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Trap - Recensione: caccia al killer nell'era dei social

M. Night Shyamalan mette in scena con Trap un thriller narrato secondo il punto di vista di un serial killer, ragionando su come ogni tipo di informazione sia condivisibile, nel bene e nel male

La famiglia protagonista di Trap, il nuovo film di M. Night Shyamalan, è rappresentativa di un determinato ceto sociale statunitense.

 

Il papà è pompiere, la mamma è un'insegnante di teatro, i due figli sono una ragazza adolescente e un bambino che va alle elementari: la classica famiglia felice con la casa di proprietà, il giardino curato e il barbecue acceso la domenica.

 

C’è un però: il papà è un noto serial killer che miete vittime da sette anni.  

 

[Il trailer di Trap]    

 

 

Colpo di scena à la Shyamalan? Spoiler?

 

No: perché il punto di vista della narrazione in Trap è proprio quello di Cooper, il killer soprannominato “Il macellaio” interpretato da un Josh Hartnett a metà tra Ted Bundy e Norman Bates.

Un ribaltamento di prospettiva che dà modo a Shyamalan di giocare con lo spettatore facendo sua una lezione di Alfred Hitchcock: “Il pubblico è come un organo gigantesco che io e te stiamo suonando.  

Ora suoniamo questa nota e otteniamo questa reazione, poi suoniamo questa corda e loro reagiscono in questo modo”.  

 

Chi guarda, dunque, è portato a credere nella fuga del protagonista dalla trappola escogitata dall'FBI per catturarlo.

Bilanciando perciò le informazioni che il pubblico possiede, M. Night Shyamalan costruisce un thriller che non è più una caccia al ladro hitchcockiana, bensì una caccia al killer, dove è lo scontro generazionale a far pendere l’ago della bilancia da una parte o dall’altra.

 

A inizio film Cooper chiede a sua figlia il significato dell’espressione “spacca”, cercando di entrare in contatto con una realtà che non comprende e rimanendo sbalordito, ad esempio, dall’uso dei cellulari durante il concerto della pop star Lady Raven (una sorta di Taylor Swift interpretata da Saleka Shyamalan). 

Da una parte abbiamo un protagonista figlio dell’analogico, ma che crede di saper usare anche il digitale, dall’altra un’intera generazione - il pubblico del concerto - appartenente all’era social network. 

 

La lotta per evadere dalla trappola all’interno del film si trasforma per il killer - è bene notare l’uso dei primissimi piani per escludere Josh Hartnett dal resto del pubblico - in una fuga dalla realtà odierna, in cui tutto è sotto controllo e filmabile, dunque a prova di video e, di conseguenza, anche manipolabile.

 

 

[Quella in Trap è per Josh Hartnett tra le migliori prove della sua carriera]  

 

 

Il conflitto messo in scena in Trap è pienamente contemporaneo e mette alla prova ideologie minandone ogni certezza.

 

Se, infatti, fino a buona parte del secondo atto il film è ambientato al concerto, nell’ultima e decisiva mezz’ora abbiamo un ribaltamento di prospettive dove è il killer a mettere in trappola il simbolo di una generazione.

Anche in questo caso però Shyamalan gioca con il pubblico, mostrando che il vero potere - sebbene il personaggio di Hartnett esclami “Ho io il controllo su tutto” - non è più in mano a ciò che accade nella realtà, ma al di fuori, in uno spazio digitale che si interfaccia con un nuovo mondo condiviso e virtualizzato. 

 

Le informazioni, di conseguenza, diventano di dominio pubblico perdendo in alcuni casi lo stato di segretezza - fate caso a come il killer scopre la trappola dell’FBI - proprio perché tutto è online e perciò accessibile a chiunque. 

 

Un’arma a doppio taglio, lo specchio della doppia personalità di Cooper per un film che è un aggiornamento dei thriller di Alfred Hitchcock nell’era di Instagram e Tik Tok.  

 

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