano - usata anche per inquadrature costruite con un rigore tale da necessitare apparentemente dell'uso del cavalletto, che risultavano così inquiete e oscillanti - e si produce in numerose riprese in soggettiva e semi-soggettiva che fanno sparire Nina dalle immagini pur restituendoci costantenente la sua prospettiva.

 

Anche quando è in scena, l'ostetrica è spesso inquadrata in penombra o attraverso dettagli del suo corpo.

 

[Nina in penombra: una costante di April]

 

 

A dominare lo schermo in April è inoltre il gusto della sua autrice per le inquadrature su una natura magnifica e tremenda, sublime nel suo senso letterario, sulla quale il nostro sguardo è costretto a posarsi.

 

In un contesto simile, il lavoro svolto sul sonoro da Lars Ginzel, Tina Laschke, Zezva Pochkhidze risulta a dir poco maniacale: respiri affannosi, torrenziali piogge, tuoni rombanti e il raggelante tintinnio dei ferri sono la macabra colonna sonora dell'opera. 

Anche la direzione degli attori sembra asservita alla totale intransigenza scelta per il tono complessivo dell'opera: oltre a tornare a proporci il dualismo recitativo tra i bravissimi Ia SukhitashviliKakha Kintsurashvili, l'autrice georgiana dirige un cast di attori sconosciuti al pubblico internazionale ma porta anche in scena un volto più noto per il pubblico occidentale come Merab Ninidze, (già visto in film come Il ponte delle spie, L'ombra delle spie e Senza rimorso) spogliandolo di ogni riconoscibilità, riducendolo a una figura sullo sfondo nel "processo" subito da Nina. 

 

La protagonista vive la vita austera di un medico, rischiando la propria serenità per fornire aborti illegali a chi ne ha bisogno, rigetta ogni tipo di legame sentimentale concedendosi solo a squallidi e fugaci incontri occasionali con sconosciuti, totalmente assorbita dalla sua missione nei confronti delle donne al punto di ritrovarsi quasi annichilita dalla sua stessa - incomunicabile - empatia.

 

 

 

 

Ancora una volta, dunque, Dea Kulumbegashvili torna a caricare i suoi personaggi di una carica epica di stampo classico, attingendo a piene mani da un immaginario che trascende il Cinema e sembra sfiorare la leggenda popolare, il mito e la pittura.

 

A darle l'ispirazione è stata, però, l'esperienza personale: tornata dagli studi all'estero, la regista ha incontrato le sue vecchie compagne, giovanissime madri di famiglie estremamente numerose.

La loro impossibilità di effettuare scelte di vita diverse ha senz'altro rappresentato la più profonda delle spinte creative. 

Impulsi creativi ai quali questa giovane e audace regista reagisce con l'integralismo tipico di maestri come Pedro Costa, Cristi Puiu e Apichatpong Weerasethakul: così aderenti alla propria cifra stilistica da trovare talvolta difficile collocazione in un festival.


La scelta di selezionare April per il concorso principale di Venezia è stata, dunque, un coraggiosissimo azzardo dei selezionatori: a Isabelle Huppert e alla sua giuria l'ardua scelta sulla possilità di tramutarla in una definitiva consacrazione.

 

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