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Sono stati tanti i fan nostalgici a tornare in sala il 1° luglio per vedere lo Spider-Man di Sam Raimi, così come altrettanti saranno stati coloro andati con lo spirito cririco del confronto con quello che per loro è il passato.
Il primo Spider-Man è uscito nelle sale nel 2002 eppure ancora a detta di molti è il film che ha ridefinito il genere dei supereroi, offrendo una narrazione profonda e complessa oltre le aspettative di un semplice adattamento cinematografico dei fumetti.
La conosciamo tutti la storia del nostro amichevole Spider-Man di quartiere, qui interpretato da Tobey Maguire: un adolescente timido e impacciato che si trasforma nel celebre supereroe dopo essere stato morso da un ragno geneticamente modificato.
Tuttavia, ciò che distingue questo film non è solo l'evoluzione dei poteri di Peter, ma la sua crescita interiore in seguito a una tragica perdita e il modo in cui la perdita viene interpretata.
[Il trailer di Spider-Man di Sam Raimi]
Grazie anche allo "Spider-Verse" degli ultimi lavori di animazione su Spider-Man (anche questi sicuramente molto validi), sappiamo che la morte di zio Ben, in un nuovo modo di concepire la vita del supereroe, è un "evento canonico", un fatto necessario.
Non è una novità per il mondo dei supereroi decidere di aiutare gli altri in seguito a una perdita personale: per parlare della concorrenza, DC Comics ci ha raccontato di un Batman che diventa tale proprio perché assiste all'omicidio dei suoi genitori.
Tuttavia, il modo in cui Raimi tratta e gestisce gli aspetti centrali del film è molto originale e rende il viaggio di Peter Parker una sorta di bildungsroman, termine tedesco per "romanzo di formazione" che bilancia perfettamente l'evoluzione del supereroe e la sua crescita personale come adolescente.
Diventare Spider-Man per Peter non significa solamente iniziare a prendere coscienza dei propri poteri, ma significa anche "diventare uomo", prendere coscienza delle proprie responsabilità.
Adesso non sono concetti nuovi, ma ai tempi lo erano allora principalmente per il modo in cui vengono narrati; rivedendo in sala questo film non sfugge la profonda umanità e verità emotiva che lo contraddistingue innanzitutto.
L'impatto emotivo della morte di zio Ben (Cliff Robertson) sulla vita di Peter è un evento tragico, usato da Raimi non solo come catalizzatore per la nascita di Spider-Man, ma anche come elemento che definisce profondamente la moralità e la responsabilità di Peter.
Prima della morte di suo zio, Peter è presentato come un ragazzo comune, in lotta con le sfide quotidiane dell'adolescenza.
Il suo nuovo potere inizialmente sembra solo un'opportunità per migliorare la propria vita personale e risolvere i suoi problemi.
Il celeberrimo dialogo in macchina con zio Ben, con la famosa lezione "Da un grande potere derivano grandi responsabilità" diventa il mantra che guida Peter nel suo viaggio da giovane confuso a eroe responsabile.
[Spider-Man: Peter dà il suo ultimo saluto a zio Ben]
Nella mia recensione sono influenzata da un evento per me "canonico", in quanto tre anni dopo l'uscita di Spider-Man, da bambina, persi mio nonno.
Il processo di elaborazione del lutto di Peter, che mostra come la colpa e il dolore possano trasformarsi in una forza positiva, mi fu irrimediabilmente di aiuto; tuttavia, ritengo che pur senza questa analogia con la mia vita personale, si possa riconoscere che Peter che perde suo zio sia come Simba che perde Mufasa ne Il re leone o Atreiu che vede morire il cavallo Artax ne La storia infinita: eventi "canonici" anche questi che per noi spettatori rappresentano a volte addirittura un trauma, ma splendidamente necessario.
Non occorre essere cresciuti con i film che ho citato e quindi anche con Spider-Man per apprezzarne l'umanità e la verità.
Quella verità di un personaggio che non è solamente azione e ragnatele, che comunque ci sono, anche grazie alla presenza di un villan perfetto come è Goblin, interpretato d un indimenticabile Willem Dafoe.
Peter è soprattutto un adolescente sopraffatto dal rimorso che decide di usare i suoi poteri per proteggere gli altri, accettando il suo ruolo non solo come un obbligo, ma come una forma di redenzione e un omaggio alla memoria di suo zio, tanto che alla fine arriva perfino a rinunciare alla cosa che desidera di più, cosa che farà anche nel secondo film in seguito al dialogo con zia May (Rosemary Harris).
Sam Raimi riesce quindi a bilanciare l'azione spettacolare e gli effetti speciali con l'evoluzione del suo personaggio, costruendo una narrazione ricca di temi universali e profondamente umani come umano è il protagonista.
Egli diventa davvero il nostro amichevole Spider-Man di quartiere perché lo conosciamo, arriviamo a capirlo, a soffrire con lui, a desiderare sempre che in qualche modo se la cavi: certo questo sta nella stessa natura e scrittura del personaggio a partire dai fumetti; non lo concepiamo come eroe duro e implacabile, non è Superman, non è Batman, Peter non è nato ricco, non è un alieno con i superpoteri.
Peter Parker è "solo" un ragazzo.
In Spider-Man la lotta di Peter tra i suoi doveri come supereroe e i suoi desideri personali risuona con il pubblico a un livello più profondo.
Il film esplora mirabilmente temi come la responsabilità, il sacrificio, la dualità tra la vita pubblica e privata, trae dalla fantascienza del supereroe tutte le conclusioni possibili applicabili alla vita vera.
A Peter si contrappone Goblin che è un villain completo, grottesco, ma anche ironico e divertente; è il padre sbagliato, quello che infine Peter deve rifiutare per abbracciare, in fondo, la sua vera essenza.
[Willem Dafoe in tutta la sua inquietudine in una scena di Spider-Man]
Il Green Goblin non è quindi un personaggio monodimensionale, a differenza della Mary Jane di Kirsten Dunst (molto secondaria e che serve "solo" forse al dilemma morale), bensì è un cattivo tormentato dalla propria ambizione e dalla sua doppia identità - che nel suo caso diventa quasi schizofrenia - creando un parallelo con lo stesso Peter.
Questa profondità rende ogni confronto tra i due personaggi non solo fisico, d'azione, ma anche emotivo e psicologico.
Del resto nessun eroe esiste senza la sua nemesi, ma la battaglia che intraprende Peter contro Norman non è solamente fisica, ma sulla base della scelta, un concetto che sta alla base di tutto il film.
La scelta dell'eroe, ma anche il viaggio dell'eroe per citare Christopher Vogler.
"Goblin: Beh, a ciascuno il suo: io ho scelto la mia strada, tu hai scelto il cammino dell'eroe e ti ha trovato divertente per un po', la gente di questa città.
Ma l'unica cosa che la gente ama più di un eroe è il vedere l'eroe fallire, cadere, morire combattendo, nonostante tutto quello che hai fatto per loro, alla fine ti odieranno.
Perché disturbarsi?
Spider-Man: Perché è giusto".
Un aspetto che di questi tempi non ci aspetteremmo di sottolineare in un film tratto da fumetti, con ovvie eccezioni come il Joker di Todd Phillips, è infine la potenza dei dialoghi.
È un elemento che accomuna tutti e tre i film di Raimi (soprattutto i primi due, rispetto al terzo che secondo praticamente tutti è il meno riuscito), quello dell'epifania che avviene solo dopo un dialogo con qualcuno.
"Peter, questi sono gli anni in cui un ragazzo cambia e si trasforma nell'uomo che sarà per il resto della sua vita, ma devi stare attento a quello che diventi.
Quel ragazzo, quel Thompson, probabilmente si meritava quello che è successo, ma il fatto che tu sia in grado di batterlo non ti dà il diritto di farlo.
Ricorda sempre: da un grande potere derivano grandi responsabilità".
È la lezione di zio Ben, seppur recepita forse troppo tardi, a far nascere Spider-Man.
Sono le parole di zia May a scuotere Peter nei momenti in cui, forte della magnifica colonna sonora di Danny Elfman, la scena ci fa capire che qualcosa sta cambiando.
I dialoghi sono fondamentali non solo in quanto ironici (alcune battute di Spider-Man sono oggettivamente invecchiate maluccio), ma in quanto profondi, ispiratori.
A tratti poco naturali, ma anche incredibilmente giusti.
Passano dall'insegnare cosa sia la responsabilità, al macchiettistico ed esilarante J. Jonah Jameson del Daily Bugle (J.K. Simmons).
La complessità del protagonista, con i suoi conflitti interiori e le sue relazioni personali, si esprime non solo nella rappresentazione del dilemma morale di Peter, nella sua storia di crescita, di accettazione e di sacrificio, ma anche nella capacità di costruire scene toccanti, le cui parole risuonano ancora adesso.
Parole che hanno avuto il potere, ma anche la responsabilità, di formare molti di noi.
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